Assolta infermiera killer

 di Angela Stella Il Riformista 25 gennaio 2022

Era stata ribattezzata da tutti «l'infermiera killer», era stata incarcerata, aveva perso il lavoro che amava. Tutto sbagliato però perché Fausta Bonino è innocente: lo ha stabilito ieri la Corte di Appello Firenze che l'ha assolta dall'accusa di omicidio plurimo volontario. La donna era finita a processo per i decessi anomali di dieci pazienti, avvenuti, secondo la tesi accusatoria, somministrando iniezioni letali di eparina, un potente anticoagulante, nell'ospedale di Piombino (Livorno) tra il 2014 e il 2015. Venne arrestata il 30 marzo 2016, dopo un'inchiesta dei carabinieri del Nas. Il 20 aprile dello stesso anno il Tribunale del Riesame di Firenze annullò l'ordinanza di custodia in carcere e Fausta Bonino venne rimessa in libertà. In primo grado, il 19 aprile 2019, era stata condannata all'ergastolo, nonostante la scelta del rito abbreviato, per quattro dei dieci decessi contestati.  Per lei, invece, in appello il pg Fabio Origlio aveva chiesto l'ergastolo per nove dei dieci casi di decessi anomali di pazienti, spiegando il movente con il disagio della donna nei confronti dell’ospedale perché si sentiva sottovalutata. Mentre il suo legale, l'avvocato Vinicio Nardo, subentrato per il secondo grado, ne aveva chiesto l'assoluzione. Bonino, 58 anni, è stata quindi assolta con la formula «per non aver commesso il fatto»; è stata invece condannata per ricettazione a un anno e mezzo per il possesso di alcuni farmaci (pena sospesa con la condizionale). Alle lettura del dispositivo la donna è scoppiata in lacrime e subito dopo ha detto: «ancora non ci credo, non potevano accusarmi per delle menzogne dette da qualcuno, non c'era altro. Sono ancora stordita, è finito un incubo. Finalmente è stata fatta giustizia e i giudici hanno capito la mia innocenza. Adesso voglio solo stare con la mia famiglia». Purtroppo questo processo, ci spiega l'avvocato Nardo, «è stato caratterizzato necessariamente anche da un processo mediatico parallelo. Ciò avviene spesso in questi casi sensazionalistici che toccano l'emotività sociale. Il pericolo è che si verifichi quella che gli scienziati hanno definito la cosiddetta "visione a tunnel”. Gli inquirenti hanno l'ansia di trovare un colpevole per sedare le preoccupazioni della collettività; una volta che hanno individuato, in assoluta buona fede, quello che secondo loro può essere il colpevole tendono ad eliminare tutti quegli elementi alternativi che non conducono sul loro indiziato. È un fenomeno che chiede grande professionalità per essere gestito, anche perché molte volte è inconscio. Bisogna invece sempre avere dei dubbi e fare delle indagini su tutti gli aspetti». In più ci spiega il legale «questo era un processo indiziario. Tali tipi di processi si fondano su un ragionamento che salta logicamente da un dato certo ad un altro dato certo. Ma se uno di questi elementi poi si rivela non certo, si spezza la catena. Ed è questo che è accaduto in tale procedimento».  Non è stato dimostrato né quale tipo di eparina né quale metodo di somministrazione abbia usato l'infermiera. In più «in merito all'accesso al reparto gli inquirenti hanno dato per scontato che l'ingresso al reparto fosse controllato e invece non lo era. E chiaramente questo è un sassolino che può essere diventato una slavina. Ma lo scopriremo solo leggendo le motivazioni della sentenza». Infatti le testimonianze di quattro persone, tra medici e infermieri dell'ospedale di Piombino (Livorno), sentite in questo secondo grado di giudizio, hanno riferito al processo che l'accesso al reparto dove era in servizio Fausta Bonino fosse possibile anche senza badge di riconoscimento del personale autorizzato: ciò potrebbe essere stato determinante per la sentenza di assoluzione pronunciata ieri dalla Corte di assise di appello di Firenze, insieme alle nuove dichiarazioni dei periti scientifici. Alla fine, conclude l'avvocato Nardo, abbiamo ottenuto «una sentenza giusta e ringrazio i giudici che hanno avuto i nervi saldi e non sono stati influenzati dall’emotività. Questa circostanza, poi, dimostra quanto è importante l'appello nel nostro sistema giudiziario». 

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