Recepimento della direttiva europea sulla presunzione di innocenza: è davvero la fine dei processi mediatici?

 

di Valentina Stella, GiustiziaInsieme 14 dicembre 2021

Sommario: 1. Le novità principali -  2. Profili critici rilevati in fase di dibattito parlamentare - 3. Era necessario questo cambiamento? - 4. Se e come cambieranno i processi mediatici paralleli.

1. Le novità principali

Con ben cinque anni di ritardo, l'Italia ha recepito la direttiva 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016 sul «rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali». Era stata la stessa Ministra della Giustizia Marta Cartabia a spronare il Parlamento in tal senso durante la condivisione delle linee programmatiche alle Camere.  Il nostro Consiglio dei Ministri ha dato il via libero definitivo al decreto legislativo lo scorso 4 novembre, preceduto da un iter travagliato di discussione parlamentare: i due schieramenti che si sono fronteggiati sono stati quello del Partito Democratico e del Movimento Cinque Stelle da un lato e quello della destra insieme ad Azione ed Italia Viva dall'altro lato. Il primo gruppo avrebbe voluto un recepimento soft, il secondo limitare al massimo la comunicazione delle Procure. Alla fine, dopo diversi rinvii per l'emanazione dei pareri non vincolanti nelle Commissioni giustizia di Camera e Senato, i partiti hanno trovato un accordo e hanno inviato al Governo un testo (relatori: il senatore leghista Andrea Ostellari e il responsabile giustizia di Azione, l'onorevole Enrico Costa) che è stato recepito in pieno. La norma è in vigore dal 14 dicembre di quest'anno. Vediamo quali sono le novità principali.

L'articolo 2 prevede il divieto per le «autorità pubbliche» (magistrati, forze di polizia, ma anche Ministri) di indicare pubblicamente come colpevole la persona sottoposta a indagini.  In caso di violazione di tale divieto, la norma prevede il diritto di rettifica in capo all’interessato, ferme restando le sanzioni penali e disciplinari e il risarcimento del danno.

Secondo l'articolo 3 invece il Procuratore della Repubblica può comunicare con i media solo tramite comunicati stampa. Nei casi di «particolare rilevanza pubblica dei fatti» ci sarà la possibilità di indire da parte del Procuratore, o un magistrato delegato, conferenze stampa ma la decisione di convocarle «deve essere assunta con atto motivato in ordine alle specifiche ragioni di pubblico interesse che lo giustificano». L' «atto motivato» ha rappresentato un punto cruciale della discussione parlamentare ed ha costituito l'approdo di mediazione, rispetto a chi avrebbe voluto vietare sempre le conferenza stampa.

Lo stesso principio vale per la comunicazione delle forze di polizia giudiziaria: «il procuratore della Repubblica può autorizzare gli ufficiali di polizia a fornire, tramite propri comunicati ufficiali oppure proprie conferenze stampa, informazioni sugli atti di indagine compiuti o ai quali hanno partecipato»; «l’autorizzazione è rilasciata con atto motivato in ordine alle specifiche ragioni di pubblico interesse che lo giustificano».

Il medesimo articolo prevede anche di non «assegnare ai procedimenti pendenti denominazioni lesive della presunzione di innocenza».

L’articolo 4 prevede invece che nei provvedimenti diversi da quelli volti alla decisione in merito alla responsabilità penale dell’imputato (ad esempio quelli cautelari, secondo l'interpretazione di alcuni giuristi), la persona sottoposta a indagini o l’imputato non possono essere indicati come colpevoli fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza definitiva.

Un ulteriore aspetto molto importante è che «sia specificato all’articolo 314 del codice di procedura penale che la condotta dell'indagato che in sede di interrogatorio si sia avvalso della facoltà di non rispondere non costituisce, ai fini del riconoscimento della riparazione per ingiusta detenzione, elemento causale della custodia cautelare subìta».

