Un nuovo corso per la giustizia, le toghe fanno mea culpa
di
Valentina Stella Il Dubbio online 22 gennaio 2022
Dopo la cerimonia di
ieri in Cassazione, oggi si inaugura l'anno giudiziario in tutte le Corti di
Appello d'Italia.
Per il presidente
della Corte di Appello di Roma, il dottor Giuseppe Meliadò, «i dati danno
atto della forte ripresa dell'attività giudiziaria presso tutti gli uffici del
distretto e confermano come non fosse velleitaria la previsione della
possibilità di riavviare, in tempi ravvicinati, le strategie di riduzione
dell'arretrato perseguite dalla magistratura romana». Certamente, prosegue
Meliadò, «in presenza di dati che confermano
come a tutt’oggi l’arretrato della Corte di appello di Roma costituisce quasi
il 20% dell’arretrato nazionale civile e penale, trasformando il problema dei
tempi del processo a Roma in una questione giudiziaria nazionale, non pare
contestabile che l’aumento degli organici della corte di appello capitolina
rappresenti uno dei principali snodi del cambiamento dell’organizzazione
giudiziaria italiana». In questo contesto, «che non rassicura, ma non consente
di guardare indietro, nell’anno che si è chiuso e proseguita nel nostro
distretto l’azione comune fra la magistratura e l’avvocatura che si è
rivelata decisiva per proseguire l’attività giudiziaria, garantendo la tutela
dei diritti, in una situazione inedita ed eccezionale» ha aggiunto. Ma nello
specifico di quali dati parliamo? Per quanto concerne il settore civile
«la Corte di Appello di Roma ha diminuito del 5% le pendenze, con un aumento
delle definizioni del 18%, e soprattutto che in un solo anno è riuscita a
contrarre del 18% le pendenze ultrabiennali, e che il Tribunale di Roma ha
ridotto le pendenze del 3%, con un aumento delle definizioni pari al 18%,
nonostante un aumento delle sopravvenienze del 10%. Il dato complessivo del
distretto per il settore civile evidenzia, in sintesi un aumento delle
definizioni nella misura del 9% e un abbattimento delle pendenze nella misura
dell’8%.». I dati del settore penale, invece, si rilevano «più
problematici ma non in controtendenza. Le pendenze presso la Corte non hanno,
tuttavia, subito, un ulteriore aggravamento e sono rimaste sostanzialmente
inviariate (48066 processi finali a fronte dei 48133 dell'anno scorso; ma erano
ben 52482 appena tre anni fa), mentre presso i Tribunali ordinari si registra
una diminuzione del 6,7% delle pendenze del dibattimento monocratico, ma un
aumento del 4,7% di quelle collegiali». Non poteva mancare un focus sull'Ufficio
per il Processo: «sta creando ampia apprensione fra i capi degli uffici,
specie per i problemi logistici che induce, a fronte di una edilizia
giudiziaria spesso insostenibile, e di cui Roma costituisce esempio fra i più
vistosi. Ma anche fra non pochi magistrati per il cambio di mentalità che
comporta. [...] Sull'Ufficio per il Processo, presso la Corte di Appello di
Roma è stata operata una scelta chiara, senza attendere il Pnrr» costituendo l'Upp
presso tutte le sezioni civili e penali. La conclusione non poteva non prendere
in considerazione la crisi che ha investito la magistratura: «
Non
posso che auspicare che la magistratura possa ritrovare fiducia in sé stessa,
nei suoi ‘valori di sempre’, orgogliosa per il contributo prezioso che ha dato
in questi anni al Paese per la tutela della democrazia e della legalità, ma
consapevole al tempo stesso della necessità di una profonda autocritica per
le cadute etiche e comportamentali che hanno minato la credibilità e che
impongono modifiche necessarie, che, senza pregiudicare l’autogoverno e il
pluralismo ideale confortino e sostengano quanti hanno operato e operano - e sono la stragrande maggioranza dei
magistrati - con trasparenza e indipendenza e spirito di servizio, per tutelare
i diritti e promuovere l’eguaglianza, così come vuole la nostra Costituzione»,
ha concluso Meliadò.
Invece nel capoluogo
siciliano il Presidente della Corte d'Appello di Palermo Matteo Frasca
nel suo intervento ha sottolineato come «la lunghezza ingiustificata del
processo penale, oltre a essere già una pena per gli imputati, colpevoli o
innocenti che siano, una sofferenza per le parti offese, un rischio per la
formazione della prova, un pregiudizio alla funzione rieducativa della pena, ha
prodotto altri effetti distorsivi nel sistema, spostando il baricentro,
anche mediatico, dal processo alla fase delle indagini preliminari, nelle
quali si prova a recuperare la celerità che manca nel primo, così come nelle misure
cautelari si tende a individuare un effetto anticipatorio della pena. E si
trascura, invece, che un processo dalla durata ragionevole concorre anche a
rafforzare la credibilità della fase investigativa». A Palermo è intervenuto
anche il consigliere del Csm, Nino Di Matteo: « Dovete
coltivare la pretesa che il Consiglio Superiore della Magistratura funga da
scudo contro quegli attacchi all'indipendenza della magistratura che vengono
mossi dall'esterno e dall'interno dell'ordine giudiziario. Mi impegnerò fino
all'ultimo giorno del mio mandato cercando di fare la mia parte per rendere
l'attività consiliare più lineare e trasparente ed affrancarla dagli impropri
condizionamenti di tipo politico o correntizio che ancora talvolta la
caratterizzano» e poi una critica alla riforma sul processo penale: «Va
segnalato il parere reso in tema di riforma del processo penale: la cosiddetta
“riforma Cartabia”. Il Consiglio ne ha anche evidenziato i numerosi e rilevanti
profili di criticità sia di ordine sistematico che di possibile frizione con
principi di rango costituzionale con particolare riferimento all'istituto della
improcedibilità per superamento dei termini di ragionevole durata del giudizio
di impugnazione».
