Recensione del libro “Gabriel. Non ho ucciso nessuno”

 Valentina Stella Dubbio 11 marzo 2023


“Gabriel. Non ho ucciso nessuno” (Round Robin Editrice, euro 12) è il titolo del nuovo libro di Fabrizio Berruti, giornalista e autore tv. Gabriel è Gabriel Natale Hjorth, ragazzo di 18 anni, padre italiano e madre americana, condannato insieme all’amico Finnegan Lee Elder per la morte del vice brigadiere Mario Cerciello Rega avvenuta il 26 luglio del 2019. Si tratta di un libro intervista che, per la prima volta, raccoglie la testimonianza diretta di quella notte. A parlare sono familiari e amici, ma è soprattutto Gabriel, chiuso tra le sbarre in attesa di una possibile condanna definitiva in Cassazione (mercoledì prossimo ci sarà l’udienza), che ricostruisce le ore precedenti e successive all'omicidio del carabiniere. L’autore, grazie alle testimonianze raccolte, descrive quella terribile notte e le ore che l’hanno preceduta come il “il classico momento ‘sliding doors’”. Il giovane, che era venuto in Italia per trascorrere le vacanze con i nonni a Fregene, si è trovato dinanzi a più di un bivio in quei giorni e quella notte condivisa all’ultimo con Elder: una notte di divertimento e di svago diventa una notte di morte, dove a rimetterci la vita è stato un carabiniere che stava facendo il suo lavoro, durante una operazione definita dai giudici di Appello “sicuramente anomala”. Ma anche le famiglie dei due giovani improvvisamente vedono la loro vita sconvolta. Una prima condanna all’ergastolo e poi in appello una riduzione a 24 e 22 anni. A pugnare Cerciello Rega è stato Elder, Gabriel ripete: io “non ho ucciso nessuno”. Lo ha scritto anche in una lettera indirizzata alla vedova che chiude il libro di Berruti: “Non sono perfetto, ma non sono un killer. Signora, mi dispiace moltissimo per il suo dolore, ma se mi guarda negli occhi, senza voglia di vendetta cieca, e ha ascoltato con il cuore la logica dei fatti e le prove, come può accettare che io sia qui? Questa è una ingiustizia, anche se non piango in aula, davanti alle telecamere o sotto i flash dei giornalisti”. Il ragazzo, come si ricorda nel libro, “non sapeva che l’altro ragazzo fosse armato e non si è reso conto di quello che stava succedendo tra Elder e Cerciello”. In più non aveva capito di aver davanti dei carabinieri, perché non mostrarono loro il tesserino (“l'esibizione dei tesserini rimane affidata solo alle dichiarazioni del Varriale con il dubbio di un intervallo temporale insufficiente per prelevare i documenti, mostrarli a distanza e poi riporli per procedere al contatto fisico” si legge nella sentenza di appello). Secondo Berruti, invece, che ha ascoltato tutte le udienze su Radio Radicale, “si è avuta la netta impressione che Gabriel si trovi nella condizione di dover combattere contro una presunzione di colpevolezza, anziché poter affrontare il processo con la presunzione di innocenza a cui tutti hanno diritto nelle aule di giustizia”. A condividere il senso di ingiustizia, ci sono i familiari di Gabriel  - la mamma Heidi, il papà Fabrizio, lo zio , i nonni – che si raccontano senza filtri a Berruti. “Nella mia testa questo non è giusto – scrive Heidi – perché è innocente. Non ci si abitua mai. Sono una mamma”. Mentre per il padre Fabrizio “i processi non sono stati rispettosi delle ragioni, delle evidenze, delle prove portate dalla difesa”. 

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