Fine vita: decide ancora la Consulta

 Valentina Stella dubbio 17 maggio 2024

Il prossimo 19 giugno la Corte costituzionale sarà chiamata nuovamente ad esprimersi in tema di “suicidio medicalmente assistito”.

IL PRECEDENTE

La prima volta è accaduto nel 2019 nel caso di Dj Fabo quando la Consulta stabilì che, per poter accedere legalmente all’aiuto medico alla morte volontaria, la persona deve essere in possesso di determinati requisiti: essere affetta da una patologia irreversibile, capace di autodeterminarsi, reputare intollerabili le sofferenze fisiche o psicologiche che la malattia determina, e infine, che sia dipendente da trattamenti di sostegno vitale. Quattro requisiti, in presenza dei quali la Corte Costituzionale escluse la punibilità di chi fornisce l’aiuto alla morte volontaria, prevista dall’articolo 580 del codice penale. Fabiano Antoniani, a seguito di un grave incidente stradale avvenuto il 13 giugno 2014, era rimasto tetraplegico e affetto da cecità bilaterale corticale (dunque, permanente). Non era autonomo nella respirazione (necessitando dell’ausilio, pur non continuativo, di un respiratore e di periodiche asportazioni di muco), nell’alimentazione (venendo nutrito in via intraparietale) e nell’evacuazione. Era percorso, altresì, da ricorrenti spasmi e contrazioni, produttivi di acute sofferenze, che non potevano essere completamente lenite farmacologicamente, se non mediante sedazione profonda. Conservava, però, intatte le facoltà intellettive. La sua condizione era risultata irreversibile. Aveva perciò maturato, a poco meno di due anni di distanza dall’incidente, la volontà di porre fine alla sua esistenza, comunicandola ai propri cari. Di fronte ai tentativi della madre e della fidanzata di dissuaderlo dal suo proposito, per dimostrare la propria irremovibile determinazione aveva intrapreso uno “sciopero” della fame e della parola, rifiutando per alcuni giorni di essere alimentato e di parlare. Di seguito a ciò, aveva preso contatto nel maggio 2016, tramite la propria fidanzata, con organizzazioni svizzere che si occupano dell’assistenza al suicidio: pratica consentita, a certe condizioni, dalla legislazione elvetica. Nel medesimo periodo, era entrato in contatto con Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, il quale gli aveva prospettato la possibilità di sottoporsi in Italia a sedazione profonda, interrompendo i trattamenti di ventilazione e alimentazione artificiale. Di fronte al suo fermo proposito di recarsi in Svizzera per il suicidio assistito, l’imputato aveva accettato di accompagnarlo in automobile presso la struttura prescelta. Il suicidio avvenne il 27 febbraio 2017: azionando con la bocca uno stantuffo, l’interessato aveva iniettato nelle sue vene il farmaco letale. Di ritorno dal viaggio, Cappato si era autodenunciato ai carabinieri. Viene imputato dinanzi al tribunale di Milano per violazione dell’art. 580 cp (Istigazione o aiuto al suicidio). Con ordinanza del 14 febbraio 2018, la Corte d’assise di Milano solleva questioni di legittimità costituzionale dell’art. 580 del codice penale. Il 25 settembre 2019 la Consulta, con la sentenza 249, dichiara in parte l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 del codice penale.