2.  Profili critici rilevati in fase di dibattito parlamentare

Prima di arrivare al testo definitivo, le Commissioni parlamentari hanno tenuto un ciclo di audizioni con giuristi, magistrati, avvocati da cui sono emerse alcune problematicità.  Ad esempio il dottor Giuseppe Santalucia, Presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati, sebbene abbia detto che «il testo complessivamente può trovare condivisione perché il bisogno di rafforzare la presunzione di innocenza è certamente un bisogno meritevole di considerazione», ha però rilevato delle criticità, soprattutto sull'art. 3: «Si sono voluti irrigidire, attraverso l'esclusivo riferimento ai comunicati ufficiali e alle conferenze stampa, i rapporti tra l'ufficio di Procura e la stampa. Ritengo che questa sia una eccessiva ingessatura che bandisce qualsiasi possibilità che il Procuratore della Repubblica possa rendere una dichiarazione ad un giornalista fuori da una conferenza stampa». Santalucia si  era chiesto poi «perché le modifiche debbano valere solo per gli uffici di procura e non anche per i giudici». Insomma, aveva concluso: «Mi rendo conto della necessità di richiamare l'attenzione, soprattutto della magistratura requirente, a sobrietà e continenza con i rapporti con la stampa ma credo che questa eccessiva formalizzazione dei canali di comunicazione possa rivelarsi in concreto più lesiva del bisogno di una corretta informazione». Se per l'Anm i paletti erano stati ritenuti troppo rigidi, di parere contrario si era mostrata l'Unione Camere Penali Italiane intervenuta in audizione con gli avvocati Giorgio Varano e Luca Brezigar: « Le norme, così come formulate, rischiano di essere dei meri desiderata che non avranno mai concreta applicazione». Inoltre avevano tacciato la norma di essere troppo indeterminata nel non elencare nel dettaglio le «autorità pubbliche». In aggiunta, avevano stigmatizzato il fatto che a decidere la rilevanza pubblica di un fatto degno di conferenza stampa è la stessa Procura che ha condotto le indagini, la stessa che «decide l’eventuale iscrizione di notizie di reato in tema di diffamazione e l’esercizio dell’azione penale sullo stesso tipo di reato - sulla base magari dell’assenza di rilevanza pubblica della notizia». In generale, per l'Ucpi, « affidare in via esclusiva alla magistratura la tutela del diritto alla presunzione di innocenza » non rappresenta il giusto rimedio che invece potrebbe essere quello di « un Garante per i diritti delle persone sottoposte ad indagini e processo che potrebbe realmente diventare quel soggetto “terzo” capace di tutelare i diritti di chi viene sottoposto ad un processo mediatico e di chi viene potenzialmente esposto allo stesso da atti della magistratura violativi dei principi declinati dalla direttiva europea»[1].

3. Era necessario questo cambiamento?

È la domanda che in molti si stanno ponendo. Da un punto di vista formale, e per evitare una possibile procedura di infrazione, il nostro Paese ha dovuto adeguarsi alla prospettiva europea. Tuttavia c'erano diversi modi per farlo. L'articolo 27 della Costituzione recita: « L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva». Quindi per alcuni commentatori sarebbe potuto bastare ribadire in qualche modo questo concetto per impedire una comunicazione colpevolista da parte, tra l'altro, delle autorità pubbliche fino ad una sentenza passata in giudicato. Ma sappiamo che in molte circostanze lo spirito costituzionale è stato tradito. È innegabile infatti che una fetta della magistratura e un'altra della polizia giudiziaria in questi anni si siano rese protagoniste di scomposte autocelebrazioni pubbliche attraverso reboanti conferenza stampa in pompa magna e mediante produzione audiovideo di materiali d'indagine a mo' di fiction giudiziarie confezionate su misura per i media. Un esempio su tutti:  il video confezionato dal Ris del furgone bianco di Massimo Bossetti, che continuava a girare intorno alla palestra di Yara Gambirasio il giorno della scomparsa della 13enne. Fu dato alla stampa  prima del processo e descritto come una delle prove decisive della colpevolezza del muratore di Mapello ma poi ci fu un vero colpo di scena. Durante il processo di primo grado, il comandante del Ris ammise, incalzato da uno dei difensori di Bossetti, che il realtà era un montaggio di un unico frame del furgone dell'imputato con molti altri di diversa provenienza, usato solo a scopo mediatico e privo di qualsiasi rilevanza probatoria, tanto è vero che non fu inserito nel fascicolo. A tal proposito qualche mese fa il gip del Tribunale di Milano Fabrizio Filice ha archiviato, come chiesto dal pm, un procedimento penale per diffamazione, partito da una denuncia del comandante dei Ris, a carico di ben sedici giornalisti che avevano definito quel video «un filmino tarocco», una «patacca». Nelle sue motivazioni il gip è lapidario: «è quindi chiaro che la cronaca e la critica giornalistica, nel caso di specie, non solo si sono inserite su un fatto obiettivo, di indubbio interesse pubblicistico e certamente non frutto di loro invenzione o di artefatto, ma siano state anche mosse dal fondamentale principio della presunzione di innocenza dell'imputato che, in base alla direttiva UE n. 343 del 2016, oggetto di recente recepimento da parte dell'Italia, deve proteggere le persone indagate o imputate in procedimenti penali da sovraesposizioni mediatiche deliberatamente volte a presentarli all'opinione pubblica come colpevoli prima dell'accertamento processuale definitivo». 

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