La giustizia non funziona? Per Morra è colpa degli avvocati

 Di Angela Stella Il Riformista 23 settembre 2020

 

L’avvocatura è chiaramente sotto attacco e da più fronti. Ormai è prassi che gli avvocati vengano aggrediti verbalmente e ricevano anche minacce di morte da quel ‘Tribunale del Popolo’ che non accetta che difendano anche il peggiore dei criminali; ieri però è arrivato anche un duro attacco da un esponente di spicco del Movimento Cinque Stelle, Nicola Morra, Presidente della Commissione Antimafia, che in un post su Facebook ha scritto: “Nel 1996 in Italia avevamo 87mila quasi iscritti all’albo degli avvocati. Nel 2019 erano 245mila, quasi tre volte quelli di 23 anni prima. Con una popolazione italiana che è aumentata nel frattempo di poco più del 5%. Facciamoci qualche domanda. Forse capiremo perché abbiamo qualche problema nell’amministrazione della giustizia”. Quindi, mentre il Ministro Bonafede qualche tempo fa diceva “guardo all’avvocato in Costituzione con particolare favore”, Morra sembra ignorare i reali problemi che stanno attanagliando la giustizia e incolpa gli avvocati. Parole definite “inaccettabili, offensive e fuori luogo” dall’Aiga, l’Associazione italiana giovani avvocati che chiede anche "con forza una presa di posizione” da parte del responsabile di via arenula. Ma qualche giorno fa è stato il consigliere del CSM Nino Di Matteo, in un convegno organizzato dalla Camera Penale di Palermo, a lanciare delle pesanti accuse nei confronti dell’avvocatura: evidenziando come negli ultimi 20-30 anni non vi sia stata una guerra tra magistratura e politica, ma "un'offensiva unilaterale, e organizzata molto bene, da un sistema malato e alimentato da una parte consistente e trasversale della politica e da una parte della stessa magistratura” ha aggiunto che bisogna prendere atto che anche l’avvocatura  “con i suoi organismi rappresentativi si è schierata dalla parte sbagliata, da quella del potere di coloro che attaccavano i magistrati liberi, coraggiosi e indipendenti, attaccando chi partecipava ai dibattiti organizzati da un partito politico, o accusato di politicizzazione coloro che hanno osato alzare il livello e l'asticella delle indagini, anche nei confronti di esponenti di governo o dell'opposizione. Non ha avuto la forza e l'intelligenza per attaccare quei rapporti, quelli sì di vero collateralismo politico tra una parte dei magistrati e il potere politico'. Dallo stesso convegno però è arrivata la risposta esemplare di Gian Domenico Caiazza, Presidente dell’Unione delle Camere Penali Italiane: "noi contestiamo la premessa del suo ragionamento, consigliere Di Matteo. Noi ci occupiamo come professionisti nella nostra vita e come associazione politica del tema del rispetto delle regole processuali. Noi non abbiamo da schierarci per la corruzione o contro la corruzione, per la buona politica o contro la cattiva politica. Noi dobbiamo essere sicuri che il giudice chiamato a giudicare - non di un fenomeno di corruzione politica  - ma delle responsabilità di Tizio o di Caio o di Sempronio, che hanno un nome e un cognome, ragioni su Tizio, su Caio e su Sempronio. Questo è preteso dal nostro sistema costituzionale prima e processuale dopo. Qual è la degenerazione che noi abbiamo visto negli ultimi diciamo 25 anni di amministrazione della giustizia in questo Paese in modo chiaro? È che ci si è sempre più allontanati da questa urgenza inderogabile: che il processo penale non divenisse un luogo dove si risolvono le questioni sociali e politiche, ma è il luogo dove si giudica la responsabilità individuale". Ieri, sempre Caiazza, ha aggiunto un commento al nostro giornale: “ Se il confronto con Nino Di Matteo è stato franco, leale e segnato dal rispetto reciproco,  a Morra non è nemmeno possibile replicare, dato il livello desolante dei suoi poveri ragionamenti. Posso tutt’al più parafrasarlo. Dunque dirò: <Ascoltiamo Morra e facciamoci qualche domanda. Forse capiremo perché abbiamo qualche problema nell’amministrazione del Paese>”.

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