Caso Shalabayeva: 6 condannati per sequesto di persona
di Angela Stella Il Riformista 15 ottobre 2020
Sono stati tutti condannati dal Tribunale di Perugia
gli imputati nel processo relativo all'espulsione dall'Italia di Alma
Shalabayeva. La sentenza è arrivata nel tardo pomeriggio di ieri dopo circa nove
ore di camera di consiglio. Presenti in aula tutti e sette gli imputati, sei
dei quali condannati per sequestro di persona. Le condanne sono più alte
rispetto alle richieste fatte dal pubblico ministero Massimo Casucci: inflitti
cinque anni di reclusione sia all'ex capo della squadra mobile di Roma Renato
Cortese, ora questore di Palermo, sia a Maurizio Improta, all'epoca capo
dell'ufficio immigrazione della questura capitolina e ora al vertice della
Polizia Ferroviaria. Lo scorso 23
settembre il pm aveva chiesto due anni e quattro mesi per il primo e due anni e
due mesi per il secondo. Il Tribunale, presieduto da Giuseppe Narducci, ha
condannato inoltre l'allora giudice di pace Stefania Lavore a due anni e mezzo
di reclusione, i funzionari della mobile romana Luca Armeni e Francesco Stampacchia
a cinque anni, e quelli dell'Ufficio immigrazione Vincenzo Tramma e Stefano
Leoni, rispettivamente a quattro anni e tre anni e sei mesi di reclusione. Per Armeni,
Cortese, Improta e Stampacchia è stata disposta l'interdizione perpetua dai
pubblici uffici. Armeni, Cortese, Improta, Leoni, Stampacchia, Tramma sono stati
riconosciuti responsabili di sequestro di persona commesso da un pubblico
ufficiale nei confronti di Alma Shalabayeva, e della loro figlia Alua. Assolta
per questo reato invece il giudice Lavore. Nel processo, oltre al sequestro di
persona, erano contestati diversi episodi di falso e abuso. Gli imputati hanno
sempre sostenuto la correttezza del loro operato. In fase preliminare erano
stati prosciolti l'assistente di Improta, la poliziotta Laura Scipioni,
"perché il fatto non costituisce reato" e anche i tre funzionari
dell'ambasciata del Kazakistan per i quali è stata riconosciuta l'immunità
diplomatica. L'avvocato di parte civile, il professor Astolfo Di Amato, ha commentato
la decisione di ieri: "Una sentenza di condanna non può essere una
soddisfazione. Invito però a ragionare su un fatto: gli imputati non avevano
alcun interesse a fare quello che il processo ha dimostrato hanno fatto. Evidentemente
hanno obbedito a degli ordini, ma chi quegli ordini ha dato l'ha fatta
franca".
I fatti Tutto iniziò la notte tra il 28 e 29 maggio
2013, quando Alma Shalabayeva e la figlia furono prelevate dalla polizia in una
abitazione di Casalpalocco; erano ospiti di Bolat Seriyalev e di sua moglie,
sorella della Shalabayeva, dopo aver abbandonato il Regno Unito. Le forze
dell'ordine cercavano il marito, il dissidente kazako Muktar Ablyazov, ma alla
donna venne contestata l'accusa di possesso di un passaporto falso. La mattina
del 29 maggio il prefetto di Roma, ricevuti gli atti dalla questura, decretò l’espulsione
della cittadina extracomunitaria Alma Ayan, poiché entrata in Italia sottraendosi
ai controlli di frontiera e quindi illegalmente soggiornante. A seguito del
decreto prefettizio la Shalabayeva e la figlia, dopo un passaggio intermedio
presso l’ufficio immigrazione della Questura, furono trasferite al CIE di Ponte
Galeria. Il 31 maggio il giudice di pace di Roma, Avv. Stefania Lavore,
convalidò il trattenimento della Shalabayeva presso il CIE. Lo stesso giorno la
Shalabayeva e la figlia vennero accompagnate all’aeroporto di Ciampino da
personale dell’ufficio immigrazione della Questura, imbarcate su un velivolo noleggiato
dalle autorità kazake e trasferite ad Astana, capitale del Kazakistan. Il 18 luglio
2013 l’Alto Commissariato dei diritti umani dell’ONU (UNHR) emise un comunicato
ufficiale, stilato da tre suoi esperti, in cui espresse un giudizio di
irregolarità sulla procedura di espulsione seguita per Alma Shalabayeva e la
figlia e invitò L'Italia e il Kazakistan ad assicurare un rapido ritorno delle
interessate nel nostro Paese. La donna e la figlia sono poi tornate in Italia e a Shalabayeva
nell'aprile 2014 è stato riconosciuto l'asilo politico.
Commenti
Posta un commento