Intervista a Giuseppe Tango

 Valentina Stella Dubbio 21 giugno 2024


Ultimo confronto della settimana sul ddl costituzionale di riforma della giustizia. Oggi intervistiamo Giuseppe Tango, presidente della giunta dell’Anm di Palermo ed esponente di Mi.


Esponenti della maggioranza hanno definito le iniziative dell’Anm contro la riforma atti di guerra, tentativi di sottomettere il Parlamento, immobilismo culturale, difesa corporativa. 

Niente di più lontano dalla realtà. Se è difesa corporativa quella della Costituzione, dei valori ivi consacrati e delle libertà di tutti i cittadini, il magistrato allora è “corporativista” per definizione.

Andrebbe, invece, ricordato, nell’ovvio rispetto della potestà legislativa del Parlamento, che la Costituzione sancisce all’art. 21 che “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” ed è proprio questo che l’Anm si è limitata a fare.

Attualmente i passaggi da una funzione ad un’altra sono intorno all’1%: perché tanta opposizione da parte vostra?

Potrei ribaltare il ragionamento. Se nei fatti i passaggi sono ormai statisticamente irrilevanti, perché imbastire una riforma, addirittura costituzionale, impiegando enormi risorse (di tempo, parlamentari, economiche)? Probabilmente il reale obiettivo non è tanto la separazione delle funzioni ma quello, appunto, delle “carriere”, il che disvela la volontà di allontanare il pm dalla cultura della giurisdizione e prepararlo molto probabilmente alla sua sottomissione all’Esecutivo.

Ma il consigliere giuridico del Ministro Nordio, Romano, ha detto: «Ogni governo non è, per fortuna, eterno e quindi si rischierebbe di mettere il pm sotto il controllo del governo che verrà, magari di diversa coloritura politica: non converrebbe a nessuno». 

Anche qualora dovesse essere così, il rischio è quello di creare un corpo autoreferenziale di “superpoliziotti”, scevro da qualsiasi potere ed imbevuto di cultura poliziesca: anche questo potrebbe essere un problema per la tenuta democratica del Paese. Basti pensare al caso “Costa”, avvenuto l’anno scorso in Portogallo, proprio uno dei pochissimi Paesi in Europa ad aver adottato un siffatto modello.  

Il vice Ministro Sisto invoca spesso il triangolo isoscele per giustificare un giusto processo.

Si tratta di un’argomentazione, che – se letta in buona fede – non tiene conto del diverso ruolo che l’avvocato ed il pm esercitano: il primo è chiamato a difendere gli interessi del suo cliente (a prescindere dalla colpevolezza o meno), mentre il secondo deve in ogni caso ricercare la verità dei fatti. Se quest’ultimo, nel corso delle indagini o a processo avviato, si rende conto che non ci sono elementi per sostenere validamente l’accusa, dovrà chiedere l’archiviazione o l’assoluzione.  Se invece è letta in mala fede, si sarebbe indotti a pensare che l’autore della riforma sospetti che un giudice possa farsi condizionare nel suo libero convincimento dal rapporto di colleganza che ha con il pm: il che, oltre ad essere estremamente offensivo nei confronti di chi ha giurato sulla Costituzione, è all’evidenza smentito dai numerosi procedimenti conclusisi con una assoluzione.

Luca Palamara in una intervista al Dubbio ha dichiarato: «il sorteggio è la fine della correntocrazia, e permetterà di far nascere una nuova classe dirigente di magistrati». 

Oggi accade che i magistrati scelgono i propri rappresentanti in modo trasparente, garantendo anche il pluralismo, che è sempre un valore. Con la riforma verranno estratti a sorte magistrati di cui non si conoscerà la sensibilità; per di più non si potrà in astratto escludere che saranno selezionati magistrati aventi lo stesso orientamento. Trasparenza e pluralismo contro opacità e possibile pensiero unico: in che modo - da magistrato, anche non appartenente ad una corrente-mi dovrei sentire più tutelato? 

Lo scopo è invece chiaro: indebolire la componente togata a favore di quella laica, quella maggiormente legata alla politica. Con un evidente paradosso: si ritiene che un magistrato possa incidere sulla vita, gli interessi e la libertà delle persone, ma non che sia in grado di scegliersi i propri rappresentanti. 

Si vuole far passare come una riforma contro le correnti quella che in realtà è una riforma contro i cittadini e la magistratura. 

Il presidente Santalucia ha detto: abbiamo argomenti giuridici per contrastare la riforma. Non scomodiamo Falcone, Borsellino e Gelli. 

Di argomenti per far comprendere gli effetti nefasti della riforma ve ne sono effettivamente a iosa. Si tratta semmai di riuscire a comunicarli al cittadino. Ma visto che comunque le suddette figure sono già state scomodate da altri, tanto vale fare chiarezza: Gelli era a favore della separazione; Borsellino si espresse in modo univocamente contrario in un’intervista pubblicata l’11 dicembre 1987; Falcone, al di là del noto tentativo di mistificazione delle sue parole, ha dimostrato con i fatti il suo pensiero al riguardo, passando da una funzione ad un’altra per ben quattro volte. 

La riforma prevede inoltre l’istituzione di un’Alta Corte disciplinare. 

Non si comprende il motivo che porta ad istituire un ulteriore organo costituzionale che svolge funzioni già oggi assegnate al Csm, unico organo di autogoverno che garantisce l’autonomia della magistratura. L’effetto sarà un indebolimento del Csm stesso ed un aumento di costi dovuti al funzionamento di questo nuovo organo che andranno a gravare sulla collettività. La sua istituzione si giustificherebbe solo se si riuscisse a dimostrare che la funzione disciplinare è stata sino ad ora svolta malamente dal Csm, ma i dati parlano di un numero di procedimenti e sanzioni disciplinari che non ha eguali in proporzione rispetto a quelli di tutte le altre categorie di lavoratori pubblici.

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