Cospito: intervista a Livio Pepino

 Angela Stella Il Riformista 4 febbraio 2023

 

Livio Pepino, già magistrato e presidente di Magistratura democratica, attualmente presidente di Volere la Luna e direttore editoriale delle Edizioni Gruppo Abele, ha firmato insieme a numerosi intellettuali un appello per revocare il 41 bis ad Alfredo Cospito. Oggi ci dice: “la scelta è squisitamente politica. Spetta a Nordio decidere se Cospito può continuare a vivere o deve morire”.

 

“Apriremmo una diga a tutta una serie di pressioni da parte di detenuti che si trovano nello stesso stato” di detenzione se “lo stato di salute” di Cospito finisse per essere un condizionamento nell'allentamento del 41bis, ha detto il ministro Carlo Nordio ieri nella sua informativa alla Camera sul caso dell’anarchico. Cosa ne pensa di questa affermazione?

 

È un’affermazione tanto suggestiva quanto infondata. Rispondo con una domanda: “Quanti crede il ministro che siano i detenuti disposti a fare 105 giorni di sciopero della fame, a perdere oltre 40 kg, a rischiare la vita per ottenere un allentamento del proprio trattamento penitenziario”?

 

Alfredo Cospito può restare al 41 bis oppure tornare al regime di alta sicurezza, con tutte le dovute cautele, sostiene la DNA. Mentre per il procuratore Saluzzo deve restare al 41 bis. Ora la palla passa a Nordio che diceva di attendere i pareri per decidere. Quanto è in difficoltà Nordio ora che forse sperava di non avere due opzioni sul suo tavolo? 

 

Che la speranza di Nordio fosse quella di avere una soluzione preconfezionata da altri è evidente in tutta la gestione di questa drammatica vicenda. Ora, peraltro, deve assumersi le sue responsabilità. La diversità dei pareri delle Procure (che comunque non sono vincolanti per il ministro) dimostra che c’è spazio per una pluralità di decisioni e che la scelta è squisitamente politica: spetta a Nordio decidere se Cospito può continuare a vivere o deve morire.

 

Parlando con il consigliere regionale di +Europa Usuelli, Cospito ha detto che "non si sente di dire nulla a chi li sta compiendo, nemmeno di condannarli", riferendosi alle violenze messe in atto dagli anarchici in Italia e all'estero. Lei non crede che questo non giovi alla causa?

 

È evidente che non gli giova. Ma ciò perché c’è un errore di fondo nell’approccio alla situazione. Nessuno pensa che Cospito sia un mite e innocuo non violento. Al contrario, è pacifico che abbia commesso gravi reati e che ne abbia rivendicato la coerenza politica. Tutto questo, peraltro, è stato oggetto di valutazione nei processi che ha subito e nei quali è stato condannato a pene assai rilevanti, che sta scontando e per cui non ci sono richieste di riduzione. Oggi non si tratta di fare nuovamente quella valutazione ma solo di esaminare se ci sono le condizioni per sottoporlo al regime del 41 bis. Condizioni a dir poco dubbie. Perché tale regime è finalizzato a impedire i collegamenti con l’organizzazione criminale di appartenenza mentre la galassia anarchica, anche quella dedita ad atti di violenza, rifugge per definizione dall’organizzazione e dalla gerarchia ed opera per gruppi separati e autonomi anche se legati da affinità e perché Cospito ha continuato, nella prima parte della sua carcerazione, a partecipare a dibattiti pubblici e a scrivere articoli che, se pure incitavano alla violenza, sono cosa del tutto diversa dalla definizione di progetti eversivi con appartenenti a una stessa organizzazione. E poi perché, rispetto al momento iniziale della applicazione del 41 bis, la sua situazione è profondamente mutata per lo sciopero della fame, per le sue delicate condizioni di salute, per il rischio di una morte imminente, per il contesto di riferimento, per la sua stessa vita sotto i riflettori: elementi tutti che possono e devono essere tenuti presenti nella rivalutazione dei presupposti del regime del 41 bis.

