Intervista a Oliviero Mazza

 Valentina Stella Il Dubbio 13 marzo 2023

 

Per il Professor Oliviero Mazza, Ordinario di Diritto processuale penale presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, “nel corso del processo, la giustizia ripartiva, in tutte le sue forme, è ontologicamente incompatibile con il rispetto della presunzione d’innocenza”. Vediamo perché.

 

Uno degli aspetti a cui teneva maggiormente l'ex Ministra Cartabia rispetto alla riforma del processo era la parte sulla giustizia riparativa. Lei ritiene che culturalmente sia un passo importante?

 

La giustizia riparativa rappresenta indubbiamente una rivoluzione del paradigma punitivo che, però, è connotata da una forte caratterizzazione morale, antitetica rispetto alla visione liberale e democratica della giustizia penale nella quale mi riconosco. La laicità del diritto penale è una conquista di civiltà giuridica che va difesa quale argine rispetto alle derive autoritarie storicamente determinate dalla sovrapposizione fra Stato etico e pretesa punitiva.

Nella sua declinazione pratica, la giustizia riparativa rischia di portare con sé due ulteriori conseguenze non proprio auspicabili: la privatizzazione del processo penale, trasformato in luogo di mera composizione dei conflitti interindividuali, e la monetizzazione della responsabilità, a sua volta foriera di disparità di trattamento fondate sulle condizioni economiche degli imputati, in patente violazione dell’art. 3 Cost. Il trend è già oggi ben delineato in tutti i casi di procedibilità a querela del reato, per non parlare del ruolo improprio assunto dalla costituzione di parte civile.

 

Dal punto di vista giuridico quindi lei rileva delle criticità?

 

Nel corso del processo, la giustizia ripartiva, in tutte le sue forme, è ontologicamente incompatibile con il rispetto della presunzione d’innocenza che impone addirittura il ribaltamento dei ruoli, per cui l’imputato va considerato non colpevole e la vittima va presunta non tale o comunque non vittima dell’azione dell’imputato. La situazione è aggravata dal fatto che il pericoloso innesto della giustizia riparativa nel processo penale avviene per scelta d’ufficio del giudice o del pubblico ministero (art. 129-bis co. 1 c.p.p.), ossia ad opera di soggetti istituzionalmente tenuti a rispettare la presunzione d’innocenza. Sia pure nell’ottica penitenziale e perdonistica, la giustizia riparativa sarà una forma di pesantissima coazione sulla libertà morale dell’imputato e della difesa.

 

La norma prevede che “in ogni caso, la mancata effettuazione del programma, l’interruzione dello stesso o il mancato raggiungimento di un esito riparativo non producono effetti sfavorevoli nei confronti della persona indicata come autore dell’offesa”. Ma il giudice non potrebbe essere comunque condizionato da questo?

 

Nessuna cautela legislativa impedirà al giudice di addossare per intero all’imputato il costo del fallimento della mediazione, tanto in termini di pena quanto di trattamento processuale, senza nemmeno dover motivare esplicitamente al riguardo. Il solo dilemma della mediazione finirà per incidere negativamente sulla posizione dell’accusato, con buona pace, come detto, della presunzione d’innocenza e del diritto di difesa.

 

Questa norma trasforma il processo sbilanciandolo tutto sulle pretese delle vittime?

 

La giustizia riparativa si fonda sulla inversione della presunzione d’innocenza e vi si accede «soltanto … nell’interesse della vittima» (art. 43 co. 2 d.lgs. n. 150 del 2022). Siamo dinnanzi a un sistema dichiaratamente vittimocentrico che presuppone la colpevolezza dell’imputato. Avendo ben chiara questa situazione, appare inammissibile e incostituzionale qualunque intersezione fra processo di cognizione e giustizia riparativa. Le conseguenze sistematiche sul modello processuale saranno dirompenti.

 

Secondo lei come andrebbe ripensata la norma?

 

Punto fermo irrinunciabile deve essere la netta separazione fra giustizia riparativa e processo penale. La prima dovrebbe essere collocata nella sua sede naturale, ossia nella fase esecutiva della pena quando i ruoli di vittima e colpevole sono definiti dal giudicato, ma se proprio la si volesse svolgere in parallelo al processo dovrebbe essere un fiume carsico invisibile all’autorità giudiziaria e pronto ad emergere solo nel caso di esito positivo. Temo, però, che una perfetta segregazione dei piani sia concretamente impossibile e certamente non garantita dall’attuale quadro normativo che si compone di norme tecnicamente rivedibili, come quella che sancisce l’inutilizzabilità processuale della documentazione, ossia dei verbali, della mediazione, ma che non impedisce alla vittima o allo stesso imputato di riferire al giudice quanto avvenuto al diverso tavolo.

Occorre poi ripensare, attraverso una seria e ampia discussione finora del tutto assente, il concetto stesso di giustizia riparativa in rapporto al valore, per me irrinunciabile, della laicità del diritto penale e alle degenerazioni della privatizzazione e della monetizzazione della giustizia penale.

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