Il J'accuse di Sollecito: Assolto ma faccio il colpevole a vita

 di Angela Stella Il Riformista 13 ottobre 2020

Raffaele Sollecito aveva 23 anni quando per lui si sono aperte le porte del carcere: era il 6 novembre 2007 e vi è rimasto fino al 3 ottobre 2011. Mancava una settimana alla laurea e invece la sua vita fu stravolta in un attimo: sbattuto in prima pagina insieme alla sua fidanzatina dell'epoca, Amanda Knox, venne dipinto come il mostro che aveva sgozzato la studentessa inglese Meredith Kercher per un gioco erotico finito male. Sei mesi di isolamento, quattro anni di carcere, cinque gradi di giudizio per determinare la sua completa estraneità ai fatti. Il 27 marzo 2015 la Corte di Cassazione lo assolve definitivamente 'per non aver commesso il fatto'. Nonostante questo molti lo credono ancora colpevole e su di lui si è posato uno stigma sociale che fa fatica a scomparire. Persino tra noi giornalisti l'assoluzione non è bastata a riabilitare Raffaele: basti leggere l’articolo di Marco Travaglio, pubblicato il 29 marzo 2015, che continuava a sostenere che la “verità sostanziale” non è quella “processuale”. Nel 2017, incredibilmente, a Sollecito è stato negato il risarcimento per ingiusta detenzione perché secondo i giudici sarebbe stato lui ad indurre in errore gli investigatori; successivamente ha deciso di fare causa ad alcuni magistrati che lo hanno accusato e condannato chiedendo oltre tre milioni di euro in virtù della legge sulla responsabilità civile dei togati che prevede cause “per dolo o colpa grave”. Anche questa richiesta è stata respinta qualche settimana fa dal Tribunale di Genova.  

 

Raffaele ancora una volta lo Stato ti ha voltato le spalle.

 

Gli avvocati che mi seguono in questo procedimento, Antonio e Valerio Ciccariello, faranno appello contro questa decisione del Tribunale di Genova. Lo Stato sta semplicemente seguendo la scia della credenza popolare: nella nostra cultura c'è purtroppo sempre l'idea che se vieni accusato qualcosa sicuramente hai fatto, anche se poi vieni assolto. Se non trovano le prove è solo perché sei stato bravo a nasconderle. Questo pregiudizio è alimentato sicuramente dai media che pubblicizzano le prove dell'accusa in maniera tendenziosa a favore di chi sta conducendo le indagini. Però spero che alla fine vengano fuori le responsabilità di chi si è macchiato di gravissime colpe come quella di aver distrutto per sempre la mia vita. Io non cerco vendetta, vorrei soltanto che le persone che hanno sbagliato si assumano le proprie responsabilità pubblicamente per onore della verità.

 

Vuoi condividere con noi qualche punto che avete evidenziato nella vostra richiesta?

 

Ce ne sono tantissimi, ma faccio qualche esempio in riferimento alla fase preliminare: dal momento in cui entrai in Questura mi fu impedito, da persona indagata del reato, di usare il cellulare per chiamare mio padre o un avvocato. Vi fu una errata interpretazione dei miei tabulati telefonici, così come dell'impronta della mia scarpa Nike che una errata perizia aveva dichiarato compatibile con una impronta trovata sulla scena del delitto; uno dei due computer  che mi furono sequestrati e che avrebbe consentito una puntuale verifica del mio alibi fu, come dice la Cassazione, “incredibilmente bruciato da improvvide manovre degli inquirenti che ne causarono shock elettrico". Inoltre la mia difesa non ebbe a disposizione, al momento della conclusione delle indagini preliminari, tutti gli atti investigativi come previsto dalla legge, e ciò si protrasse almeno per tutta la fase dell’udienza preliminare; le modalità con cui furono analizzati il gancetto del reggiseno e il coltello da cucina, come anche sul punto stigmatizzato dalla Corte di Cassazione, rappresentarono totale e palese “violazione delle regole consacrate dai protocolli internazionali". E questo sarebbe un modo serio di condurre una indagine?

 

Negli ultimi giorni alcuni giornali, a partire da Repubblica, hanno sollevato la polemica relativa alle esose parcelle degli avvocati, Bongiorno e Maori, che ti hanno assistito nei processi precedenti.

 

La parcella era chiara, gli avvocati mi hanno seguito per moltissimi anni e si sono spesi molto per me. Il problema non è il quantum della parcella, ma semmai il fatto che io non mi sono andato a cercare tutto il danno che ho subito. In questo lo Stato è stato totalmente assente.

