Il Cnf: «Nel governo della giustizia spazio agli avvocati». Ucpi e Ocf: «Ddl timido»

 di Valentina Stella Il Dubbio 17 dicembre 2020


Assicurare maggiore coinvolgimento dell’avvocatura: è la priorità indicata ieri dal Consiglio nazionale forense, audito dai deputati della commissione Giustizia sulla riforma dell’ordinamento giudiziario e del Csm. La massima istituzione forense «tiene in gran conto le recenti aperture della magistratura all’avvocatura istituzionale per l’efficienza e il prestigio della giurisdizione.


Le proposte formulate dal Cnf», si ricorda in una nota diffusa subito dopo l’audizione, «mettono al centro non solo il recupero dell’efficienza per contribuire allo sviluppo economico del nostro Paese ma anche, soprattutto, la dignità delle persone alle quali deve essere assicurata, senza distinzioni di alcun genere, un’adeguata tutela giurisdizionale effettiva e rapida». Rispetto dunque alla riforma del Csm, «sarebbe opportuno il coinvolgimento del Cnf nel procedimento istruttorio, senza ovviamente inficiare l’autonomia delle scelte di Camera e Senato, e crediamo che la soluzione più idonea sia quella di prevedere che le commissioni parlamentari competenti, in vista dell’audizione di componenti iscritti all’albo degli avvocati, acquisiscano il parere del Consiglio nazionale forense sulla sussistenza dei requisiti di eleggibilità».


Sull’amministrazione della giustizia, in generale il Cnf propone «l’introduzione della figura del ‘ Court manager’ e l’attribuzione ai Consigli giudiziari del compito di procedere a una costante verifica dei tempi e dell’efficacia dei piani adottati; l’introduzione nella organizzazione degli uffici giudiziari di un ufficio di staff dedicato alla dirigenza amministrativa che copra le funzioni di rilevazione statistica, contrattualizzazione, partecipazione a gare per il funzionamento,


rendicontazione e gestione del personale di cancelleria; una continuativa e aggiornata formazione professionale della dirigenza anche sulle discipline di management; l’obbligatorietà dell’adozione degli strumenti di pianificazione delle risorse e di rendicontazione; una autonomia di spesa in capo alla dirigenza amministrativa distrettuale» .


Infine, «anche in considerazione dell’intenzione del legislatore di assegnare all’avvocatura vaste aree di competenza giurisdizionale», la massima istituzione forense chiede che «sia resa obbligatoria la formazione congiunta di capi uffici e dirigenti amministrativi nelle materie della governance per progetti, pianificazione, benessere organizzativo, statistica giudiziaria e gestione degli spazi».


Le osservazioni proposte, si chiarisce ancora nel comunicato, sono volte a ribadire «l’esigenza primaria di assicurare un sempre maggior coinvolgimento delle rappresentanze dell’avvocatura nelle scelte relative all’amministrazione della giustizia, fermo restando il rispetto della garanzia costituzionale di indipendenza e della reciproca autonomia dei diversi soggetti della giurisdizione».


A essere audito ieri è stato anche Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione Camere penali, che non risparmia critiche alla riforma del Csm: «Non riesce a incidere minimamente», a suo giudizio, «sulla peculiare patologia dell’ordinamento giudiziario italiano, che ha una sua unicità nel panorama europeo, ossia la mancanza di una valutazione di merito nella progressione in carriera del magistrato. Dai primi anni ’ 70», ha incalzato il leader dell’Ucpi, «la magistratura ha ottenuto di veder affermato un automatismo nella progressione in carriera sul presupposto che la valutazione di merito fosse uno strumento di condizionamento dell’autonomia e della magistratura». Sulla valutazione dei magistrati è intervenuto anche Giovanni Malinconico, coordinatore dell’Organismo congressuale forense: «Ci sembra che il problema di fondo, cioè l’eccessiva incidenza del correntismo» costituisca una parte tra le questioni da risolvere,


in quanto «la causa del problema sono i percorsi nel momento valutativo che non vengono toccati. V i è una questione culturale da affrontare», spiega Malinconico, «ed è l’impostazione che vede la magistratura di fatto arbitro unico dell’organizzazione, dell’assegnazione degli incarichi e del momento valutativo». Giorgio Spangher, professore emerito di Procedura penale alla Sapienza di Roma, si è soffermato invece sul sistema elettorale del Csm, che non garantirebbe la proporzionalità tra magistratura requirente e giudicante: «Noi potremmo avere un Consiglio superiore fatto in maniera squilibrata rispetto alle componenti. Non c’è uno strumento che permetta di dare una equa rappresentanza», avverte. Resta di certo il nodo delle valutazioni e degli incarichi conferiti da Palazzo dei Marescialli, come conviene lo stesso presidente della commissione Giustizia Mario Perantoni, del M5S: «Nonostante i diversi punti di vista, emerge chiara e univoca la necessità di un intervento che blocchi lo strapotere delle correnti, anche riformando i criteri che determinano meriti e attribuzioni degli incarichi» .


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