Onida: Correnti Anm, potere per il potere


di Angela Stella Il Riformista 16 luglio 2020

Il professore Valerio Onida, già Presidente della Corte Costituzionale, da avvocato ha perorato la causa di un richiedente asilo su cui si è espressa la Consulta qualche giorno fa. Con lui abbiamo commentato questa decisione ma anche i temi della giustizia all’ordine del giorno del dibattito.
La Consulta è intervenuta sul primo decreto sicurezza. Ancora una volta il giudice si è sostituito alla politica? Cosa ne pensa di quanto ha detto Salvini, ossia che questa decisione è una scelta politica?
Con la decisione sul divieto di iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo (annunciata in un comunicato, ma non ancora motivata nella sentenza che sarà fra breve pubblicata) la Corte ha semplicemente fatto il suo mestiere, che è quello di scrutinare le disposizioni legislative sotto il profilo della loro conformità o meno alla Costituzione, e, quando ne riconosce l’incostituzionalità (come nel caso), dichiararla con effetto erga omnes e sin dall’inizio (salvo eventuali rapporti esauriti). La legge è frutto della politica, ma incontra il limite della Costituzione, e questo trova il suo presidio nella Corte costituzionale. Una sentenza di incostituzionalità è una decisione “politica”, nel senso che smentisce una determinazione o un orientamento degli organi politici che hanno dato vita alla legge, ma in nome della Costituzione, che appunto limita la discrezionalità del legislatore.
Secondo Lei questa "irragionevole disparità di trattamento" a cui sono sottoposti i richiedenti asilo può essere letta con una connotazione di razzismo?
Questa decisione colpisce una scelta legislativa che è apparsa subito, a molti, come  irragionevole e discriminatoria, e quindi contraria alla Costituzione, poiché negava ai richiedenti asilo il diritto di iscriversi nell’anagrafe del luogo di residenza effettiva senza alcuna plausibile giustificazione, che non fosse l’intento di rendere più difficile la vita a queste persone che soggiornano regolarmente nel territorio in attesa dell’esito della loro domanda di asilo, e hanno quindi diritto alla protezione.  Non parlerei di “razzismo”, se non nel senso che la discriminazione ingiustificata di certe persone ha la stessa radice antigiuridica e incostituzionale che si manifesta negli atteggiamenti di chi discrimina in nome di quelle distinzioni “di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” che per l’articolo 3 della Costituzione non possono negare la “pari dignità sociale” delle persone e l’eguaglianza di tutti “davanti alla legge”.
Cosa ne pensa della crisi che sta attraverso la magistratura in questo momento?
La magistratura nel nostro sistema è soggetta, a tutela della indipendenza “esterna” ed “interna” (cioè nei rapporti fra di loro) dei magistrati, ad un sistema di governo autonomo, ma di “autogoverno temperato” dalla presenza nel CSM di membri “laici” eletti dal Parlamento, e analogamente di membri “laici” nei consigli giudiziari costituiti in ogni distretto di Corte d’Appello. Le “correnti” dell’Associazione Nazionale Magistrati, nate per consentire la libera espressione dei diversi orientamenti culturali e indirizzi per il governo autonomo presenti nella magistratura associata e nel CSM, sembrano troppo spesso essersi trasformate in gruppi di potere che agiscono solo per il potere, specie quando si tratta di attribuire incarichi direttivi nei vari uffici giudiziari; e la presenza dei membri “laici” (tra i quali è eletto il Vice Presidente del CSM, che è presieduto dal Presidente della Repubblica) sembra troppo spesso a sua volta essere ricondotta solo a scelte di partito. In questo modo però si tradisce il ruolo del governo autonomo, che non è chiamato a proteggere interessi personali o di gruppo, né interessi politici di parte, ma a fare scelte mirate all’indipendenza, al buon andamento e all’efficienza degli uffici giudiziari.
Come porre rimedio?
