Che pm antimafia sei se non sbatti tanta gente al 41 bis?

 Angela Stella Unità 15 gennaio 2025


Se si vuole andare a lavorare alla Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo occorre scrivere un corposo curriculum in cui elencare quanti più arresti si è conquistati, quante più persone si è spedite al 41 bis, quante più ergastoli ottenuti. Altrimenti sarà molto difficile ottenere quella poltrona. E poi devi avere alle spalle anni in antimafia: in caso contrario il corpo di élite delle Dda ti guarderà dall’alto in basso. Ma facciamo un passo indietro. Durante un dibattito organizzato dalla Camera Penale di Grosseto sulla separazione delle carriere tra il Presidente dell'Ucpi, Francesco Petrelli, e l’ex presidente dell’Anm, Eugenio Albamonte, quest’ultimo, per criticare la previsione contenuta nel ddl Nordio di due Csm distinti – uno per i giudicanti, l’altro per i requirenti – ha detto: “Io stesso recentemente sono stato valutato dal Csm per una procedura che mi riguardava e, rispetto ad altri candidati che concorrevano per quel posto, alcuni erano fortemente attratti dalla necessità di valutare il fatto che avessero fatto procedimenti verso centinaia di persone e ottenuto altrettante centinaia di condanne come se il numero di indagati e condannati fosse un termine di valore” che “però tradisce una delle componenti culturali presenti anche nella magistratura requirente che in quel momento parlava in quell'aula del Csm. Cosa accadrà in futuro quando i pm parleranno tra di loro in un unico Csm, avranno la loro scuola di formazione che non sarà comune all’avvocatura, come a me piacerebbe, ma neanche a quella dei giudici?”. Il riferimento di Albamonte è alla procedura per la selezione da poco effettuata di sette nuovi sostituti procuratori alla Dnaa, presieduta da Giovanni Melillo. Albamonte andrà a via Giulia, seppur tra alcune polemiche, per le nuove competenze richieste nell’antiterrorismo e nel contrasto al cybercrime ma, durante la discussione in plenum, il consigliere togato di Unicost Marco Bisogni, pm con esperienza in Dda, per contrastare la sua candidatura e caldeggiare invece quella del collega antimafia Giovanni Musarò (anche lui uscito vincente), ha sottolineato che Albamonte non è riuscito a mandare in carcere abbastanza gente, quindi non avrebbe meritato quel posto, e invece l’altro sì: “se vado a vedere le imputazioni e i risultati processuali del collega Musarò – ha detto Bisogni - c'è qualcosa che non mi torna. Processo Crimine: 161 imputati, 121 condanne in abbreviato, 36 in dibattimento. Processo Cosa mia: rinvio a giudizio per 73 imputati, 24 condanne in abbreviato, 47 in ordinario” e con enfasi (risentire su Radio radicale) “cinque ergastoli”. E infine “21 collaboratori e 32 detenuti in 41 bis”. Effettivamente tra i risultati positivi per la selezione c’era quello di far riuscire ad applicare e confermare il 41 bis, vedersi accogliere le richieste di misure cautelari, gestire quanti più pentiti possibili, ottenere ergastoli, meglio se con isolamento diurno. Se si vanno a leggere le autovalutazioni dei candidati è un profluvio di quanto sopra elencato. Chissà se quando le hanno scritte provavano una sorta di vanto. Comunque i criteri sono anche questi: nulla quaestio. Musarò e gli altri hanno vinto con merito. Tuttavia la domanda è: non dovremmo preoccuparci se esiste un corpo della magistratura che come fine lavorativo persegue sempre più la figura di un pubblico ministero di scopo anziché di un pubblico ministero di garanzia? 

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