Intervista a Nello Rossi

 Di Valentina Stella Il Dubbio 29 dicembre 2022

 

Un disegno di legge del Senatore di Forza Italia Pierantonio Zanettin propone di escludere l’impiego del captatore informatico nei procedimenti per delitti contro la pubblica amministrazione. Ne parliamo con l’ex magistrato e direttore di Questione Giustizia, Nello Rossi.

 

Lei sulla rivista che dirige ha criticato la polarizzazione tra favorevoli e contrari che si è creata sulla proposta del forzista. Perché?

In nessun altro campo come in quello delle intercettazioni e dell’impiego di tecniche di captazione penetranti come il Trojan Horse c’è bisogno di equilibrio, di senso del limite, di bilanciamento tra le esigenze di contrasto della criminalità ed il rispetto della vita privata, della dignità e della libertà delle persone. In una parola c’è bisogno del diritto. La politica sembra invece scegliere su questi temi delicatissimi la via dello scontro frontale e pregiudiziale. Così la proposta Zanettin è stata immediatamente “bollata” dagli uni come espressione di volontà di disarmo nel contrasto alla corruzione e come un favore alle organizzazioni criminali (le cui attività delinquenziali non  sono peraltro escluse dalla sfera di utilizzo del Trojan) ed “esaltata” dagli altri come uno strumento di liberazione dallo strapotere di pubblici ministeri e giudici che se ne servirebbero “normalmente” per prave finalità di potere, di pressione, di intimidazione e di controllo dei cittadini .

Allora la polarizzazione è inevitabile?

No. A mio avviso sono i giuristi - siano essi professori, magistrati, avvocati – che dovrebbero essere in grado di sottrarsi a queste grottesche semplificazioni,  reclamando una più seria discussione di merito. E’ ciò che ho tentato di fare svolgendo sulle pagine di Questione Giustizia una personalissima riflessione sulla vicenda del Trojan e giungendo alla conclusione che sarebbe opportuno “tornare alla riforma Orlando” che circoscriveva l’impiego del captatore informatico ai procedimenti per reati di criminalità organizzata, peraltro recependo il punto di approdo della giurisprudenza della Corte di cassazione.

Lei scrive: “l’estensione dell’utilizzo del Trojan Horse ai procedimenti per reati contro la pubblica amministrazione è stata realizzata da una legge, la c.d. Spazzacorrotti, che costituisce uno dei frutti più discutibili della stagione del governo dei due populismi di Cinque Stelle e della Lega”. Quindi lei è critico nei confronti di quella legge?

Sono critico, e non certo da solo, nei confronti di una stagione politica nella quale il nostro Paese, forse unico al mondo, ha avuto al governo non uno ma due populismi che nel campo del diritto e del processo penale hanno avviato una corsa al rialzo verso soluzioni estreme e irragionevoli. Come quella dell’equiparazione - con riguardo alle intercettazioni - tra mafia e terrorismo da un lato e corruzione dall’altro. Con il corollario dell’estensione dell’applicazione del Trojan ai reati contro la pubblica amministrazione.

Il captatore informatico è stato oggetto di diverse decisioni. Ha ravvisato negli anni un abuso dell’utilizzo del trojan?

La breve storia del Trojan è tortuosa e da magistrato vi sono stato direttamente implicato. Come Avvocato generale ho infatti concorso a “sdoganare” il Trojan sostenendo la tesi che andava superato l’originario orientamento della Corte di cassazione (espresso nella sentenza Musumeci) che escludeva in toto la possibilità di usare il captatore informatico come mezzo di ricerca della prova. Nel caso Scurato – deciso dalla sentenza delle Sezioni Unite che ha aperto all’uso del Trojan – la posizione della Procura generale è stata che, sulla base della normativa speciale relativa alla criminalità organizzata, l’intercettazione “itinerante”, realizzata tramite un captatore inoculato su di un dispositivo elettronico mobile – uno smartphone o un tablet – poteva essere consentita “esclusivamente” nei procedimenti per mafia e terrorismo. La legge Orlando che nel 2017 ha disciplinato l’impiego del Trojan si è mossa lungo questa direttrice prima che la legge Spazzacorrotti operasse l’estensione del captatore al di là dei confini della criminalità organizzata ai reati contro la pubblica amministrazione. Difficile dire, non conoscendo i singoli procedimenti, se vi siano stati abusi e forzature. Ma è certo che la fuoriuscita del Trojan dal ristretto perimetro della criminalità organizzata e il suo ingresso in contesti sociali per così dire ordinari può determinare effetti collaterali devastanti per gli indagati e i terzi intercettati. 

Il dibattito su intercettazioni e di conseguenza anche sul Trojan non rischia di essere inficiato e trasformato in tifo da stadio anche per l’atteggiamento del Ministro Nordio che critica lo status quo, attacca la magistratura ma non pone sul tavolo una norma dettagliata?

«Spesso contraddiciamo un’opinione mentre ci è antipatico soltanto il tono con cui essa è stata espressa». E’ su questo aforisma di Nietzsche che Nordio e i suoi rumorosi fan stanno giocando la loro partita. Con i suoi toni sempre estremamente polemici e provocatori verso la magistratura il ministro mira a suscitare nei magistrati una reazione di rigetto totale verso tutto ciò che dice e propone, facendoli rifluire su posizioni di pregiudiziale chiusura e separandoli dalla migliore cultura giuridica che deve giocare un ruolo importante nel duro confronto in atto. Per questo occorre esercitare l’arte della distinzione contrastando con determinazione i molti propositi “riformatori” di Nordio che entrano in rotta di collisione con la Costituzione ma costringendo il ministro ad un serio confronto di merito su temi che sinora si è limitato ad agitare strumentalmente e propagandisticamente come il carcere, le intercettazioni, le garanzie degli indagati.

Quale sarebbe la soluzione più equilibrata che tenga insieme lotta alla criminalità e rispetto dei diritti individuali?

Nell’impiego del  captatore informatico la ricerca di un equilibrio è particolarmente difficile.  La mia opinione è che uno strumento eccezionalmente invasivo come il Trojan si giustifichi per contrastare i reati di eccezionale pericolosità ed allarme sociale posti in essere da organizzazioni criminali impenetrabili e protette da meccanismi di omertà e possa risultare  invece sproporzionato e non assolutamente “necessario in una società democratica”  per altri pur gravi reati . In base all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo l’ingerenza dell’autorità pubblica nella vita privata deve rispondere ad un bisogno sociale imperativo e risultare proporzionata alla finalità legittima perseguita. E questa proporzione , che appare ricorrente nel contrasto delle attività delittuose delle associazioni criminali , risulta socialmente e giuridicamente discutibile quando il Trojan è usato per reati comuni . 

Tornare alla legge Orlando e ai suoi meditati equilibri nell’uso del Trojan sembra perciò una soluzione ragionevole che potrebbe essere agevolmente adottata sgombrando il campo da feroci polemiche e sospetti di volontà di un controllo sociale totalizzante da parte della magistratura. 


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