IL NUOVO CASO

Mercoledì i 14 giudici della Corte – non 15 visto che il Parlamento ancora non lo elegge – si riuniranno in udienza pubblica per discutere la vicenda di Massimiliano S, toscano 44enne affetto da sclerosi multipla. Prima l’esordio di sintomi lievi, poi il peggioramento: aveva iniziato a manifestare difficoltà   nella deambulazione, poi aveva avuto bisogno della sedia a rotelle e,  dopo appena  qualche  mese  -   ad   aprile   2022  -,   risultava   già definitivamente impossibilitato a muoversi dal letto, con  pressoché  totale immobilizzazione anche degli arti superiori. Per la prima volta matura in lui l'idea di porre fine  alla  propria  vita, per ragioni legate alla patologia di cui soffriva. L’uomo non era dipendente da un trattamento di sostegno vitale inteso in senso restrittivo (come per esempio la ventilazione meccanica), nonostante fosse totalmente dipendente dall’assistenza di terze persone per sopravvivere. Per questo avrebbe potuto incontrare ostacoli nell’accedere all’aiuto medico alla morte volontaria in Italia così come disciplinata dalla sentenza della Consulta 242/19. Contatta allora Cappato che tramite l’associazione si fa carico anche di alcune spese, come il noleggio del furgone, guidato a turno da lui, Chiara Lalli, e Felicetta Maltese, che lo condurranno in una clinica svizzera. Alla presenza del padre e della sorella Massimiliano, utilizzando il braccio che ancora poteva controllare, ha assunto per via orale il farmaco letale.  È morto dopo pochi minuti. Cappato, Lalli e Maltese si sono autodenunciati ai Carabinieri di Firenze per l’aiuto fornito, e sono indagati nel procedimento penale pendente davanti al Tribunale di Firenze per aiuto al suicidio e non istigazione. Il GIP, con ordinanza del 17 gennaio 2024, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale, perché il requisito del sostegno vitale sarebbe in contrasto con gli articoli 2, 3, 13, 32 e 117 primo comma della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli articoli 8 e 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. La rilevanza penale della condotta degli indagati, nel  caso  di specie,  dipende  dunque  soltanto  dalla   loro   partecipazione   e cooperazione materiale alla realizzazione del suicidio.  In quest'ottica, la  Procura  ha  quindi   sostenuto   che   il comportamento degli indagati non  sarebbe  tipico  neppure  ai  sensi della  fattispecie  di  aiuto  al  suicidio e ha chiesto l’archiviazione. Di diverso parere il gip. «Allo stato  - si legge nell’ordinanza in cui ha sollevato la questione di legittimità costituzionale - la richiesta di archiviazione non potrebbe essere accolta», spiega la gip, perché «la condotta degli indagati rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 580 del codice penale, in particolare nella fattispecie di aiuto al suicidio, senza che possa beneficiare della causa di non punibilità introdotta» con la sentenza 242. «Nel caso di specie sussistono tutti gli elementi costitutivi del titolo di reato in origine ipotizzato dal pubblico ministero», si legge ancora nell’ordinanza. Si esclude il reato di istigazione, avendo Massimiliano scelto autonomamente di porre fine alla propria vita autosomministrandosi il farmaco letale, ma resta l’ipotesi di aiuto, per la «cooperazione e partecipazione materiale alla realizzazione del sucidio» da parte degli indagati. I quali rischiano dai cinque ai 12 anni di carcere. Oggetto della nuova pronuncia dei giudici della Corte sarà, dunque, il requisito del trattamento di sostegno vitale, ossia quello che si presta a un’interpretazione più controversa e con potenziali effetti discriminatori, a causa del quale tanti italiani sono costretti ad andare in Svizzera per accedere all’aiuto medico alla morte volontaria, oppure a dover subire, contro la propria volontà, condizioni di sofferenza insopportabile.

TURISMO DEL FINE VITA

Come è successo alla regista romana Sibilla Barbieri: era paziente oncologica terminale e Consigliera generale dell’Associazione Luca Coscioni, e a seguito del diniego della sua Asl era stata costretta ad andare all’estero per poter ricorrere all’aiuto medico alla morte volontaria. Secondo la Asl non possedeva tutti e 4 i requisiti previsti dalla sentenza Cappato\Antoniani della Corte costituzionale per poter accedere legalmente alla morte volontaria assistita. In particolare l’équipe medica ha ritenuto che alla donna mancasse il requisito della dipendenza da trattamento di sostegno vitale. Nella sfortuna, ha avuto la fortuna di poter spendere diecimila euro per raggiungere la Svizzera e autosomministrarsi il farmaco letale in una clinica. E sono in molti, tra i malati che non dipendono da sostegni vitali tecnicamente intesi, a subire lo stesso destino.

