Commissione Lattanzi: la riforma dell'appello

 di Valentina Stella Il Dubbio 28 maggio 2021

Dopo quello della prescrizione, il nodo più intricato da sciogliere della riforma del processo penale riguarda il tema delle impugnazioni che, per come strutturato nella relazione della Commissione ministeriale presieduta dall'ex Presidente della Consulta Giorgio Lattanzi, sembra scontentare pm, avvocati difensori e parti civili. La realtà fotografa un giudizio di appello che si connota per una durata media ben al di sopra delle statistiche europee (secondo l’ultimo Rapporto CEPEJ la durata stimata è pari a 851 giorni, a fronte della media europea di 155 giorni) e per il progressivo accumulo di un arretrato assai preoccupante, pari a 260.946 regiudicande nel 2019. Per questo la proposta della Commissione «si traduce in una profonda e organica riforma del sistema delle impugnazioni, ordinarie e straordinarie, volta ad assicurare i diritti dell’imputato, la tutela dell’interesse pubblico alla legalità e legittimità delle decisioni e la ragionevole durata del procedimento». In linea generale possono essere tutti d'accordo ma sono le declinazioni specifiche di cambiamento a destare preoccupazioni. COSA CAMBIA PER LA PUBBLICA ACCUSA Partendo dal presupposto che «a più riprese la Corte costituzionale ha stabilito che "il potere di impugnazione della parte pubblica non può essere [...] configurato come proiezione necessaria del principio di obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale, enunciato dall’art. 112 Cost."» l'orientamento prevalente della Commissione - a seguito di un articolato dibattito - «propende nel senso di ritenere che lo strumento a disposizione del pubblico ministero per attivare un controllo di legalità, di legittimità,  e di razionalità del giudizio di fatto della decisione sia il ricorso per Cassazione». Soltanto a seguito di annullamento con rinvio andrà assicurata la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale. Il pm dunque non potrà appellare le sentenze di non luogo a procedere, di condanna e di proscioglimento. COSA CAMBIA PER L'IMPUTATO Tre sono le significative modifiche che toccano l'imputato e il suo diritto di difesa. La prima: «esclusione del potere di appello con riguardo alle sentenze di condanna a pena detentiva sostituita con il lavoro di pubblica utilità o a pena pecuniaria, anche se risultante dalla sostituzione della pena detentiva (salve le eccezioni previste dal criterio di delega sub lett. d) e delle sentenze di proscioglimento relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa». Ma l'aspetto che già ha messo in fermento gli avvocati riguarda la «trasformazione dell’appello in uno strumento di controllo a critica vincolata della pronuncia di primo grado». Il giudice d’appello  non sarà più tenuto a decidere ex novo sui “punti” coinvolti dai motivi, ma dovrà verificare la fondatezza o meno dei motivi stessi. Spetterà al legislatore delegato stabilire la casistica dei motivi di appello. In pratica la direzione è quella di introdurre anche per il giudizio di appello un principio di inammissibilità preventivamente valutato dal giudice di appello, espandendo il tema dell’inammissibilità e della manifesta infondatezza dei ricorsi. «Sul versante del procedimento d’appello, al fine di garantire uno svolgimento in tempi ragionevoli del controllo da parte del giudice di seconde cure, si è preferito affermare che il contraddittorio orale si attivi solo su richiesta dell’imputato o del difensore». COSA CAMBIA PER LE PARTI CIVILI Il progetto di riforma prevede che le parti civili non possano appellare le sentenze di non luogo a procedere, quelle di proscioglimento e dei capi civili delle sentenze di condanna. 

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