Inail: nessun risarcimento per chi rifiuta il vaccino?

 di Valentina Stella Il Dubbio 23 febbraio 2021

Niente risarcimento da infortunio sul lavoro per chi deliberatamente rifiuta il vaccino anti Covid. Sembrerebbe essere questa la conclusione a cui giungerà nelle prossime settimane l'Inail al termine dell'istruttoria aperta dopo che quindici infermieri dell'ospedale San Martino di Genova, che avevano rifiutato il vaccino, ora sono positivi al Sars-Cov2. Se fosse confermata questa linea, si tratterebbe di un precedente estendibile potenzialmente a tutte le categorie lavorative. Ricostruiamo brevemente i fatti: al termine della prima fase di vaccinazione 593 dei 3.120 infermieri e tecnici del San Martino di Genova hanno deciso di non vaccinarsi. Qualche giorno dopo quindici di loro sono stati contagiati al lavoro. Da qui il quesito rivolto all’Inail dal direttore amministrativo della struttura, Salvatore Giuffrida: «Ammalarsi in corsia dopo aver detto no al vaccino va considerato infortunio sul lavoro, con l’insieme di tutele che ne deriva? O il dipendente andrà considerato in semplice malattia?». Il dottor Marcello Basilico, presidente della sezione Lavoro del Tribunale di Genova, non può esprimersi sulla vicenda data la sua funzione, ma ci illustra i principi generali a cui ci si rifà per dirimere questioni di questo tipo:  «bisogna considerare tre principi generali. Il primo: ogni evento infortunistico che avviene sul luogo di lavoro è indennizzabile, se collegato all'attività professionale, con l'unico limite che è quello del rischio elettivo. Si tratta del rischio legato al fatto che il lavoratore si esponga volontariamente ad un rischio aggiuntivo. Il secondo: il datore di lavoro deve mettere in atto tutte le misure idonee per prevenire gli infortuni in relazione alle caratteristiche concrete dell'attività. Un conto è se il datore di lavoro è un ospedale, un conto se è una banca, ad esempio, dove è maggiore il rischio di un evento quale una rapina. Il terzo: l'azione di fattori virali o microbici, che possono determinare lo squilibrio anatomo-fisiologico del lavoratore, può configurarsi come infortunio sul lavoro quando è collegata allo svolgimento dell'attività lavorativa». Dall’applicazione congiunta di queste tre regole si traggono le conseguenze che possono riguardare anche il caso in questione. Per l'avvocato Aldo Bottini, Presidente dell'AGI - Avvocati Giuslavoristi Italiani - «chi sceglie di non vaccinarsi, pur potendolo fare, mette a rischio se stesso e gli altri. Inoltre non contribuisce al raggiungimento dell'imminutà di gregge ma addirittura, nel caso di un infermiere, mette a rischio la salute delle persone che dovrebbe curare. Che poi debba anche essere risarcito se si ammala mi pare una pretesa esagerata». Volendo approfondire l'aspetto tecnico « si potrebbe considerare il danno come conseguenza di un comportamento volontario». Ma preliminare ad ogni valutazione è stabilire il nesso di causalità: «certo, deve essere accertata l'occasione di lavoro, presupposto a monte dell'intervento Inail». A questo caso si lega sicuramente il dibattito sull'obbligatorietà della vaccinazione: «credo che, almeno per quel che riguarda le professioni sanitarie, l'intervento del legislatore non è più procrastinabile. Può darsi che valutazione che l'Inail sarà chiamata a fare possa spingere il legislatore ad intervenire». Il pericolo è che questo tipo di situazione si possa ampliare anche con altri settori lavorativi: «certamente. Senza una legge si scarica tutto sulle spalle del singolo datore di lavoro che dovrà sbrogliare la matassa» o sui giudici che saranno chiamati a pronunciarsi su eventuali ricorsi dei lavoratori. Sul caso è intervenuto l’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano,  oggi membro del consiglio d’amministrazione dell’Inail: «La soluzione migliore  sarebbe una legge sull’obbligo di vaccinazione, almeno per alcune categorie. A mio giudizio è logico che chi decide di non vaccinarsi e svolge una mansione a rischio poi non possa chiedere il riconoscimento dell’infortunio sul lavoro. Anzi, dovrebbe essere messo nelle condizioni di non essere un pericolo per sé e per gli altri, evitando il licenziamento, ma svolgendo mansioni che non hanno contatto con il pubblico».


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