Intervista a Bruti Liberati
Valentina Stella Dubbio 28 ottobre 2024
Lo scontro tra magistratura e politica si fa sempre più acceso: ne parliamo con l'ex Procuratore della Repubblica, Edmondo Bruti Liberati.
Caso Albania: i giudici stanno esercitando un ruolo di ingerenza nelle politiche governative? La gestione dei flussi migratori verso l’Europa è un problema complesso. È allo studio un nuovo regolamento dell’UE che però è previsto entri in vigore solo nel 2026; l’Italia potrebbe adoperarsi per anticipare i tempi. I magistrati non intervengono sulle scelte politiche, ma si pronunciano su singoli casi (che sono anche singole persone, non dimentichiamolo) applicando e interpretando le norme vigenti italiane e la giurisprudenza europea.
La maggioranza dice: “le toghe rosse non ci fermeranno”. Ma esistono davvero queste toghe rosse?
Ogni decisione della magistratura può essere criticata ma con argomenti e non con invettive. La storia delle toghe rosse è francamente ridicola. A voler seguire questa linea si dovrebbe parlare anche di toghe nero-verdi-azzurre in caso di decisioni non sgradite a questo governo. I magistrati, come tutti i cittadini hanno le loro idee politiche, verosimilmente alle ultime elezioni, come la popolazione generale, si saranno nel voto divisi più o meno a metà tra le forze della attuale maggioranza e quelle dell’opposizione. Poi nell’esercizio delle loro funzioni applicano la legge.
Ritiene che sia sufficiente come garanzia di imparzialità per un magistrato che critica le scelte dell’Esecutivo la circostanza che poi assuma un dovere di indipendenza da sé stesso e renda conto mediante la motivazione del provvedimento giurisdizionale dell’effettiva assunzione di quel dovere?
I magistrati, come tutti i tecnici del diritto, possono proporre analisi giuridiche sulle scelte dell’esecutivo che si traducono in proposte e poi in leggi; le valutazioni debbono essere argomentate, chiare e misurate nei toni anche quando decisamente critiche. In questi giorni professori penalisti e avvocatura hanno espresso valutazioni molto severe sulla politica securitaria di questo governo. Le condivido totalmente, ma se fossi ancora magistrato applicherei queste norme, con l’unico limite dell’eventuale eccezione di costituzionalità, ove fosse il caso.
Il presidente del Senato La Russa in una intervista a Repubblica non esclude una modifica del Titolo IV della Costituzione sostenendo “a chi spetta definire esattamente i ruoli della politica e della giustizia? Alla Carta costituzionale. In passato tutto sembrava funzionare. Dopo Tangentopoli non è più stato così. Ci sono magistrati che vanno oltre, dando la sensazione di agire con motivazioni politiche. E ci sono d’altro canto politici che hanno il dente avvelenato con i giudici. Se la Costituzione non appare sufficientemente chiara, si può chiarire meglio”. Che ne pensa?
Penso e spero che le espressioni del Presidente del Senato, che è avvocato, operatore del diritto, siano andate oltre il suo pensiero: altrimenti si dovrebbe ritenere che sia messo in discussione il principio della indipendenza della magistratura, fondamento di ogni ordinamento liberaldemocratico.
Il vice presidente del Csm, Fabio Pinelli, ha detto: “Il compito di un buon magistrato è far rispettare la legge, non definire un'etica pubblica”. In questi anni la magistratura ha esondato dalla sua funzione?
La proposizione di principio è pienamente condivisibile. In un mio libro da poco uscito “Pubblico ministero. Un protagonista controverso della giustizia” (Raffaello Cortina editore) a pag 144 scrivo: “Il pm ha l’obbligo di accertare fatti di reato specifici e responsabilità individuali, con il livello di prova elevato che si esige per una condanna, nel pieno rispetto delle garanzie di difesa e non di indagare e pretendere di risolvere problemi politici e sociali.[…] Il pm ha l’obbligo di accertare fatti previsti dalla legge come reato e non di intervenire su fatti di malcostume o irregolarità amministrative. “Reati penali” è una ridondanza entrata nell’uso giornalistico, perché il reato è già di per sé penale, ma è forse utile a sottolineare specificità e limiti dell’intervento della giustizia penale. Non spetta né ai giudici né al pm il ruolo di custodi della virtù pubblica, come ammoniva Alessandro Pizzorno nel 1998 in un volumetto dal titolo Il potere dei giudici. Stato democratico e controllo della virtù. Aggiungo ora che dove posizionare l’asticella dell’etica pubblica spetta alla politica e in molti Paesi esiste e opera l’istituto delle dimissioni quando emergano fatti non commendevoli indipendentemente dalla rilevanza penale. Da noi non è così e quando, come capita, la politica rimette la decisione su dimissioni da ruoli pubblici a scadenze del processo penale (rinvio a giudizio, condanna di primo grado, condanna definitiva) è paradossalmente proprio la politica ad attribuire alla magistratura penale il “controllo della virtù”.
Si rivendica da parte delle toghe anche il loro ruolo di difensori del mandato costituzionale di effettiva garanzia dei diritti delle persone. La magistratura ha dovuto supplire alle carenze della politica?
Il discorso sulla “supplenza della magistratura” sarebbe molto complesso e andrebbe rapportato anche al tema delle “non scelte” della politica rispetto a temi delicati, “non scelte” che affidano un ruolo improprio alla magistratura, che poi è “costretta” ad intervenire su singoli casi. Gli esempi non mancano e talora la Corte Costituzionale ha rivolto invano moniti al legislatore perché intervenisse.
Questo attuale scontro tra magistratura e politica rappresenta la fase finale di quello iniziato con Tangentopoli, guardando anche a tutte le riforme percepite contro la magistratura e messe in cantiere da questo Governo?
Da Mani pulite sono passati più di trent’anni e su quella vicenda, nei lati positivi e nelle criticità, vi sono state analisi approfondite. In questi decenni si sono succeduti diverse maggioranze e diversi governi e le “toghe politicizzate” hanno di volta in volta adottato anche provvedimenti sgraditi al governo di turno. Le iniziative giudiziarie hanno avuto esiti diversi e possono essere analizzate e criticate; ma sarebbe meglio finirla con la giaculatoria della “magistratura politicizzata” o, peggio, delle “toghe rosse”. Oggi ci si confronta con proposte di legge di riforma costituzionale: non sono solo magistrati, ma anche molti autorevoli giuristi ad esprimere preoccupazione per la proposta di riforma costituzionale del governo che non è solo separazione delle carriere, ma riscrittura di tutto il sistema costituzionale di garanzia della indipendenza della magistratura, quello preclude all’esecutivo di ordinare al Pm prima e poi ai giudici di adeguarsi “al mandato ricevuto dai cittadini”. Fino a ieri si paventava il rischio che, nonostante tutte le rassicurazioni dei proponenti, si potesse in futuro mettere a rischio l’indipendenza dei Pm; le vicende di questi giorni ci mostrano che potrebbe essere in pericolo anche l’indipendenza dei giudici. L’indipendenza della magistratura, principio fondamentale delle democrazie liberali, è sempre a rischio come avvenuto in paesi “sovranisti” pur membri dell’Unione europea. Siamo per fortuna molto lontani dall’Ungheria, ma sarebbe meglio essere prudenti prima di sconvolgere delicati equilibri costituzionali.
Commenti
Posta un commento