Intervista a Tullio Padovani

 Angela Stella Il Riformista 20 ottobre 2022


Per il professore avvocato Tullio Padovani, Accademico dei Lincei, sarà difficile che la nuova maggioranza trovi il coraggio di fare le vere riforme della giustizia. A meno che non venga nominato a Via Arenula Carlo Nordio. Le carceri? Vanno chiuse, sono illegali. Rossodivita al Csm? Figura ideale.


Il quadro generale (guerra, crisi energetica) potrebbe far scivolare in secondo piano la riforma della giustizia?


Credo di sì. Verrà rapidamente tolta dall’ordine del giorno se mai c’è stata. La riforma della giustizia è una brutta gatta da pelare per chiunque, perché ci sono visioni contrapposte, fortemente divisive, è una materia estremamente conflittuale. Toglierla di mezzo farà comodo a quasi tutta la platea della politica. Ovviamente c’è una variabile in questa mia opinione: ossia chi sarà il prossimo Ministro della Giustizia.


In che senso professore?


Il Ministero ha soprattutto una funzione motrice – da quel poco che ho avuto modo di capire lavorando da esterno a Via Arenula per diversi decenni -, deve trascinare, in definitiva non ha poteri sulla giustizia. Sui contenuti potrebbe però incidere anche pesantemente qualora il Ministro richiedesse una delega da esercitare in certe materie. Si tratta di un organo che se ha al suo vertice una figura con carattere, temperamento e forza qualcosa ottiene. Non dimentichiamoci che il codice di procedura penale a suo tempo passò solo perché c’era Vassalli, che lo impose contro tutti perché ci credeva. Quindi, un Ministro della giustizia con le spalle robuste e la mente lucida può far molto.


Tra Carlo Nordio e Elisabetta Casellati chi vorrebbe?


Elementi personali per giudicare li ho solo su Nordio: persona e magistrato a mio giudizio eccezionale, di cui ho massima stima. La mia preferenza per lui è dunque nutrita dal fatto che lo conosco e lo apprezzo. Francamente non conosco affatto la senatrice e avvocato Casellati, non so nulla di lei che possa consentirmi di esprimere un giudizio compiuto.


Nordio, appena uscito dall’assemblea dei parlamentari, ha dichiarato: “Bisogna almeno per ora lasciar da parte tutte le situazioni più divisive anche con la magistratura. La cosa più importante da fare è rendere la giustizia più efficiente e più rapida”. Si allontanano quelle riforme come separazione delle carriere o inappellabilità delle sentenze di assoluzione, tanto urlate durante la campagna elettorale?


Carlo Nordio ora è diventato un onorevole che fa politica. Immagino che chi fa politica non può non rendersi conto che se entrasse sulla scena ponendo quei problemi scatenerebbe un putiferio senza alcun effetto positivo. Ci vuole una certa abilità per far digerire certi mattoni. Occorre pertanto essere prudenti. Bisogna applicare il motto evangelico “prudenti come serpenti e semplici come colombe”. Quelle proposte che lei ha citato rappresentano un programma radicale, nel senso del Partito radicale. Ma in questo contesto dove stanno i radicali? Siamo rimasti in pochi. E a causa di una disattenzione mediatica solo pochi italiani conoscono queste tematiche. E poi a destra e a sinistra chi abbiamo per portare avanti queste riforme? La sinistra non appoggerebbe mai un programma del genere.  Quelli della sinistra non sono neanche verniciati di garantismo. Certo, non dico che nel Pd non ci siano persone degne di considerazione per il loro impegno sul versante dei diritti civili e della giustizia, però la linea maggioritaria non è quella auspicabile per le riforme. Ma quando mai la sinistra negli ultimi trent’anni è stata garantista? Anzi, è una forza politica forcaiola della peggior specie.


Quindi l’unica speranza è Nordio a Via Arenula?


Con lui qualcosa potrebbe cambiare, ma non è San Gennaro, non fa miracoli.


Ma secondo lei la politica teme ancora la magistratura? Non è pronta ad andare allo scontro per una vera riforma della giustizia?


Non solo non è pronta ma è lungi dall’esserlo. Non abbiamo compiuto neanche un centimetro in quella direzione, anzi molti sono stati i passi indietro.


