Voto degli avvocati nei consigli giudiziari: il sì di Paolo Borgna

 di Valentina Stella Il dubbio 28 febbraio 2022

 Qualche intervista fa, l'Accademico dei Lincei e avvocato Tullio Padovani ci disse: «Consiglio a tutti un bellissimo libro "Difesa degli avvocati scritta da un pubblico accusatore " scritto  da un signor pubblico ministero che si chiama Paolo Borgna. Nessuno come lui ha interpretato in modo pieno, cordiale, simpatetico, rispettoso e caloroso  il ruolo dell'avvocato». Non sorprende, dunque, che qualche giorno fa proprio Borgna, già procuratore aggiunto di Torino e membro della direzione distrettuale Antimafia, dal sito dell'associazione Volerelaluna, presieduta dall'ex magistrato Livio Pepino, abbia scritto un articolo dal titolo "Referendum su avvocati e valutazione dei magistrati. Perché Sì". In questa intervista vogliamo approfondire le sue ragioni.

 Dottor Borgna, perché bisognerebbe votare sì al quesito sul voto dei 'non togati' nei Consigli giudiziari?

 Rispondo con una frase di Domenico Riccardo Peretti Griva, straordinario giudice che nell’aprile 1945 fu nominato dal CLN presidente della Corte d’appello di Torino: “E  pensino i magistrati che i migliori e più coscienti giudici della loro capacità, della loro laboriosità, della loro educazione, della loro rettitudine, saranno pur sempre gli avvocati, che li possono seguire, talora inavvertitamente, in tutte le loro manifestazioni, meditate e istintive,  essendo queste ultime anche meglio indicative”. Non voterò sì a tutti i quesiti. Su alcuni non ho ancora neppure deciso come votare. Ma sul sì a questo referendum ho una convinzione incrollabile.

 La maggior parte dei magistrati è a favore del no. L’argomento allarmista, come ha ricordato anche Giovanni Guzzetta in un intervento sul nostro giornale, "si fonda sull’idea che coinvolgere esterni alla magistratura inquini gravemente l’indipendenza di questa, lasciandola alla mercé di giudizi “interessati” di avvocati e professori, offuscati dai pregiudizi o magari dal desiderio di vendetta verso qualche giudice che ha dato loro torto in giudizio". È d'accordo?

 Sarebbe sufficiente rispondere che gli avvocati nei consigli giudiziari sono, comunque, una minoranza. E dunque, se uno di loro portasse in quel consesso un atteggiamento di inimicizia verso un singolo magistrato, sarebbe facilmente battuto.

La contrarietà al voto degli avvocati può discendere anche da una visione distorta del ruolo del difensore, una sorta di azzeccagarbugli, complice del suo assistito?

 Infatti, questo è il punto vero, preoccupante. Perché i magistrati hanno paura dell’influenza del “grande avvocato”, che si potrebbe far portatore di interessi della sua potente committenza, e non invece del leader di una corrente della magistratura, che in concreto ha molta più possibilità di influenzare il consiglio superiore o il consiglio giudiziario? Perché non si teme, ad esempio, che un giudice, che deve emettere una sentenza su un’importante indagine di un pubblico ministero, possa essere influenzato dal fatto che quel pubblico ministero fa parte del consiglio giudiziario che l’indomani deve esprimere un parere su un suo avanzamento in carriera? Mi si dice: ma il pubblico ministero è un funzionario statale che persegue soltanto la verità, mentre l’avvocato ha un legame con il cliente che rende più facile l’interferenza dei ruoli. Invece, l’esperienza mi insegna che la passione che può animare un pubblico ministero che pensa di essere portatore di verità, e che veda processualmente respinta la sua tesi, è in grado di scuotere la sua serenità di giudizio non meno del legame professionale che lega l’avvocato al suo assistito. Siamo sinceri: al fondo di questa diffidenza, c’è l’idea della superiore “virtù civile” del magistrato. È l’antica “albagia professionale” dei magistrati di cui parlava Calamandrei. Una superbia accecante che “si rifiuta di credere che possano esservi avvocati pronti a servir la giustizia per solo amore di essa e non per cupidigia di guadagno”. Non ho mai creduto a questa leggenda. Se qualcuno, in buona fede, ci ha creduto in passato, si vada a leggere le conversazioni di Palamara con alcuni dei principali leader associativi della magistratura. E vedrà dove sta, oggi, il rischio per l’indipendenza del singolo magistrato.

Nel suo intervento su Volerelaluna mi ha colpito questa espressione: "ho maturato una convinzione profonda: un sistema in cui un chierico che esercita un così terribile potere sui cittadini abbia in tutta la sua vita professionale solo valutazioni espresse da altri chierici ‒ senza che mai a valutarlo siano persone esterne alla corporazione cui appartiene – è un sistema destinato a secernere veleni". Purtroppo questa sua convinzione non è comune all'interno della magistratura.

 Io non sono più magistrato. Ma scrivevo queste cose già 25 anni fa. Rimanendo isolato.

 Lei nel suo intervento giudica tragicomico il fatto che l'Anm abbia eletto Palamara ma poi considera l'intervento dell'avvocato un rischio per l'indipendenza della magistratura. Ci può ampliare questo suo pensiero?

 Sì. Il fatto che un’associazione che elesse all’unanimità Palamara presidente indichi come rischio all’indipendenza la possibilità che un avvocato possa contribuire, in posizione di minoranza, alla formulazione di un parere su un magistrato, potrebbe apparire quasi comico. È una cosa che mi fa ridere. Rido per non piangere. Essere valutati da giuristi che non siano magistrati non farebbe che corroborare la legittimazione dei magistrati stessi. Magistratura democratica parlava della necessità di un “supplemento di legittimazione” già negli anni ’70. Perché oggi non se ne parla più, quando l’enorme aumento di discrezionalità (rispetto ad allora) sia dei giudici che dei pubblici ministeri renderebbe questo “supplemento” tanto più necessario?

 

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