Mannino innocente, perseguitato da pm ossessionati
di Angela Stella Il Riformista 12 dicembre 2020
È stata confermata ieri dalla Corte di
Cassazione l'assoluzione dell'ex ministro Calogero Mannino nel processo
stralcio sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia. L'uomo era accusato di
violenza o minaccia a Corpo politico dello Stato. I supremi giudici della Sesta
sezione penale hanno dichiarato inammissibile il ricorso proposto dai sostituti
procuratori generali di Palermo, Giuseppe Fici e Sergio Barbiera, contro il
proscioglimento di Mannino emesso dalla Corte di Appello di Palermo il 22
luglio 2019. Anche in primo grado l'ex politico democristiano era stato
assolto. Ci si trovava dunque in presenza di una 'doppia conforme assolutoria',
ossia per ben due volte l'imputato era stato assolto nel merito. Questo punto è
importante per capire l'ostinazione cieca dei pg di Palermo nel ricorrere in
Cassazione. Infatti, come ha evidenziato la Procura generale della Cassazione
nel dichiarare inammissibili i diciannove motivi di ricorso presentati dalla
Procura generale di Palermo, la doppia conforme
assolutoria, come stabilito dalla Commissione Canzio, «si basa su una ricostruzione probatoria del
fatto già scrutinata nel merito, in modo concorde, da due giudici in successivi
gradi di giudizio» e dunque «rafforza notevolmente la presunzione di non
colpevolezza dell'imputato». Ciò, insieme a precedenti sentenze di legittimità
e convenzioni internazionali, avrebbe
dovuto indurre i pg di Palermo a non opporsi alla sentenza di assoluzione; e
invece, addirittura, come si legge sempre nella requisitoria del Pg della
Cassazione, «il ricorso presenta un vizio di fondo: esso si traduce in una
rilettura, nell'ottica dell'accusa, del significato (cioè dell'interpretazione)
da attribuire agli elementi di prova acquisiti (ovvero che si sperava di
acquisire), priva spesso di reale confronto con la motivazione addotta dal
giudice dell'appello, che rimane sempre sullo sfondo». Su questo punto
interviene al Riformista anche l'avvocato Grazia Volo, che da
trent'anni segue le vicende giudiziarie di Mannino. La legale innanzitutto ci
dice che l'assoluzione «rappresenta la inevitabile conclusione di una sorta di
ossessione giudiziaria a cui ci si dovrebbe sottrarre». E il riferimento è
proprio alla 'doppia conforme assolutoria': «una modifica normativa (la riforma
Orlando del 2017, ndr) - ci spiega l'avvocato Volo - ha stabilito che il ricorso per Cassazione da
parte dell'ufficio del Pubblico Ministero, nel momento in cui interviene dopo
una doppia sentenza conforme di assoluzione nel merito, può essere proposto solo
per violazione di legge. E penso che questo sia un discorso equilibrato. Invece
in questo caso la Procura generale di Palermo ha voluto sollevare questione di
legittimità costituzionale per avere l'abrogazione della riforma stessa e
ottenere la ricorribilità anche nel merito, presentando subito i motivi di
ricorso. Tuttavia, non solo è stata respinta la questione di legittimità, ma i
motivi sono stati ritenuti inammisibili perché presentati contra legem. Tutto ciò
denota un atteggiamento molto pervicace di perseguire, a dispetto di tutto, il
proprio convincimento». Non si sbaglia dunque a pensare che Mannino sia stato
vittima di una persecuzione da parte di certa magistratura requirente: da
trent’anni infatti è sotto processo, prima per concorso esterno in associazione
mafiosa, poi per aver trattato con i mafiosi. Tuttavia è stato raggiunto da
quindici provvedimenti tra assoluzioni e archiviazioni. Su questo aspetto è
intervenuto Gian Domenico Caiazza, presidente dell'Unione delle Camere Penali
Italiane: «mi chiedo se sia mai possibile che un uomo politico importante debba
avere abbondonato la vita politica, per iniziative delle procure poi
dimostratesi infondate, e impiegato 30 anni della propria vita a difendersi. Com'è
possibile che di fronte a una abnormità del genere nessuno senta
l'esigenza di dovere mettere mano al tema della responsabilità del magistrato? Si tratta - conclude Caiazza -
dell'ennesima conferma della necessità di aprire una grande e profonda
riflessione sulla individuazione di criteri di responsabilità del
magistrato siano esse disciplinari, di
carriera o infine risarcitorie».
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