Intervista a Oliviero Mazza

Valentina Stella Dubbio 20 giugno 2024

Dopo l’intervista di ieri al magistrato Giovanni Zaccaro sulla riforma costituzionale della giustizia, oggi raccogliamo il punto di vista dell’avvocato Oliviero Mazza, Ordinario di Diritto processuale penale all’Università degli studi Milano- Bicocca.

Inaugurazione anno giudiziario 2024 a Roma: “Emesse 36.567 sentenze di primo grado, di queste 17.399 sono state pronunce assolutorie, con una percentuale complessiva del 47,5%». Relazione Curzio 2023: esito del giudizio ordinario di primo grado pari al 54,8% di assoluzioni. Questi dati non dimostrano che non c’è appiattimento del giudice sull’accusatore?

La separazione è imposta dalle regole costituzionali del giusto processo che da venticinque anni attendono piena attuazione. Il disegno costituzionale è chiarissimo: il processo deve svolgersi nel contraddittorio fra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo. La terzietà non va confusa con l’imparzialità o con l’indipendenza, è un requisito in più che attiene al profilo ordinamentale del giudice, distinto da quello delle parti. Non è quindi un problema di indipendenza o di mancata adesione del giudice alle tesi d’accusa, ma di stato giuridico che non può essere comune a quello della parte pubblica. Non voglio però sottrarmi all’argomento suggestivo del numero delle assoluzioni.

Mi dica allora.

Ritengo che il 50% potrebbe essere incrementato con la separazione delle carriere, così come potrebbe ridursi per effetto di una maggiore ponderazione nell’esercizio dell’azione penale dettata proprio dalla consapevolezza della distanza del giudice dalle ragioni dell’accusa. Senza dimenticare i dati ben diversi che si registrano all’interno della fase delle indagini preliminari nei rapporti fra richieste del pm e decisioni del gip. Ad ogni modo, quel dato percentuale dimostra il preoccupante fallimento dell’accusa determinato dal progressivo appiattimento del pm sulle investigazioni poliziesche. Il giudice, dovendo ius dicere, non può a sua volta accettare acriticamente le conclusioni suggerite dalla polizia giudiziaria, di qui il numero elevato delle assoluzioni. Il vero problema sta proprio nella trasformazione del ruolo del pm divenuto recettore passivo delle istanze repressive della polizia giudiziaria.

L’Ucpi ha scritto: « l’Anm lancia apertamente la propria sfida al Parlamento e sceglie la strada di una aperta politicizzazione della sua azione». Ma non fa la stessa cosa l’associazione dei penalisti?

C’è una fondamentale differenza: i magistrati sono pubblici dipendenti che esercitano il “potere” giudiziario, e come tali non sono legittimati ad opporsi al potere legislativo, mentre gli avvocati penalisti sono privati cittadini che possono liberamente criticare ogni potere dello Stato. La nostra è una democrazia parlamentare, la magistratura deve rispettare la volontà popolare espressa in libere elezioni che hanno premiato il programma della separazione delle carriere. L’opposizione preventiva a una legge che rispecchia la volontà popolare manda in crisi il sistema democratico.

Lei crede che l’Anm abbia il diritto di scioperare contro la riforma? 

La riforma è proposta da una larghissima maggioranza parlamentare, lo sciopero contro la volontà del Parlamento, mi sembra un atto abnorme, destabilizzante per gli equilibri democratici. In più non verrebbe compreso dall’opinione pubblica, ossia dai fruitori del sistema giudiziario, che lo percepirebbero come la rivendicazione di un privilegio di casta. La separazione tra giudici e pm è un concetto intuitivo, molto meno l’unità della magistratura.

E di partecipare ad eventuali iniziative di comitati referendari?

Pressioni sulla politica, sciopero, comitati referendari, mi sembrano tutte iniziative che mettono in seria crisi l’equilibrio dei poteri democratici. Anm non deve e non può fare politica in senso stretto.

Le toghe sostengono che l’avvocatura non riesce a capire che un pm separato è un danno per tutti a partire dai difensori e dai diritti dei loro assistiti.

Il pm oggi è una parte parziale, purtroppo sempre più appiattita sulle scelte della polizia giudiziaria. I cittadini devono sapere che, nella maggior parte dei casi, è l’informativa conclusiva di polizia che determina l’azione penale, così come le richieste di misure cautelari o dei mezzi di ricerca della prova invasivi delle libertà fondamentali. La finzione del pm imparziale ammanta di pseudogiurisdizionalità un’attività intrinsecamente partigiana e poliziesca. Meglio, dunque, superare ogni ipocrisia: il pm sostiene l’ipotesi d’accusa e non tutela gli interessi degli accusati, nella chiarezza e nella nettezza dei ruoli predicata dal giusto processo di parti fra loro contrapposte, mentre la garanzia dei diritti è affidata al giudice terzo rispetto alle parti.

Sorteggio membri del Csm: si rischia di avere magistrati non all’altezza del ruolo.

Il sorteggio è l’unico antidoto alla degenerazione correntizia plasticamente rappresentata dal caso Palamara che ormai sembra dimenticato. Potrebbe essere temperato da una selezione a monte dei sorteggiabili ispirata a criteri puramente meritocratici, ma allo stato non è superabile.

Davvero secondo lei la priorità per la giustizia è creare un’Alta Corte per il disciplinare?

L’Alta Corte è quanto mai opportuna, magari con qualche correttivo. In democrazia non sono nemmeno concepibili poteri senza responsabilità che finiscono inevitabilmente per sfociare nell’arbitrio. Personalmente sono sempre stato contrario alle giurisdizioni domestiche, spesso addomesticabili. Meglio rompere gli schemi: se i magistrati agiscono in nome del popolo italiano, ad esso devono rispondere anche sotto il profilo disciplinare. Certamente vi sono anche altre riforme urgenti, a partire dalla profonda e indifferibile revisione della Cartabia.

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