Punta Perotti, Strasburgo condanna Italia

di Valentina Stella Il Meridione 29 giugno 2018

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con una sentenza non appellabile, ha stabilito che le autorità italiane non avrebbero dovuto procedere con la confisca di numerosi terreni per costruzione abusiva senza una previa condanna dei responsabili: la sentenza riguarda Punta Perotti (Bari), Golfo Aranci (Olbia), Testa di Cane e Fiumarella di Pellaro (Reggio Calabria) e tocca quattro società (Giem Srl, Hotel Promotion Bureau Srl, Rita Sarda Srl e Falgest Srl) e una persona (Filippo Gironda). Per i giudici le autorità italiane hanno violato gli articoli 7 (Nulla poena sine lege) e 6 (Diritto a un equo processo) della Convenzione europea e l’articolo 1 del Protocollo addizionale (Protezione della Proprietà). In merito alla violazione dell’art. 7 i giudici scrivono che “i richiedenti avevano avuto la proprietà confiscata anche se nessuno di loro aveva ricevuto una condanna formale. In conformità con la giurisprudenza Varvara contro Italia, la Corte ha ribadito che l'articolo 7 preclude l'imposizione di una sanzione penale a un individuo senza che la sua personale responsabilità penale venga stabilita e dichiarata in anticipo. Altrimenti ci sarebbe anche una violazione del diritto alla presunzione di innocenza”. La violazione dell’articolo 6 riguarda solo il signor Filippo Gironda: la Corte ha stabilito che l’Italia non ha rispettato il suo diritto alla presunzione d’innocenza. L’uomo, scrive la Corte, “è stato dichiarato colpevole, in sostanza, dalla Corte di Cassazione, nonostante il fatto che i processi per il reato imputatogli fossero finiti per prescrizione”. I giudici di Strasburgo hanno deciso inoltre che la misura di confisca attuata nei confronti dei ricorrenti è da considerarsi “sproporzionata”, in base all’art 1 del protocollo addizionale; i fatti, inoltre, contraddicono la tesi secondo la quale le confische hanno “effettivamente contribuito alla protezione dell’ambiente”; i giudici si sono riservati tuttavia di decidere in un secondo momento sull’ammontare del risarcimento, anche per dare tempo - tre mesi - al governo italiano e ai ricorrenti la possibilità di raggiungere un accordo sulla cifra. La vicenda di Punta Perotti si trascina avanti da oltre vent’anni: la prima pietra risale al 1995, poi l’abbattimento in tre fasi nel 2006 con cariche esplosive in diretta tv. L'impatto ambientale dell'enorme struttura causò infatti l'avvio di indagini da parte della magistratura per appurarne l'effettiva regolarità. La vicenda giudiziaria si concluse nel 2001: la Cassazione confermò l’assoluzione degli imputati ma ripristinò la confisca precedentemente annullata in appello. Contro questo provvedimento fu presentato il primo ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Nel 2012 la Cedu aveva già condannato l’Italia a risarcire tre imprese con 49 milioni di euro perché la confisca era avvenuta senza una sentenza di condanna.

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