La legge sulla responsabilità civile toghe va cambiata

 di Angela Stella Il Riformista 15 maggio 2021

Dal 2010 al 2021 sono state depositate 544 cause contro lo Stato per responsabilità civile dei magistrati. Su 129 sentenze emesse finora, solo 8 sono di condanna: sono i dati resi pubblici ieri dall'onorevole di Azione, Enrico Costa.

Onorevole, qual è il dato che l'ha colpita di più?

Nel 2014, quando si iniziava ad affrontare il tema della riparazione per ingiusta detenzione noi avevamo un dato sottomano: nove condanne per responsabilità civile dal 2005 al 2014. Ora, grazie ai dati che ho consultato, emerge che  dal 2010 al 2021 che ce ne sono state solo otto. Eppure quando nel 2015 la riforma Orlando modificò la legge Vassalli, l'Anm tuonò dicendo che sarebbero stati massacrati, subissati dai ricorsi e che non avrebbero potuto più lavorare perché impegnati a difendersi. E invece non è successo nulla di tutto questo. La legge si è dimostrata inefficace.  Abbiamo avuto 8 condanne in 11 anni, pari all'1.4% delle cause intentate. La legge va ovviamente rivista.

Secondo Lei quali sono le cause di questo fallimento della legge?

Il povero cittadino si trova a dover combattere contro lo Stato perché non può fare causa al singolo magistrato. Il percorso giudiziario è molto tortuoso, a differenza delle cause per ingiusta detenzione. Anche se, pure in questo ultimo caso, se ci si avvale della facoltà di non rispondere la riparazione viene ingiustamente negata.

Secondo Lei è pensabile che anche il corporativismo porti un giudice a non emettere una condanna di responsabilità civile a cui seguirà una rivalsa dello Stato verso un suo collega?

Ogni magistrato pensa che nei panni del collega ci potrebbe essere lui un giorno. È giustizia ordinaria ma di fatto è giustizia domestica.

Come andrebbe modificata la legge?

Innanzitutto se non lo facciamo adesso che abbiamo l'occasione di modificare l'ordinamento giudiziario con gli emendamenti al ddl sul Csm non avremo altre opportunità. Tornando al merito della norma, un passaggio che sicuramente va modificato è quello che prevede che, salvo complicate eccezioni, il magistrato non può essere chiamato a rispondere per la sua attività di interpretazione di norme di diritto o di valutazione del fatto e delle prove. In sintesi ci sono troppi paletti che impediscono di avere giustizia e molte volte sono gli stessi avvocati a suggerire di non intraprendere la causa: perché, se è vero che con la Orlando è stato eliminato il filtro di inammissibilità, la norma stessa ha dei filtri insuperabili.  

Secondo Lei c'è un problema di trasparenza sui dati dell'amministrazione della giustizia?

Certamente ed è molto grave. Avere i dati significa conoscere ed affrontare i fenomeni e le criticità. E quando questi dati esistono, si trovano dispersi in diverse relazioni. Ci vorrebbe una banca dati della giustizia. La negligenza è spesso dei Capi degli Uffici: se la relazione sull'ingiusta detenzione e sulla custodia cautelare non viene trasmessa al Parlamento nei tempi previsti dalla legge è perché costoro  non hanno inviato i dati al Ministero della Giustizia. Lo scorso anno la Relazione è stata fatta sull'86% dei Tribunali: su 136 tribunali, pari a 272 uffici, hanno risposto 233 uffici. È normale che ci siano Uffici giudiziari che non rispondono al Ministero? Ora, negli emendamenti che sto presentando al ddl sul Csm, ho previsto una ipotesi di responsabilità disciplinare per i Capi degli uffici che non trasmettono tempestivamente i dati agli organi ministeriali. A ciò si aggiunge che il Ministero ha degli uffici statistici che hanno indubbi margini di miglioramento delle loro performance. 

Cosa ne pensa invece della responsabilità professionale dei magistrati, tema che sta portando avanti l'Unione delle Camere Penali?

Ho apprezzato molto l'audizione del Presidente Caiazza e dell'avvocato Romanelli. Sicuramente presenteremo degli emendamenti. La situazione attuale di appiattimento con valutazioni positive al 98% è dannosa per la stessa magistratura: penalizza soprattutto i magistrati attivi e capaci che si vedono sullo stesso piano di colleghi meno meritevoli.

Lei ritiene in generale che la giustizia sia del tutto deresponsabilizzata, come disse il professore Giuseppe Di Federico proprio nel 2015?

Sicuramente, il professore ha ragione. Basta unire le sentenze della sezione disciplinare del Csm, i dati sulle responsabilità civile dei magistrati  e le valutazioni di professionalità e il quadro è chiarissimo. 


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