QUando si potrà fare l'amore in carcere?

 Valentina Stella Dubbio 10 giugno 2024


La Consulta cancella il divieto di fare l'amore in prigione: si potrebbe riassumere la sentenza n. 10 del 26 gennaio 2024, con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18 della legge sull’ordinamento penitenziario, nella parte in cui non prevede che la persona detenuta possa essere ammessa a svolgere i colloqui con il coniuge, la parte dell’unione civile o la persona con lei stabilmente convivente, senza il controllo a vista del personale di custodia, quando, tenuto conto del suo comportamento in carcere, non ostino ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell’ordine e della disciplina, né, riguardo all’imputato, ragioni giudiziarie. Dunque la Consulta con questa decisione (Presidente Barbera, relatore Petitti) va a garantire il diritto all’effettività in carcere. La questione era stata sollevata dal magistrato di sorveglianza di Spoleto, Fabio Gianfilippi. Il caso riguardava un detenuto, recluso dall'11 luglio 2019, attualmente con posizione giuridica di definitivo, con fine pena al 10 aprile 2026, nella cui prospettiva non c’è la concessione dei permessi premio. Inoltre i locali del carcere di Terni destinati ai colloqui con i familiari appaiono comunque inidonei ad assicurare l'esercizio della affettività, ivi compresa la sessualità, in condizioni di privacy. «L’ordinamento giuridico – ha affermato la Corte in una nota –tutela le relazioni affettive della persona nelle formazioni sociali in cui esse si esprimono, riconoscendo ai soggetti legati dalle relazioni medesime la libertà di vivere pienamente il sentimento di affetto che ne costituisce l’essenza. Lo stato di detenzione può incidere sui termini e sulle modalità di esercizio di questa libertà, ma non può annullarla in radice, con una previsione astratta e generalizzata, insensibile alle condizioni individuali della persona detenuta e alle specifiche prospettive del suo rientro in società». La norma censurata, nel prescrivere in modo inderogabile il controllo a vista sui colloqui del detenuto, gli impedisce di fatto di esprimere l’affettività con le persone a lui stabilmente legate, anche quando ciò non sia giustificato da ragioni di sicurezza. La Corte ha pertanto riscontrato la violazione degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. per la irragionevole compressione della dignità della persona e per l’ostacolo che ne deriva alla finalità rieducativa della pena. I giudici costituzionali hanno rilevato «un ulteriore profilo di irragionevolezza» dei limiti della norma censurata ossia «il loro riverberarsi sulle persone che, legate al detenuto da stabile relazione affettiva, vengono limitate nella possibilità di coltivare il rapporto, anche per anni. Si tratta di persone estranee al reato e alla condanna, che subiscono dalla descritta situazione normativa un pregiudizio indiretto». La Corte ha poi rammentato che una larga maggioranza degli ordinamenti europei riconosce ormai ai detenuti spazi di espressione dell’affettività intramuraria: «si ricordano i parlatori familiari (parloirs familiaux) e le unità di vita familiare (unités de vie familiale), locali appositamente concepiti nei quali il codice penitenziario francese prevede possano svolgersi visite di familiari adulti, di durata più o meno estesa, «sans surveillance continue et directe»; con funzione analoga si segnalano le comunicaciones íntimas, disciplinate dal regolamento penitenziario spagnolo, e le visite di lunga durata (Langzeitbesuche), ammesse dalla legislazione penitenziaria di molti Länder tedeschi». La Consulta dà delle indicazioni rispetto a come dovrebbe applicarsi ora il nuovo diritto: «La durata dei colloqui intimi deve essere adeguata all’obiettivo di consentire al detenuto e al suo partner un’espressione piena dell’affettività, che non necessariamente implica una declinazione sessuale, ma neppure la esclude. In quanto finalizzate alla conservazione di relazioni affettive stabili, le visite in questione devono potersi svolgere in modo non sporadico (ovviamente qualora ne permangano i presupposti), e tale da non impedire che gli incontri possano raggiungere lo scopo complessivo di preservazione della stabilità della relazione affettiva». Ad esempio «può ipotizzarsi che le visite a tutela dell’affettività si svolgano in unità abitative appositamente attrezzate all’interno degli istituti, organizzate per consentire la preparazione e la consumazione di pasti e riprodurre, per quanto possibile, un ambiente di tipo domestico». Tuttavia la Corte «è consapevole dell’impatto che l’odierna sentenza è destinata a produrre sulla gestione degli istituti penitenziari, come anche dello sforzo organizzativo che sarà necessario per adeguare ad una nuova esigenza relazionale strutture già gravate da persistenti problemi di sovraffollamento» pertanto «nell’indicare alcuni profili organizzativi implicati dalla propria pronuncia, la Corte ha auspicato un’azione combinata del legislatore, della magistratura di sorveglianza e dell’amministrazione penitenziaria, ciascuno per le rispettive competenze, con la gradualità eventualmente necessaria».  