Magistropoli non si chiude con i processi ai singoli
di Angela Stella Il Riformista 29 dicembre 2020
Mariarosaria Guglielmi, Segretaria di Magistratura
Democratica, è certamente amareggiata dal fatto che 26 suoi colleghi abbiamo
stracciato la tessera di MD: una crisi nella crisi più ampia della magistratura
dopo lo scandalo Palamara. Alla amarezza accompagna però la fermezza nel
rivendicare il ruolo di MD come soggetto
promotore di una profonda riflessione che impegni «tutta la magistratura a fare i conti
con la profonda trasformazione subita in questi anni» in un percorso che chiama
in causa la responsabilità di tutti i gruppi. Ed avverte: la volontà del popolo
mette a rischio la giurisdizione.
Dottoressa
si aspettava uno strappo così forte da oltre 25 suoi colleghi? È in atto un
regolamento di conti tra le toghe?
MD non è un feticcio né un santuario intoccabile.
Non vive con lo sguardo immobile,
rivolto al suo passato, ma rinnova continuamente il senso del suo impegno nel
presente, cercando il percorso più giusto per proseguire. Rinunce, lungo questo
percorso, sono possibili e vanno
rispettate.
Ma non si possono mettere in conto scelte di
abbandono collettivo, con motivazioni sproporzionate rispetto all’entità e agli
effetti dello strappo. Non ci sono “regolamenti di conti” in corso ma gesti
di rottura, che disconoscono MD come luogo di confronto, anche sulle ragioni
del dissenso, e mettono in mora chi resta: sono scelte pericolose, che indeboliscono
ogni progetto unitario.
Il
giudice e membro del Csm Giovanni Zaccaro, spiegando il suo addio a Md in una
intervista al Manifesto, ha detto: "Noi consiglieri di Area abbiamo fatto
cose più di sinistra di tutti i comunicati di Magistratura democratica".
Il compito di un gruppo è fare elaborazione. Al Consiglio spetta l’azione di governo della
magistratura. Non sono due piani comparabili. Uno dei segni di vitalità di MD è
nella capacità di rimettersi
continuamente in discussione: non essere autoreferenziale, non rivendicare
una diversità fine a se stessa. Per questo MD non pensa di avere “l’esclusiva”
di posizioni culturali e di scelte orientate dai valori condivisi dalla
magistratura progressista, o dai valori costituzionali sui quali tutta la
magistratura associata può trovare unità: rivendica la sua identità forte,
capace di critica e di autocritica, e, al tempo stesso, di soggetto che vuole
promuovere un fronte ampio intorno ai valori di riferimento e ai cambiamenti
culturali necessari all’interno della magistratura.
Da Area
vi accusano di aver rinunciato a parlare dei magistrati e con i
magistrati e di aver fatto crescere molto la dimensione politica generale.
La riflessione sul ruolo della giurisdizione non
può prescindere dal collegamento ai cambiamenti generali e collettivi della
società, del contesto politico-istituzionale, e più in generale della
democrazia. È questo collegamento che ci aiuta a cogliere la concretezza dei problemi che i giudici
devono risolvere nelle aule di giustizia nel ruolo di tutela dei diritti e difesa delle garanzie.
Negli
ultimi due congressi, abbiamo ospitato dibattiti aperti all’accademia,
all’avvocatura, ad esponenti istituzionali per interrogarci sul ruolo della
giurisdizione all’epoca delle “nuove diseguaglianze”, e nel nuovo contesto, anche europeo, dominato
dall’avanzata dei populismi: i giudici sono in grado di riconoscere le nuove diseguaglianze e dare risposta alle
domande di tutela? Come continueranno a garantire i diritti e le
libertà fondamentali quando sopra tutto si mette la
“volontà del popolo” e la giurisdizione è vissuta come un intralcio
a questa volontà?
Con
incontri e seminari aperti, abbiamo quest’anno discusso di tutte le sfide poste dalla pandemia: la risposta
del diritto penale all’emergenza economica e sociale; le opportunità e ricadute sul modello culturale di giudice e di
giurisdizione degli strumenti nuovi messi a disposizione della tecnologia. Ci siamo interrogati sulle riforme
necessarie per uscire dalla crisi della magistratura e dell’autogoverno, con
seminari dedicati al sistema elettorale
del CSM, ai temi della dirigenza e della “carriera”.
Abbiamo promosso a settembre una conferenza
internazionale, chiamando magistrati,
anche europei, e l’accademia a
confrontarsi, in maniera impegnativa,
sul ruolo del Pubblico Ministero nella
democrazia e sul rapporto fra
indipendenza e meccanismi di responsabilità e trasparenza nel suo agire. Se
tutto questo non è parlare dei magistrati e ai magistrati …
Realmente, come scrivono, avete soffocato il dissenso e
ignorato e irriso le critiche provenienti da Area?
