Separazione carriere: caccia dei dissidenti

Valentina Stella Dubbio 20 giugno 2024

Partita la caccia ai magistrati favorevoli alla riforma costituzionale della giustizia e quella agli avvocati contrari. È in questi termini che starebbe mutando in questi ultimi giorni la dialettica tra gli schieramenti in gioco, compresa la politica. Divide et impera infatti potrebbe essere l’obiettivo comune della maggioranza di governo, dell’Anm e dei penalisti per delegittimare l’avversario e spaccare il fronte opposto. Innanzitutto lo hanno fatto capire chiaramente ieri con le loro dichiarazioni a questo giornale il vice presidente della Camera Giorgio Mulè (Fi) e il segretario della commissione giustizia del Senato, Sergio Rastrelli (Fd’I), quando hanno sostenuto che c’è una larga fetta della magistratura, lontana dai vertici associativi, che sarebbe non solo contraria allo sciopero, deliberato della riunione del parlamentino del ‘sindacato’ delle toghe sabato scorso, ma persino favorevole alla separazione delle carriere.  Poi c’è una parte dell’avvocatura che sostiene che soprattutto i giudici con le funzioni nel penale sarebbero ben lieti di vedere approvata la riforma. La magistratura giudicante sarebbe la prima a salutare con favore una riforma che consentirebbe finalmente di dare attuazione a quella terzietà ed imparzialità del giudice che oggi semplicemente non può esistere e la cui assenza sta minando dalle fondamenta l’autorevolezza del giudicare, ci spiegano alcuni legali. Inoltre, come è noto, il gruppo Articolo Centouno si è detto favorevole al sorteggio temperato, e non pregiudizialmente ostile a quello “puro” per la scelta dei membri del Csm. L’Esecutivo, o meglio la maggioranza che dovrà difendere e tentare di far approvare la riforma costituzionale in Parlamento, potrebbe far leva su questa fronda per depotenziare la battaglia che le toghe dovranno intraprendere in questo lungo percorso tra esame delle due Camere ed eventuale referendum. Tuttavia, è bene ricordare che la delibera sabato è stata approvata da tutti i gruppi, compresi i CentoUno, con questo incipit: «L’Associazione nazionale magistrati esprime un giudizio fortemente contrario sulla riforma dell’ordinamento giudiziario nel suo complesso». Dunque tutti coesi contro l’intera riforma. Inoltre, come ci spiega Rocco Maruotti, Coordinatore delle 27 Giunte esecutive sezionali dell'Anm, che ha avuto modo di esaminare tutti i verbali delle riunioni delle giunte distrettuali, «i magistrati italiani sono compatti nell'esprimere un giudizio fortemente contrario sulla riforma dell’ordinamento giudiziario.  Questa posizione è emersa non solo nel corso del Cdc di sabato scorso, a cui peraltro hanno partecipato anche i rappresentanti delle altre magistrature, e all'esito del quale l'Anm, a cui sono iscritti il 97% dei magistrati, ha approvato all'unanimità un documento di forte critica al Ddl Nordio, ma è stata anche sostenuta, senza alcun distinguo, nel corso di tutte le assemblee che si sono svolte nei vari distretti e a cui hanno partecipato anche colleghi che non sono iscritti ad alcuna corrente. Per cui non corrisponde al vero il fatto che ci sia una parte della magistratura favorevole a questa riforma che, invece di migliorare il servizio giustizia, stravolgendo l’attuale assetto costituzionale e l’equilibrio tra i poteri dello Stato, sottrae spazi di indipendenza alla giurisdizione e, in definitiva, riduce le garanzie e i diritti di libertà per i cittadini». Fa eccezione la Ges di Campobasso che ha espresso «serie perplessità sulla concreta utilità e praticabilità, allo stato, di un’astensione tout court dall’attività lavorativa (c.d. sciopero)». Una circostanza che da parte della magistratura viene considerata fisiologica, perché si troverà sempre qualcuno non perfettamente in linea con la maggioranza quasi assoluta dell’Anm; tuttavia, a detta delle toghe che abbiamo ascoltato, ciò non scalfisce minimamente la forza della battaglia che stanno per affrontare. Dall’altro lato c’è la magistratura che vuole portare dalla propria parte gli avvocati. Proprio ieri il segretario di Area, Ciccio Zaccaro, ci diceva che «ogni giorno, nei corridoi e nei bar del palazzo di giustizia, mi avvicinano avvocati, anche penalisti, indignati della campagna di delegittimazione della giurisdizione e soprattutto consapevoli che la riforma della magistratura non serve a risolvere i veri problemi della giustizia». Una pancia silenziosa che però non esce allo scoperto. Esisterà davvero? In tale considerazione Zaccaro era stato preceduto sabato dalla pm Ida Teresi, presidente della Giunta dell’Anm di Napoli, che durante il Cdc ha raccontato di aver chiesto agli avvocati: «Davvero voi volete che io potenzi i miei poteri? […] E gli avvocati la risposta che mi danno in maniera più o meno confessoria è: ‘dottoressa, infatti sono contrario’. E allora ditelo, e sono penalisti. Altri non parlano, altri addirittura dicono ‘ha ragione dottoressa, ma ci vogliamo provare’. Ma come, noi buttiamo così un bussolotto, distruggiamo una organizzazione che poi storicamente ha dato i suoi frutti perché gli avvocati penalisti, alcuni di loro, vogliono provare, cioè neanche più il coraggio […] di dire è per questo motivo, no è perché ‘ci vogliamo provare’» (trascrizione tratta dalla registrazione di Radio Radicale, ndr). Le ha replicato il presidente della Camera Penale di Napoli, Marco Campora: «Ho ascoltato il dibattito.  Se l’Anm vuole intestardirsi su una battaglia culturalmente di retroguardia e di conservazione di un sistema che oggettivamente non funziona (e sicuramente non funziona per cittadini) è ovviamente liberissima di farlo. Dal canto suo, l’avvocatura penalistica (e, non solo, come dimostrano le chiare prese di posizioni espresse da quasi tutti i Consigli dell’Ordine italiani) è fermamente convinta della necessità della riforma e, pertanto, non ha alcuna reale praticabilità la strategia – pur ventilata nelle audizioni all’ANM – di “spaccare” il fronte dell’avvocatura (sic!). Ci sono poi aspetti sui quali si può senz’altro discutere: ad esempio – e parlo a titolo personale - trovo ben poco condivisibile la previsione della nomina al CSM attraverso il sorteggio che mortifica principi democratici basilari ed anche i canoni della logica più elementari». 

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