 

La Cassazione quando vi ha assolti ha scritto che ci si è trovati davanti ad "un iter obiettivamente ondivago, le cui oscillazioni sono, però, la risultante anche di clamorose défaillance o ‘amnesie’ investigative e di colpevoli omissioni di attività di indagine". Nonostante questo il vostro grande accusatore Giuliano Mignini, in un documentario Netflix, ha detto che «se Amanda Knox e Raffaele Sollecito sono colpevoli e la giustizia terrena non li ha raggiunti» riconoscano «le proprie colpe perché da credente so che la vita finisce in un processo senza appelli, ricorsi per Cassazione né revisioni». Come rispondi?

 

La giustizia divina farà il suo corso anche per lui. È lui quello convinto di essere al di sopra degli esseri umani e che crede di giudicare persone senza conoscerle. Si fa in questo caso portavoce del padre eterno e ciò lo trovo esagerato se non ridicolo. Ricordo che il Csm lo sanzionò con la censura per come mi aveva negato di parlare con il mio avvocato, oralmente e non per iscritto come previsto dalla norma.

 

Lo Stato ti ha anche negato il risarcimento per ingiusta detenzione perché in fondo è anche un po' colpa tua se sei finito in carcere, potevi difenderti meglio e non tentennare durante i primi interrogatori.

 

Si tratta di un altro paradosso assurdo delle nostre leggi. Addirittura sul risarcimento per ingiusta detenzione viene chiamata a decidere la stessa Corte di Appello, anche se una sezione diversa, che mi aveva precedentemente condannato. Quei giudici tra le righe arrivano a dire che io non sarei dovuto essere assolto. Tutto questo non ha senso. Non è possibile che in questo Paese non importi a nessuno se alcuni giudici sbagliano e ti rovinano l'esistenza sbattendoti in carcere per quattro lunghi anni da innocente.

 

Raffaele, come è trascorso la tua vita dopo la sentenza della Cassazione?

 

Oggi (ieri, ndr) parlando con dei miei amici dicevo proprio questo: in questo Paese si discriminano gli immigrati, gli omosessuali, quelli dell'Europa dell'Est senza alcuna giustificazione, ma a causa del pregiudizio e delle generalizzazioni. Nella loro sfortuna queste persone possono però aggregarsi e combattere l'ingiustizia che stanno subendo. Io invece sono stato discriminato in perfetta solitudine e in silenzio. Due aziende mi hanno fatto firmare un contratto di assunzione salvo poi mandarmi via dicendomi di non poter gestire l'esposizione mediatica e di non poter associare il nome della società alla mia persona.  Io non mi sono abbattuto e alla fine una azienda milanese che si occupa di welfare mi ha assunto. Ma la discriminazione è anche a livello sociale: sai quante persone alzano un muro verso di me per diffidenza o per non avere problemi collaterali a causa della mia vicinanza?  E sai perché tutto questo?

 

Dimmi.

 

Perché lo Stato italiano prima mi ha assolto ma poi ha detto 'alla fine te la sei andata un po' a cercare' e ha lasciato dei dubbi sulla mia persona che poi, amplificati dai media, hanno fatto presa nell'opinione pubblica. Io questo non lo posso accettare perché io non mi sono andato a cercare proprio nulla: è una scusa che trovano per continuare ad umiliarmi come hanno fatto in questi anni, quasi una rivalsa, una ultima parola sulla mia vita. Forse sono antipatico a qualcuno o mi ritengono un personaggio scomodo.

 

Qualcuno ancora pensa che sull'assoluzione ha pesato la pressione degli Stati Uniti.

 

 Ricordiamoci che dopo l'assoluzione di secondo grado Amanda è tornata negli Usa: quindi quale pressione avrebbero dovuto fare sulla Cassazione visto che la loro concittadina ormai era su suolo americano? E poi queste pressioni sono provate da qualcuno? Il fatto è che gli Usa hanno difeso Amanda perché avevano capito che non c'erano prove contro di lei, al contrario lo Stato italiano continua a punirmi.

 

Anche la vita dei tuoi familiari è stata profondamente stravolta da questa vicenda.

 

Purtroppo è così. Mia sorella Vanessa, quando fui arrestato, era un ufficiale dell’Arma dei Carabinieri e stava aspettando il passaggio automatico al servizio permanente. Dopo il mio arresto, intorno a lei si creò un clima strano, fu stigmatizzata e alla fine congedata. Dopo tanti anni ancora non riesce a trovare un lavoro. Spero che qualcuno possa darle una possibilità, così come è stata data a me.

 

 


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