Come può un gruppo
soffocare il dissenso? Con quali modalità? E come si concilia questa accusa con
le scelte unitarie che MD ha sempre fatto anche nelle ultime competizioni
elettorali? Dal congresso di Bologna, MD
ha rivendicato la sua presenza come soggetto collettivo in Area. Ha al tempo
stesso saputo garantire unità, anche
sulle persone chiamate a realizzare il progetto di Area in CSM e ANM. Spesso in
Area è invece emersa la difficoltà ad
accettare, come espressione del suo pluralismo interno, posizioni
rappresentative della linea di quel
congresso o ritenute manifestazioni di un pensiero “radicale”.
Dopo lo scandalo Palamara, avete ripetuto spesso che "l’unità
associativa non è un’insegna utile a celare pratiche consociative o
ripiegamenti corporativi", ma un luogo di "riflessione sulle ragioni
più profonde della crisi della magistratura. In uno sforzo di riflessione
collettiva, critica ed autocritica". È stato anche questo vostro desiderio
di andare oltre il caso singolo a determinare gli ultimi eventi? Qualcuno
voleva archiviare Palamara e andare semplicemente avanti?
Archiviare frettolosamente il caso e andare
avanti? Ogni persona seria sa che è semplicemente impossibile. Quello che noi abbiamo sostenuto non è che
qualcuno volesse archiviare Palamara ma che, accanto alle responsabilità
individuali, è necessario avviare un percorso
di rinnovamento che impegni tutta la magistratura a fare i conti con la
profonda trasformazione subita in questi anni. E che questo percorso chiama in
causa la responsabilità di tutti i gruppi
e la loro capacità di rigenerarsi come strumenti di elaborazione
culturale. Un’azione profonda di
rinnovamento, ben oltre i passi fatti per segnare la cesura con il passato e la rivendicazione di
“diversità”.
Siete
stati gli unici a prendere una posizione chiara sulla questione della
permanenza di Davigo al Csm. Anche questo, secondo Lei, ha pesato fortemente
sulla scelta dei 26 di abbandonare Md?
Sul caso Davigo non vi è stata una presa di posizione “politica” ma l’
interpretazione, a nostro avviso chiara, delle norme vigenti su una questione
di diritto la cui soluzione aveva
ricadute su aspetti fondamentali dell’autogoverno. La decisione del CSM, che non ha seguito logiche
di schieramenti precostituiti, dimostra che il caso è stato trattato nella
consapevolezza delle sue implicazioni ma risolto- come doveva essere- in linea
con l’ interpretazione delle norme.
Il nostro direttore
Sansonetti ha ipotizzato che la "la vittoria di Santalucia su Poniz ha
avuto subito un effetto deflagrante": giudice liberale,
"appartenente a quella componente garantista di magistratura
democratica" avrebbe rotto le uova nel paniere dei giustizialisti. Lei è
d'accordo con questa analisi?
Ricordo che nella storia dell’ANM si è giunti , in più occasioni, a soluzioni diverse da quelle più premiate
dalle urne. È la logica delle coalizioni che non possono formarsi senza un
consenso ampio. Non condivido l’analisi delle vicende associative lette in
chiave di prevalenza o soccombenza del “partito dei PM” e di scontro fra
giustizialisti e garantisti.
Certamente, la nomina di un giudice –
dopo molti anni di Presidenza affidata ai PM- ha un suo valore positivo
nell’ottica di una visione unitaria della giurisdizione che si riflette anche
nella rappresentanza associativa.
A
proposito di un documento a doppia firma Ucpi e alcune Procure d'Italia inviato
al Ministro Bonafede con alcune proposte su covid e giustizia penale,
l'esecutivo di Md ha scritto un comunicato "per riflettere sui cambiamenti
culturali che hanno interessato la magistratura requirente e che ne hanno
determinato il progressivo allontanamento dal suo progetto costituzionale di
potere diffuso, in favore di un modello individualistico e verticistico".
Anche in questa occasione, avete scelto di non mettere la cenere sotto il
tappeto. Pagate il conto per una eccessiva spinta autocritica collettiva?
Fa parte del senso
dell’impegno culturale e di politica associativa di MD confrontarsi con temi
difficili e spinosi, senza sottrarsi al
confronto e alle critiche. Anche rispetto a questa vicenda, ci è sembrato che
fossero tanti gli elementi su cui
riflettere, andando oltre il caso concreto,
a cominciare da tutti gli effetti della
personalizzazione degli uffici di
Procura, anche all’esterno e
nella comunicazione che tende ad
accreditare come verità risultati investigativi che invece, prima del processo,
sono necessariamente parziali. La spinta verso la critica e l’autocritica
nell’immediato può suscitare reazioni di chiusura ma siamo convinti che questo sia l’antidoto al rischio di
ripiegamenti corporativi.
Si rimprovera
qualcosa come Segretaria di Md?
Molte
cose. E accetto che molte cose mi vengano
rimproverate. Ma non di aver represso il dissenso interno e di
non aver lavorato per l’unità.
Qual è
ora il futuro del rapporto tra Md e area?
Abbiamo tutti una enorme responsabilità e dobbiamo essere all’altezza del
momento. Sarebbe esiziale rompere l’unità politica del fronte
progressista. Il futuro del rapporto fra
MD e Area deve tener conto di questa priorità.
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