«La ricerca del
consenso a tutti i costi è e deve rimanere un atteggiamento estraneo allo
svolgimento dell'attività giudiziaria, compreso ovviamente l'operato del
pubblico ministero, soggetto processuale sensibile ma non condizionato dalle esigenze
e dalle richieste delle parti»: è stata invece questo un passaggio
dell'intervento del Procuratore Generale di Milano Francesca Nanni, riferendosi a uno dei «rischi per la
giurisdizione, accompagnati secondo la prevalente narrazione mediatica da generale
perdita di prestigio nell'opinione pubblica conclamata». Un altro significato estratto della relazione
del magistrato è il seguente: « è scorretto e
pericoloso ritenere che l'esito della attività giudiziaria sia direttamente ed
esclusivamente collegato a compiti di prevenzione generale che coinvolgono
anche altri elementi della formazione individuale , dalla scuola, alla famiglia.
La vera prevenzione deriva non tanto dalla severità della pena, ma dalla
certezza della medesima, anzi dalla percezione di certezza della punizione che
i singoli possono avere». Sulla certezza della pena intervengono diversi
fattori: «sicuramente la presenza di decisioni puntuali e motivate, ma anche un
procedimento che conduca entro tempi ragionevoli a una decisione definitiva, un
efficiente sistema di esecuzione della sanzione, una informazione corretta e
non sensazionalistica", aggiunge il procuratore generale che ritiene la
lunghezza dei procedimenti "una piaga del nostro tempo, anzi la negazione
stessa del servizio che siamo chiamati a rendere», ha concluso Francesca Nanni.
Un altro monito è altresì giunto dal Presidente della Corte d'Appello di
Milano Giuseppe Ondei: « Il nudo efficientismo senz'anima
rischia di piegare i nobili orizzonti costituzionali verso un inaccettabile
modello di magistrato burocrate preoccupato più della sua carriera che della
tutela dei cittadini»
A Firenze invece è
intervenuto il vice presidente del Csm David Ermini: «Non vi siete
liberati di me… tra alcuni mesi mi vedrete di nuovo in queste aule giudiziarie,
con la mia borsa da lavoro e la mia toga. Spero non mi troverete cambiato.
Questi anni sono stati difficili e spesso amari; anni trascorsi non senza
sofferenza, ma vissuti anche con entusiasmo e nel rispetto delle istituzioni.
Non credo che mi abbiano cambiato, e spero voi ne possiate presto essere buoni
testimoni». Insieme a lui ha preso la parola il Procuratore generale di
Firenze, Marcello Viola, che ha auspicato che «il tempo che verrà possa
consegnarci, o forse consentirci di recuperare, una figura virtuosa di
magistrato, che costituisca modello per il presente e che soprattutto sia
possibile offrire anche alle future generazioni».
La Ministra della
Giustizia Marta Cartabia ha partecipato invece all'inaugurazione dell'anno
giudiziario di Reggio Calabria: « Quella che stiamo
vivendo è una fase difficile, piena di sfide, ma è anche una fase di rinnovati
slanci e molteplici opportunità, in un momento in cui l’intero Paese è in
fermento e progetta la sua ripresa, intorno al Piano nazionale di ripresa e
resilienza. Proprio in questo contesto di emergenza, sono state avviate alcune
riforme strutturali a lungo termine, 'riforme di sistema', per far fronte ai
cronici problemi richiamati tante volte da tanti anni nelle cerimonie di
inaugurazione dell’anno giudiziario: la durata dei processi e il fardello
dell’arretrato, prima di tutto. Mali divenuti nel tempo, insieme ai gravi fatti
emersi negli ultimi anni, causa di una progressiva e dannosa erosione di
fiducia da parte dei cittadini, degli operatori economici e degli osservatori
internazionali».
Tra le riforme di
sistema quella dell'improcedibilità che è stata bocciata dalla Procuratrice
generale facente funzioni di Bologna, Lucia Musti, durante il suo
intervento all'inaugurazione dell'anno giudiziario: « Per
quanto riguarda la peculiare situazione della Corte di appello di Bologna, con
diciottomila processi penali in attesa di fissazione in appello, la nuova disciplina
della improcedibilitaà provocherà conseguenze nefaste. Anche la cosiddetta
disciplina transitoria, complicata, servirà a molto poco. Numerosissimi saranno
i processi che saranno dichiarati improcedibili. Più coerente - ha detto nella
sua relazione per l'anno giudiziario - sarebbe stato mettere mano a una
generosa amnistia (soluzione che poco mi soddisfa) ovvero ad una seria
depenalizzazione invocata, invano, sin dall'ottobre 1989, all'alba dell'entrata
in vigore del nuovo codice di procedura penale».
Dal capoluogo
piemonte ha parlato invece il procuratore generale di Torino, Francesco
Saluzzo che nel suo intervento ha espresso «preoccupazione fortissima
l’idea che si possa sopprimere la facoltà di appello del pubblico ministero».
Ha aggiunto: «La complessa realtà della giustizia ha bisogno di una riforma
organica, sostanziale e processuale e non di singoli interventi disomogenei e
di proclami. Così come è necessario procedere senza indugi alla riforma della
legge elettorale del Consiglio superiore con un netto mio no al meccanismo del
sorteggio, neppure se temperato».
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