 

Nell'appello che lei ha elaborato e sottoscritto insieme ad altri si legge che il 41 bis si è trasformato "da strumento limitato ed eccezionale per impedire i contatti di detenuti di particolare pericolosità con l’organizzazione mafiosa di appartenenza in aggravamento generalizzato delle condizioni di detenzione". Andrebbe dunque ripensato e come?

Andrebbe ripensato tornando alle origini, con un’applicazione limitata sul piano quantitativo e caratterizzata qualitativamente da prescrizioni modificatrici delle condizioni di detenzione esclusivamente nei profili che consentono collegamenti con associati alla stessa organizzazione criminali dentro e fuori dal carcere. In altri termini, è legittimo – e anzi doveroso – che lo Stato intervenga per evitare che i boss mafiosi continuino, seppur in carcere, a svolgere le proprie attività criminali; non lo è creare un circuito carcerario più afflittivo sulla base della natura dei reati commessi. Come fare per raggiungere il risultato indicato? Da un lato prevedere indicazioni legislative più stringenti per l’applicazione della misura, dall’altro aprire un ampio confronto culturale, che coinvolga il Parlamento, l’Amministrazione penitenziaria e la magistratura sul funzionamento in concreto del 41 bis.

 

Sollevate perplessità anche in tema di ergastolo ostativo. È così difficile per la politica pensare che anche il peggior criminale dopo una lunga carcerazione e un percorso di rieducazione possa usufruire di quel "diritto alla speranza" di cui scriveva il giudice Santalucia nel rimettere alla Consulta il caso Pezzino?

 

Non dovrebbe essere difficile ma, evidentemente, lo è. Eppure nessuno propone indebiti “liberi tutti”. Quel che si chiede è di evitare automatismi e di attribuire alla magistratura la valutazione delle situazioni, per definizione diverse, individuando i casi in cui è possibile attenuare il rigore dell’ergastolo con benefici specifici e quelli in cui ciò non è possibile. Perché non lo si fa? Perché l’ergastolo ostativo (come il regime del 41 bis) è considerato dai più un veicolo per fiaccare la resistenza dei detenuti e per indurli a collaborare con la giustizia. Ma non è questa la finalità della pena...

 

Cosa ne pensa della polemica Donzelli/Delmastro e Partito Democratico?

 

Penso tutto il male possibile. Non solo per la spregiudicatezza e l’analfabetismo istituzionale di due parlamentari della Repubblica ma anche per i balbettii del ministro guardasigilli che, anche in questo caso, fa Ponzio Pilato in Parlamento e, poi, dirama una nota in cui inventa categorie giuridiche inesistenti e si spinge ad affermare che la dicitura “limitata divulgazione” apposta su un atto amministrativo proveniente da un carcere di massima sicurezza ne consente la lettura in Parlamento e, dunque, la massima pubblicità (sic!). E, poi, per la presentazione come scoop sconvolgente di fatti assolutamente banali. Che Cospito parli con altri detenuti al 41 bis, infatti, non è una scelta ma una necessità (non essendoci nel carcere di Sassari detenuti in altro regime…), che i sottoposti al 41 bis ne auspichino l’abrogazione è un fatto intuitivo anche per chi non ha l’acume di Donzelli e che i parlamentari in visita a un carcere parlino, sotto gli occhi del personale di custodia, con chi vi è recluso è esattamente quanto a loro compete.

 

La giunta delle Camere penali in un post dal titolo "Cospito, 41 bis e la doppia morale delle anime belle" ha detto "Siamo lieti che in tanti oggi si mobilitino su questo tema, non avendolo mai fatto prima, purché non si pretendano cervellotiche distinzioni tra destinatari di quell’infausto regime detentivo". Come accoglie questa critica?

 

Non so dire a chi si rivolga la giunta delle Camere penali. Personalmente critico la situazione delle nostre carceri da decenni. Ma se qualcuno – politico, magistrato, avvocato o giornalista – ha percepito solo oggi la drammaticità di una situazione precedentemente ignorata non credo che ciò meriti dubbi o diffidenze. Sono, infatti, sempre le situazioni concrete che aiutano chi è in buona fede ad approfondire e, magari, a cambiare opinione.

 


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