 Qual è l’eredità della Cartabia?


Una eredità di buoni propositi che non si sono concretizzati, non certo per sua responsabilità. Credo che lei sia stata uno dei migliori Ministri della Giustizia. Ne ho conosciuti tanti - la Cartabia personalmente no - ma la metto tra coloro che, per quello che hanno fatto e tentato di fare, hanno rappresentato degnamente questa Repubblica. Purtroppo il contesto non le ha consentito ampi spazi di manovra e, quindi, i risultati sono modestissimi, a guardare, ad esempio, la riforma appena pubblicata in Gazzetta.


In breve, perché?


Per la parte penale: è fatta di minutaglia rispetto ai problemi di fondo del sistema penale, di piccole cose, anche buone, ma marginali. Per quanto concerne il processo ho perplessità maggiori: viene assicurata efficienza ad un livello superiore a quello attuale tuttavia il prezzo che pagano le garanzie è alto.


All'interno della maggioranza ci sono due forze politiche che si dichiarano ufficialmente garantiste nel processo e giustizialiste nell'esecuzione penale.


Bisogna intendersi sul significato delle parole. Garantisti nel processo significa che applichiamo rigorosamente la presunzione di non colpevolezza e costruiamo il processo in funzione di questa presunzione? Bene, bene gli iscritti nel club dei garantisti, che difendono valori costituzionali. Non c’è nulla di rivoluzionario nel pretendere questo. Quanto a giustizialisti nell’esecuzione penale, a mio giudizio questa espressione non significa nulla, se non si dice in cosa si identifica la giustizia. Nel rendere l’esecuzione penale conforme alla legge? E allora diciamo prima di tutto che in Italia l’esecuzione penale è in contrasto con tutte le leggi e la Costituzione, è un fatto obiettivamente criminale perché basato su maltrattamenti, tortura, degradazione dell’uomo. Allora sono anche io giustizialista, se questo significa pretendere la legalità nelle nostre carceri. E questa implicherebbe la chiusura della gran parte degli istituti di pena. Ma quelle forze politiche intendono altro, vogliono nuove carceri e buttar via la chiave, vogliono perpetuare un crimine legale.


Dopo lo scandalo Palamara, la magistratura ha preso davvero coscienza degli errori?


Credo che abbia capito che bisogna che stia più attenta e che le cose sono pericolose quando si sanno, è meglio che non le si conosca, è meglio tenere lontani occhi indiscreti. Gli arcana imperii vanno tutelati.


A metà novembre ci dovrebbe essere l’elezione dei membri laici del Consiglio Superiore della Magistratura. L’Anm dice: vogliamo gente all’altezza, non chi non è riuscito a farsi eleggere alle Politiche. Che ne pensa?


Siamo abituati a vederli esprimersi anche su ambiti in cui avrebbero molto meno os ad loquendum. Tuttavia se lo fanno in merito al criterio metodologico di selezione dei componenti del loro organo di governo autonomo non ci vedo niente di male. In linea di principio non hanno torto. L’idea che il Csm possa essere una sorta di refugium peccatorum di coloro che il Parlamento elegge per dargli uno stipendio mi sembra una offesa per il Csm stesso.


La Presidente di Nessuno Tocchi Caino Rita Bernardini ha lanciato la candidatura dell’avvocato radicale Giuseppe Rossodivita per il Csm. Condivide?


Certamente. Rossodivita impersona in modo paradigmatico il prototipo di un ottimo consigliere del Csm. Ha i titoli culturali e professionali, è testimonianza di un impegno sempre proteso alla salvaguardia della legalità e di un interesse pubblico trasparente. Quindi è la persona ideale per ricoprire quel ruolo, è talmente ideale che dubito che sia eletto ma mi auguro di sbagliarmi.  Non dimentichiamoci che a suo tempo fu eletto Giuseppe Di Federico, uomo straordinario, uno dei più competenti in Europa in materia di ordinamento giudiziario. Come lui ci ha raccontato, purtroppo si è trovato il modo di chiuderlo di un cantuccio per non disturbare il manovratore. Non vorrei che accadesse la stessa cosa a Giuseppe Rossodivita.


 

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