Non certo una riduzione dell’autonomia dell’organo di governo, e neanche forse una crescita in esso del peso della componente di estrazione parlamentare, che potrebbe eventualmente giovare solo se gli eletti dal Parlamento a loro volta agissero in piena indipendenza e in nome non di interessi di partito da loro rappresentati, ma in nome dell’interesse pubblico all’indipendenza e al buon andamento degli apparati giudiziari. A quest’ultimo fine potrebbe giovare richiedere per l’elezione parlamentare dei membri laici una maggioranza più elevata, per favorire scelte autorevoli e non partigiane (magari anche fra magistrati in pensione, e non solo professori e avvocati), e soprattutto un costume di piena indipendenza di essi dai condizionamenti della politica contingente. Il sistema per l’elezione dei membri “togati” dovrebbe favorire la conoscenza personale dei candidati da parte degli elettori, e magari includere forme di sorteggio (però facendo sì che in definitiva si tratti pur sempre di “eletti” dai magistrati) atte a contrastare il prevalere di logiche di potere correntizio. Soprattutto occorrerebbe che in tutte le componenti della magistratura si affermasse una prassi di prevalenza dell’interesse pubblico al buon funzionamento degli uffici e non di carrierismo organizzato.
In una intervista al nostro giornale Sabino Cassese ha descritto le Procure come un quarto potere, ormai indipendente dalla magistratura. È d'accordo?
I membri della magistratura “requirente” (le Procure) sono magistrati a tutti gli effetti, membri dell’ordine giudiziario “autonomo e indipendente da ogni altro potere” ai sensi dell’articolo 104 della Costituzione. In particolare, l’indipendenza delle Procure dal potere esecutivo (che tradizionalmente le controllava, e altrove le controlla) è e deve essere piena. All’interno i singoli magistrati delle Procure non godono invece di piena indipendenza dai Capi delle stesse, che hanno nei loro confronti anche poteri di tipo gerarchico e di coordinamento (per cui, per esempio, i rapporti col pubblico devono essere intrattenuti sempre dai Capi). Soprattutto, la magistratura giudicante (i giudici) è e deve essere del tutto indipendente dalle Procure, per assicurare l’assoluta imparzialità dei giudici, in particolare nel processo penale, ove l’accusa impersonata dalla Procura si contrappone all’altra parte, l’imputato, e il giudice deve essere per definizione “terzo e imparziale”. Per questo i provvedimenti che incidono sulla libertà e sui diritti degli imputati sono bensì chiesti dalle Procure procedenti, ma adottati e controllati esclusivamente dai magistrati giudicanti. Anche la commistione di poteri inquirenti e giudicanti che si verificava nella figura del Pretore col vecchio codice, nel nuovo codice è eliminata, affermandosi sempre la distinzione tra le due funzioni. I magistrati delle Procure hanno solo poteri di indagine e di promozione dell’azione penale: giudicare spetta solo ai giudici. Nel processo il PM è solo parte, e perciò il giudice non è mai vincolato alle sue determinazioni o richieste. Dunque c’è e ci deve essere una netta distinzione di funzioni fra Procure e magistratura giudicante.  Tradizionalmente tuttavia, trattandosi di magistrati appartenenti allo stesso ordine, è ammesso che i singoli magistrati passino da una “carriera” all’altra, e svolgano volta a volta funzioni requirenti o giudicanti. Oggi il passaggio è meno frequente e più difficile, e ovviamente si evita che lo stesso magistrato, che passa da una carriera all’altra, possa ricoprire funzioni requirenti e giudicanti nello stesso processo. Tuttavia la provenienza dagli stessi concorsi, la formazione analoga, il fatto che le Procure operino nelle stesse sedi e nelle stesse strutture dei Tribunali e delle Corti d’appello, il fatto che sono “amministrati” dallo stesso CSM, la possibilità del passaggio di un magistrato dall’una all’altra funzione nella sua carriera, da un lato sono elementi utili a far sì che i due organi siano accomunati dalla stessa “cultura della giurisdizione”. Il PM è bensì parte, ma deve sempre agire nel solo interesse pubblico e della legalità, anche assumendo le prove a favore dell’imputato; e l’aver svolto prima funzioni di giudice può favorire un miglior cultura e un maggior equilibrio del magistrato. Ma dall’altro lato questi elementi possono creare o indurre ad una “vicinanza” fra PM e giudici che può ridurre l’effetto della rigida separazione funzionale. Sono pur sempre “colleghi” nella stessa magistratura. Di qui spesso l’istanza di una “separazione delle carriere”, che però meglio sarebbe forse configurare come una rigida separazione di funzioni e reciproca indipendenza fra i due corpi della magistratura.