COSA DICE LA SCIENZA

In ambito scientifico non c’è condivisione su cosa sia un «trattamento di sostegno vitale». Come si legge sul sito dell’Associazione Coscioni, «per rispondere alla domanda su quali trattamenti sono considerabili come di “sostegno vitale”, riportiamo a seguire quanto scritto su Quotidiano Sanità dal dott. Davide Mazzon, già Direttore UOC Anestesia e Rianimazione Belluno, membro del Comitato Etico per la pratica clinica ULSS 1 Regione Veneto e Vicepresidente OMCeO Belluno: “La complessità della moderna prassi clinico-assistenziale rende palese che il “trattamento di sostegno vitale” non possa riferirsi ad uno specifico apparecchio tecnologico, né ad un singolo presidio clinico-assistenziale, né ad una somministrazione farmacologica, né ad una o più pratiche assistenziali che, in modo esclusivo, consentano alla persona malata il prolungamento della sopravvivenza. E’ invece l’uso simultaneo ed integrato di apparecchi, presidi, farmaci, di atti sanitari di competenza medica e infermieristica, che si concretizza in un piano il quale, applicato secondo le specifiche necessità di ciascun caso, consente la ottimizzazione di cure estremamente complesse in persone con malattie gravi, progressive ed a prognosi infausta in tempi più o meno lunghi. I trattamenti sanitari di supporto al mantenimento in vita della persona gravemente malata possono spaziare da apparecchi esterni per la sostituzione integrale o parziale di funzioni vitali (es. ventilatore, emodialisi, apparecchi di vario tipo per supportare la funzione di pompa cardiaca, ecc), a dispositivi impiantati per “protezione” dalla insorgenza di Eventi Avversi (es. pacemaker cardiaci, defibrillatori automatici, ecc), a dispositivi esterni o impiantati per la erogazione di farmaci o di stimolazioni elettriche per il trattamento di patologie che richiedono particolari infusioni o neurostimolazioni (es. diabete, m. di Parkinson, Dolore Neuropatico, ecc). Ma “trattamenti di sostegno vitale” possono considerarsi anche la semplice Ossigenoterapia, indispensabile per moltissime persone affette da Insufficienza respiratoria da malattie cardiorespiratorie, neurologiche, ecc., nonché i farmaci in grado di mantenere la persona gravemente malata in compenso cardiovascolare, respiratorio, neurologico, metabolico, immunitario, ecc., rallentando l’evoluzione di malattie croniche progressive ad evoluzione fatale e prevenendone le riacutizzazioni che possono implicare pericolo di vita. E ancora nella categoria di “trattamenti di sostegno vitale” vanno fatti rientrare gli strumenti assistenziali di gestione infermieristica necessari per garantire la tracheoaspirazione, lo svuotamento di vescica ed intestino anche attraverso stomie esterne, nonché il trattamento di lesioni cutanee di frequente insorgenza in persone allettate o con problemi cardiocircolatori. Risulta quindi assolutamente ragionevole qualificare come “trattamenti di sostegno vitale”, la cui interruzione provocherebbe il decesso del paziente, l’insieme integrato di trattamenti sanitari medico-infermieristici che mantengono in vita pazienti “cronicamente critici” e non un singolo apparecchio/presidio/farmaco”. A conferma di ciò, il requisito del sostegno vitale è stato in questi anni più volte interpretato dalle Corti e dai Comitati etici in modo estensivo».

L’INDIRIZZO DELLA CORTE COSTITUZIONALE

Difficile prevedere quale sarà l’esito della decisione (Relatore Modugno/Viganò). Possiamo però ricordare le parole del Presidente della Corte Costituzionale, Augusto Barbera, nella sua relazione dinanzi al Capo dello Stato Mattarella lo scorso marzo, quando strigliò il Parlamento per non avere ancora approvato una legge sul fine vita: « Non si può non manifestare un certo rammarico per il fatto che nei casi più significativi il legislatore non sia intervenuto, rinunciando ad una prerogativa che ad esso compete, obbligando questa Corte a procedere con una propria e autonoma soluzione, inevitabile in forza dell’imperativo di osservare la Costituzione. È con questo spirito che si auspica sia un intervento del legislatore che dia seguito alla sentenza n. 242 del 2019 (il cosiddetto caso Cappato), sul fine vita, sia un intervento che tenga conto del monito relativo alla condizione anagrafica dei figli di coppie dello stesso sesso. In entrambi i casi il silenzio del legislatore sta portando, nel primo, a numerose supplenze delle assemblee regionali; nel secondo, al disordinato e contraddittorio intervento dei Sindaci preposti ai registri dell’anagrafe».

 

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