Corte di Lussemburgo su utilizzo dati traffico comunicativo

 Tiziana Roselli, Valentina Stella Dubbio 9 settembre 2023

 

Cambio delle regole in chiave garantista nelle inchieste penali in merito all’utilizzazione dei dati di traffico comunicativo detenuti dal gestore di comunicazione elettronica. Lo ha deciso la Corte di Giustizia dell’Unione Europea con una sentenza dello scorso 7 settembre. Il fatto: un procuratore lituano è stato rimosso dalle sue funzioni perché, nell’ambito di una indagine da lui diretta, aveva fornito informazioni in modo illecito a un indagato e al suo avvocato durante alcune conversazioni telefoniche. La conferma di questa condotta illecita è stata ottenuta grazie ai dati forniti dai provider di servizi di comunicazione elettronica. In risposta, il procuratore lituano ha contestato l'uso dei tabulati telefonici, sostenendo che ciò costituiva un abuso ingiustificato dei diritti fondamentali delle persone, protetti dall’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche. Il procuratore fa ricorso al Tribunale amministrativo regionale di Vilnius che gli dà torto. Si rivolge allora Corte amministrativa suprema di Lituania che sospende il giudizio e invia gli atti alla Corte di Lussemburgo. La sentenza: la Corte di Giustizia ha deciso che «i dati personali relativi al traffico e all’ubicazione conservati da fornitori in applicazione di una misura adottata ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva “relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche” ai fini della lotta alla criminalità grave e messi a disposizione delle autorità competenti a fini di lotta alla criminalità grave, non possono essere successivamente trasmessi ad altre autorità e utilizzati ai fini della lotta contro condotte illecite di natura corruttiva, che sono di importanza minore rispetto all’obiettivo della lotta alla criminalità grave». In pratica ha dato ragione al procuratore. Questa decisione, contenuta nella causa C-162/22, ha notevoli implicazioni per la protezione dei dati personali e la tutela della vita privata nell'ambito delle comunicazioni elettroniche perché individua un limite all’uso indiscriminato del dato acquisito dal gestore delle comunicazioni. Secondo la Corte, solo la lotta contro reati gravi può giustificare ingerenze nei diritti fondamentali, come previsto dagli articoli 7 e 9 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

Per quanto riguarda l’ordinamento lituano, in particolare, la sentenza ha stabilito chiaramente che i dati personali relativi al traffico e all'ubicazione conservati dai fornitori di servizi di comunicazione elettronica ai fini della lotta alla criminalità grave non possono essere utilizzati in indagini per condotte illecite di natura corruttiva nel servizio pubblico, a meno che non siano presenti determinate condizioni. Queste condizioni includono una conservazione mirata dei dati, limitata nel tempo e basata su criteri oggettivi e non discriminatori, e il rispetto del principio di proporzionalità.

La Corte ha sottolineato che la lotta alla criminalità grave e la prevenzione di minacce gravi alla sicurezza pubblica hanno un'importanza maggiore rispetto alla lotta contro la criminalità in generale. Pertanto, solo in queste circostanze eccezionali è giustificata un'ingerenza nei diritti fondamentali dei cittadini attraverso la conservazione dei dati relativi al traffico e all'ubicazione. Ora che succede? Ovviamente la Corte europea non risolve la controversia nazionale. Spetterà al giudice nazionale risolvere la causa conformemente alla decisione della Corte. Le possibili ricadute per l’Italia: sicuramente si tratta di una sentenza di rilievo che porterà ad una ampia riflessione da parte degli esperti. Si potrebbe, ad esempio, ipotizzare che se l’autorità giudiziaria chiede al gestore alcuni dati in merito ad indagini per reati di mafia e poi li utilizza per un procedimento che riguarda reati non di mafia potrebbe esserci una violazione della direttiva. In realtà adeguare l’ordinamento interno a quello comunitario non è impresa facile. Ad esempio occorre chiedersi cosa si intenda per il nostro Paese ‘reato grave’: tutti quelli per i quali è possibile intercettare? Nel nostro caso in questo elenco vi è anche la corruzione.  Occorre ricordare che su una materia simile il nostro Paese si è già dovuto confrontare nel 2021 quando il Consiglio dei ministri approvò un decreto legge su proposta dell’allora ministra della Giustizia Marta Cartabia con cui l'Italia si adeguava alla sentenza della Corte di Giustizia Ue del 2 marzo 2021. La sentenza della Corte riguardava l'Estonia: l’accesso ai dati conservati dai fornitori poteva essere consentito solo a determinate condizioni: in presenza di «forme gravi di criminalità» o per far fronte a «gravi minacce alla sicurezza pubblica», a prescindere dal periodo di tempo cui i dati ineriscono, dalla quantità e qualità degli stessi e se vi fosse stata la preventiva autorizzazione di un’autorità giudiziaria o amministrativa indipendente e terza rispetto alle parti, pubbliche e private. In sintesi, precludeva all’organo inquirente titolare delle indagini il potere di acquisizione diretta di tali informazioni e dati personali. Vedremo nei prossimi mesi cosa farà il Governo rispetto a questa importante decisione d’oltralpe.

Commenti

Post popolari in questo blog

Le commissioni di inchiesta in Parlamento

«L’avvocato non può essere identificato con l’assistito»

«Ridurre l’arretrato civile del 90%? Una chimera» Nordio ripensa l’intesa con l’Ue