Può spiegare meglio?
Ai fini di assicurare la piena imparzialità dei giudici (che debbono anche “apparire” imparziali, non solo esserlo) e il giusto processo conta di più che i poteri e la durata delle indagini dei PM siano attentamente limitati e definiti, e che sulle richieste della Procura, allorquando formula le accuse e chiede l’adozione di provvedimenti restrittivi nei confronti dell’imputato, si attui il più attento e severo controllo dei giudici. Anche a questo sono intesi i principi costituzionali per cui “nessuno può esser distolto dal giudice naturale precostituito per legge”, onde mai la pubblica accusa può influire sulla scelta dei giudicanti, e “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. Chi è solo indagato dalla Procura non è ancora nemmeno imputato, e l’imputato che deve ancora essere giudicato non è e non può essere considerato giuridicamente colpevole.
Il nostro giornale ha reso nota la trascrizione di una conversazione tra Silvio Berlusconi e il dott. Amedeo Franco. Che idea si è fatto della vicenda?
Stiamo ai fatti. Un anziano giudice di Cassazione, Amedeo Franco, dopo avere condiviso e addirittura (sembra) scritto la sentenza che confermava la condanna di Berlusconi (e non  risulta che avesse fatto ricorso alla facoltà, che hanno i giudici dissenzienti da una deliberazione collegiale, di far constare per iscritto il proprio dissenso dalla maggioranza), si reca a casa del condannato, ove si trova anche un altro magistrato fuori ruolo, noto esponente di una corrente e investito di funzioni di governo (come sottosegretario alla giustizia) e di parlamentare; e dice cose che potrebbero far pensare a influenze esterne sulla condanna. Perché lo fa? Viene registrato, a quanto pare a sua insaputa, ma la registrazione viene resa pubblica solo ora, dopo la sua morte, e utilizzata per contestare l’imparzialità dei giudici della Cassazione che hanno confermato la condanna. Nessuno, che io sappia, ha ancora dimostrato, tanto meno in modo convincente, che quella sentenza e quella condanna erano sbagliate e dovute a pregiudiziale inimicizia per l’imputato: condanna che, si noti, era stata sancita e motivata, prima che da quel collegio di Cassazione che la confermò, dai giudici di merito del Tribunale e poi della Corte d’Appello (e dunque avrebbero sbagliato o sarebbero stati condizionati tutti i numerosi giudici che vi avevano nel tempo concorso). Dunque uno “scandalo” a dir poco del tutto prematuro, che addirittura dà per acquisito, su questa base fattuale così poco credibile, un presunto voluto errore giudiziario mai dimostrato, e induce qualcuno ad invocare – questo è il colmo – la nomina del condannato a senatore a vita (avrebbe dunque “illustrato la Patria per altissimi meriti”) a titolo di risarcimento per essere stato dichiarato decaduto dal Parlamento!
Al momento nelle nostre carceri ci sono 1276 ergastolani ostativi. Sarebbe favorevole all'abolizione del fine pena mai che toglie ogni speranza?
L’ergastolo (fine pena mai) è una pena che in tanto può esser ritenuta non del tutto incompatibile con la Costituzione (per la quale la pena non deve mai consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e deve tendere alla risocializzazione del condannato), in quanto sia prevista fin dall’inizio la possibilità per il condannato di conseguire la libertà in esito ad un percorso che attesti il suo “ravvedimento”. L’istituto previsto a tale scopo è la “liberazione condizionale”, che il condannato all’ergastolo può ottenere dopo aver scontato almeno ventuno anni di carcere. Oggi è però previsto che i condannati per certi reati gravi (non solo di tipo mafioso) possano chiedere la liberazione condizionale solo se collaborano con la giustizia (cioè assumono il ruolo di cosiddetti “pentiti”, che aiutano attivamente ad accertare altri reati e a trovare altri colpevoli), salvo che la collaborazione risulti impossibile o irrilevante. Questa previsione è incostituzionale, perché non si può considerare la “collaborazione” (che può comportare anche autoaccuse o accuse ad altri, anche familiari) come unico possibile modo di dimostrare il proprio ravvedimento. Lo ha stabilito ormai la Corte europea dei diritti dell’uomo, e ha cominciato a dirlo la Corte costituzionale, che tuttavia non si è ancora pronunciata sul tema della liberazione condizionale nel caso dell’ergastolo ostativo, ma lo farà fra breve, poiché è stata sollevata la relativa questione.
