Anticorruzione: se gli uffici giudiziari non rispettano la legge

 Valentina Stella Il Dubbio 24 ottobre 2022

«La compliance negli uffici giudicanti e negli enti giudicati: un’Italia “a due velocità”?» è il titolo di una ricerca peer review pubblicata sulla rivista Sistema 231, edita da Filodiritto.com. Gli autori sono Vittore d’Acquarone, Presidente della Camera Penale di Verona, e Riccardo Roscini-Vitali, avvocato e cultore della materia in Diritto processuale penale presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università degli Studi di Verona. Il risultato eclatante dello studio? Gli uffici giudiziari non adottano i Piani anticorruzione e di conseguenza manca l’attivazione anche di specifici canali di segnalazione whistleblowing.

Che tipo di ricerca avete condotto e perché?

Ci occupiamo, dal punto di vista professionale e scientifico, principalmente di Modelli di organizzazione, gestione e controllo per la prevenzione dei reati nel settore privato e anche dei Piani triennali per la prevenzione della corruzione e per la trasparenza (PTPCT). Abbiamo occasionalmente rilevato che gli uffici giudiziari, contrariamente, per esempio, agli enti territoriali e alle società a partecipazione pubblica, trascurano tali adempimenti. La circostanza ci ha incuriosito e abbiamo approfondito l’argomento, ragionando se vi fosse il relativo obbligo; ne abbiamo, quindi, ricostruito il perimetro e i contenuti. Passando dalla teoria alla pratica, abbiamo, poi, verificato l’effettivo grado di adempimento da parte degli uffici giudiziari, prendendo in considerazione non un campione, bensì tutti gli uffici “ordinari” dislocati sul territorio nazionale: Procure della Repubblica presso i Tribunali, Tribunali, Procure Generali della Repubblica presso le Corti d’Appello, Corti d’Appello, Procura Generale presso la Cassazione e Corte Suprema di Cassazione.

Quali ambiti/processi degli uffici giudiziari dovrebbe riguardare il PTPCT?

La predisposizione dei Piani dovrebbe riguardare tutte le attività “organizzative” degli uffici giudiziari. Nella individuazione delle attività sensibili occorre tenere presente che, nello spirito della norma, per “corruzione” deve intendersi ogni situazione in cui, a prescindere dalla rilevanza penale, venga in evidenza un malfunzionamento dell’amministrazione. Solo per fare qualche esempio: le gare per l’acquisto di beni e servizi, la gestione delle cancellerie, tempi e modi per il corretto svolgimento delle funzioni, le progressioni di carriera, l’attribuzione dei procedimenti e la calendarizzazione delle udienze, le scelte organizzative sui criteri di priorità dell’azione penale, e così via. Resta esclusa dall’ambito di efficacia dei Piani la sola funzione “giurisdizionale”, che già trova disciplina nei codici di rito.

A quali conclusioni siete giunti?

Riteniamo che non vi siano ragioni plausibili per affermare che gli uffici giudiziari siano dispensati da tali obblighi normativi e, se così è, si evidenzia un paradosso: l’istituzione preposta all’applicazione della legge è, o almeno appare, essa stessa inadempiente, in termini oggettivi e con riferimento a temi tanto attuali quanto evocativi quali quelli della corruzione e della trasparenza. Dalla nostra ricerca emerge, infatti, un dato conclusivo: solo l’1,20% degli uffici giudiziari (4 su 334) adotta i Piani, mentre il restante 98,80% (330 su 334) non li adotta. Attenzione: lo studio non si occupa affatto del fenomeno della corruzione nel settore giudiziario. Il punto è che per legge quel rischio deve essere ufficialmente considerato e devono essere formalmente adottate ed efficacemente attuate specifiche e documentate precauzioni organizzative per contenerlo. La decisione implicita, come indicano i dati, pressoché unanime di auto esonerarsi da tale obbligo di legge riteniamo avrebbe invece preteso una determinazione esplicita, oltre che opportunamente motivata.

Ad esempio, se un cancelliere volesse segnalare che un magistrato potrebbe essere corrotto?

Il d.lgs. n. 165/2001 rende obbligatori i cosiddetti sistemi di segnalazione “whistleblowing”. Si tratta di strumenti che consentono anche ai profili togati e amministrativi di segnalare, in modo riservato e nella consapevolezza di non potere subire ritorsioni, la commissione di illeciti o, in ogni caso, di qualsivoglia condotta irregolare da parte di altri soggetti appartenenti al medesimo ufficio giudiziario. Ebbene, la nostra ricerca evidenzia la mancata attivazione, da parte degli uffici, anche dei canali di segnalazione “whistleblowing”. Si tratta, infatti, di una “catena” logica. Il d.lgs. n. 165/2001 indica, quale destinatario prioritario della segnalazione, il Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT). Esso, tuttavia, non è nominato, né nominabile, in assenza di un Piano da monitorare. In sintesi, poiché mancano i Piani, mancano, quale conseguenza diretta e immediata, anche i loro Responsabili, nonché, quindi, i sistemi di segnalazione “whistleblowing”.

Qual è l'anomalia che segnalate rispetto agli altri settori?

La severità delle sentenze sulla presunta imperfezione nella gestione dei rischi da parte dei privati si pone in netta contraddizione, non solo apparente, con l’esempio offerto da coloro che esprimono quei giudizi. In chiara controtendenza rispetto allo scenario sopra sintetizzato con riguardo agli uffici giudiziari, le più recenti e accreditate indagini di mercato rilevano, infatti, che, per esempio, su un campione di 226 società quotate solo 4 non hanno adottato un Modello, invece implementato dal 98% delle imprese del campione. Di esse, il 66% prevede, inoltre, canali dedicati per le segnalazioni “whistleblowing”, che solo 3 società hanno deciso di non istituire. Percentuali che fisiologicamente decrescono con riguardo alle società non quotate. In ogni caso, il dato assume speciale importanza se si considera che i Modelli sono di adozione volontaria, mentre i PTPCT sono obbligatori. Se i modelli organizzativi sono efficaci per la gestione dei rischi, tanto che in loro assenza nel settore privato, dove ripetiamo sono volontari, ne discende una colpa per l’ente, allora è incomprensibile la ragione per la quale il settore pubblico, che vi è obbligato e per un rischio specifico, obliteri l’adempimento.

In tutto questo l’ANAC che ruolo svolge?

È un interrogativo che abbiamo lasciato aperto anche nel nostro articolo. Diversamente da quanto accade per gli enti territoriali, non ci risultano, infatti, indagini dell’ANAC dedicate agli uffici giudiziari. Certo è che l’ANAC è l’organismo deputato a esercitare vigilanza e controllo sull’effettiva applicazione e sull’efficacia qualitativa delle misure adottate dalle pubbliche amministrazioni, nonché sul rispetto delle regole sulla trasparenza. Essa avrebbe, quindi, anche il potere di ordinare – il verbo è quello utilizzato nell’art. 1, c. 3, l. n. 190/2012 – agli uffici giudiziari di adottare i PTPCT e di adeguarsi alle regole sulla trasparenza dell’attività amministrativa, rimuovendo comportamenti o atti contrastanti con tali regole.


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