Infine, la Corte ha precisato che la sentenza non riguarda i detenuti al 41 bis né quelli sottoposti alla sorveglianza particolare. «Il riconoscimento di un vero e proprio diritto soggettivo all’affettività-sessualità inframuraria – aveva ricordato sulla rivista Giurisprudenza penale il costituzionalista Andrea Pugiotto -  è anche l’approdo auspicato da atti sovranazionali in materia penitenziaria: originariamente ignorato, il problema emerge nelle Raccomandazioni del Consiglio d’Europa del 1997 ed è oggetto di precise linee guida in quelle approvate nel 2006. Ma già il Parlamento europeo nel 2004 annoverava tra i diritti da riconoscersi ai detenuti quello ad ‘una vita affettiva e sessuale, attraverso la predisposizione di misure e luoghi appositi’. Nel tempo, dunque, le fonti europee hanno progressivamente riconosciuto come la tutela dei rapporti familiari necessiti della possibilità di relazioni intime inframurarie (conjugal visits). Pertanto «il valore della pronuncia – ha commentato su Questione Giustizia l’ex magistrato di sorveglianza Riccardo De Vito, attualmente giudice a Nuoro -  è senza dubbio non comune, sia sotto il profilo giuridico sia dal punto di vista politico». Nel campo della penalità penitenziaria, «la sentenza contribuisce in maniera rilevante ad accrescere la guardiania che i diritti inviolabili esercitano sulla pretesa punitiva dello Stato o, detto con le parole di Massimo Pavarini, a ridisegnare, in senso favorevole ai detenuti, il margine di disumanità del castigo. C’è da augurarsi un effetto moltiplicatore: colloqui riservati, come visto, comportano anche una nuova concezione di alcuni ambienti penitenziari – il sogno di Alessandro Margara (tra gli ispiratori della riforma penitenziaria del 1986 nota anche come 'legge Gozzini', ndr): un luogo che libera le relazioni invece di opprimerle –, ma presuppongono anche un maggiore rispetto del principio di territorialità della pena, vale a dire di prossimità dell’espiazione ai centri degli affetti».  A dicembre 2023 era stata presentata una proposta di legge, a prima firma il deputato di +Europa Riccardo Magi, proprio in materia di tutela delle relazioni affettive intime delle persone detenute: «l’esercizio del diritto all’affettività e alla sessualità – si legge nella pdl -  potrà essere effettuato da tutte le persone autorizzate ai colloqui senza distinzione tra familiari, conviventi e “terze persone”». Proprio a seguito della sentenza della Corte Costituzionale, il parlamentare ha interrogato a fine marzo, il Ministro della Giustizia Carlo Nordio, che così aveva risposto al question time: «bisogna tener conto innanzitutto del comportamento della persona detenuta in carcere, delle ragioni di sicurezza, ovviamente, e delle esigenze di mantenimento dell’ordine e della disciplina». «Dovranno essere create - e stiamo già iniziando a farlo, ma non è una cosa che si possa fare dall’oggi al domani - all’interno degli istituti penitenziari degli appositi spazi. Ovviamente anche il personale deve essere addestrato su questo, perché anche questa è una novità». «Quello che posso dire – ha aggiunto il Guardasigilli - è che il governo, e chiaramente questo ministero, è perfettamente consapevole dell’importanza della questione ed è deciso a dare pienissima attuazione a quella che è la sentenza della Corte costituzionale». Nordio ha poi spiegato che è stato «istituito un gruppo di lavoro multidisciplinare, che prevede come componenti degli appartenenti del nostro ministero, del Garante nazionale per i detenuti, della magistratura di sorveglianza, dell’architettura penitenziaria. E questa direi che è più importante di tutti perché senza strutture, dovremmo convenire che questa novità sarebbe ancora più difficile realizzare. Ci saranno anche appartenenti del Consiglio nazionale forense e del consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi, anche questa è una presenza estremamente importante».


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