Qual è il suo giudizio sull'operato del Ministro Bonafede durante il lockdown?  Mi riferisco soprattutto a quel decreto 'emergenziale' che è intervenuto sul lavoro dei magistrati di sorveglianza a seguito delle polemiche nate dopo alcune concessioni di detenzioni domiciliari a detenuti di alta sicurezza e al 41 bis.
La salute dei detenuti è un diritto, come quella di tutti. Non è dunque possibile sacrificarla ad alcuna ragione di “sicurezza”. Ci sono molti modi per garantire la sicurezza necessaria anche nel caso di ammissione alla detenzione domiciliare dei detenuti di “alta sicurezza” per ragioni stringenti di salute. Alta sicurezza, 41 bis e dintorni non possono in nessun caso esimere dal dovere di adottare – e ciò spetta solo ai magistrati di sorveglianza – le misure necessarie per garantire il diritto alla salute dei detenuti, né dal dovere di adottare le altre misure necessarie per fronteggiare la situazione di scandaloso sovraffollamento delle carceri. Più in generale, la pena non può mai essere configurata ed eseguita in modo da garantire la sola “sicurezza”, nel senso dell’isolamento dei detenuti dalla società, senza invece contemporaneamente attuare tutte le misure atte a rendere la pena della reclusione, oltre che non inumana, idonea, in forza del trattamento carcerario, a favorire la risocializzazione del condannato. Ci vorrebbe insomma, per così dire, un “41-ter” che imponga di realizzare davvero le condizioni per l’opera di risocializzazione di tutti i condannati, anche per delitti mafiosi o altri gravi reati.
Che giudizio dà della querelle tra Di Matteo e Bonafede sulla direzione del Dap?
Perché mai un magistrato di procura specializzato nella benemerita lotta giudiziaria alla mafia (benemerita se condotta con mezzi legali e costituzionalmente consentiti) dovrebbe vantare una sorta di pretesa a occupare il ruolo di direttore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria? È invece anomalo che a svolgere questo ruolo si ritenga sempre necessario preporre un magistrato (il cui compito è quello di svolgere le funzioni giudicanti o requirenti, non quelle amministrative relative si servizi della giustizia), quando l’amministrazione penitenziaria dispone di tanti ottimi e sperimentati funzionari, alcuni dei quali anche noti esponenti di punta della cultura dell’esecuzione penale aderente dalla Costituzione, e tutti specificamente formati e cresciuti nell’esercizio proprio  di questi compiti.
Esiste l'ipotesi che il Governo proroghi lo Stato di emergenza. Qual è il suo parere su questo?
Lo stato di emergenza di rilievo nazionale è stato dichiarato dal Consiglio dei Ministri il 30 gennaio scorso sula base dell’art. 24 del testo unico sulla protezione civile, che prevede tale eventualità nel caso di “emergenze di rilievo nazionale connesse con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell'uomo che in ragione della loro intensità o estensione debbono, con immediatezza d'intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo”. La durata non può superare i 12 mesi, prorogabili per non più di altri 12 mesi. La eventuale proroga, e la sua durata, nei limiti di tempo predetti, dipendono dunque dal fatto che si reputi tuttora in corso una emergenza che debba essere fronteggiata con urgenza e con mezzi e poteri straordinari. In effetti, data la persistente emergenza a livello internazionale, e le incognite relative al modo in cui l’epidemia ancora si diffonde, mi pare difficile negare che sussistano i presupposti per una eventuale proroga.



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