Intervista a Giorgio Spangher

 Valentina Stella Dubbio 11 ottobre 2024


La condanna in primo grado a otto mesi per i pm di Milano Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro per rifiuto di atti d’ufficio, non avendo depositato atti favorevoli alle difese nel processo Eni/ Shell- Nigeria, ci porta ad interrogarci sulla cultura del pubblico ministero. Dopo il professor Mazza, oggi ne parliamo con il giurista Giorgio Spangher, emerito di procedura penale.

Cosa pensa della condanna dei due pm milanesi?

Pur dovendo attendere le motivazioni, mi pare un elemento molto significativo, perché potrebbe anche essere utilizzato dalla magistratura a dimostrazione che il pubblico ministero ha un obbligo di indagare non solo contro ma anche a favore dell’indagato. Quindi nel dibattito sulla separazione delle carriere potrebbe essere utilizzato molto dalla magistratura come elemento positivo per dimostrare che il pm svolge una funzione di garanzia giurisdizionale e che la magistratura non resta a guardare in caso di violazioni. Tra parentesi devo dire una cosa.

Prego.

In questo momento sono in Romania per un convegno. Stamattina ( ieri, ndr) i colleghi mi dicevano che qui c’è una norma che è stata modificata dopo la fine del regime comunista in forza della quale, mentre prima il pm faceva quello che voleva, oggi ha l’obbligo di indagare anche a favore.

Torniamo in Italia.

La situazione del processo Eni – Nigeria è molto particolare. Le prove erano state acquisite dal pm e sembrerebbe che le abbia occultate. Diverso il discorso del pm che potrebbe svolgere indagini anche a favore dell’imputato.

Sta parlando dell’articolo 358 cpp?

Esatto. Stiamo attenti: questa norma è stata scritta nel 1988. Da allora è cambiato tutto. Il pm, nel momento in cui il procedimento è regredito nella fase delle indagini e ha potuto utilizzare il suo materiale, si è connotato di elementi accusatori più che naturalmente difensivi. Nel sistema accusatorio dell’ 88 il pm fa le “indagini necessarie”, può raccogliere anche materiale favorevole e va a dibattimento. Adesso il processo è tutto regredito nella fase di indagine, è tutto cambiato.

Quindi questo 358 ha ancora un valore e viene applicato? Secondo lei il pm raccoglie le prove anche a favore dell’indagato oppure no? Le può raccogliere. Ci sono delle norme che prevedono un obbligo per il pm, quando chiede una misura cautelare, di trasmettere gli atti favorevoli che si trova ad avere. Il concetto già di favorevolezza è molto relativo. Faccio un esempio: io ero con un mio complice, lui ha sparato, io ho solo guardato. È favorevole o non favorevole questa dichiarazione? E c’è di più.

Cosa?

Io ho voluto assolutamente inserire nel codice la previsione per cui il pm può ricorrere per Cassazione anche a favore dell’imputato: se lui ritiene di farlo lo fa, se ritiene di non farlo non lo fa. Al di là del dato oggettivo del codice, secondo lei il pm di oggi è un organo di giustizia assimilabile al giudice parte imparziale, interessato solo alla ricerca della verità? O è un investigatore partigiano? No, non si può dire che sia così. Oggettivamente il pm deve assicurare - perché sta scritto nelle norme - il giusto processo, il rispetto delle regole e quant’altro. Però non si può nascondere che il pm svolge una funzione, chiamiamola accusatoria. Del resto le due regole di giudizio prevedono: “sostenere l’accusa” oppure a un certo punto “ragionevole previsione di condanna”. È chiaro che il suo obiettivo processuale è quello di vedere se può sostenere l’accusa e se a un certo punto ha una ragionevole previsione di condanna. Naturalmente questi concetti, non è detto che siano in tutti i pubblici ministeri. In alcuni casi ci sono anche delle norme nelle quali l’imputato chiede al pm di assumergli delle prove a favore e il pm rifiuta. Nelle indagini difensive se un testimone favorevole alla difesa si rifiuta di rispondere, io posso chiedere al pm di assumerlo. Se il pm non me l’assume allora in questo caso la difesa si rivolge al giudice, il che dimostra che il pm non è obbligato a tener conto giustamente delle richieste dell’imputato. È un discorso nel quale la discrezionalità del

pm non è sindacabile. Alcuni giuristi si chiedono provocatoriamente: se c’è il 358 cpp a che serve il difensore? No, non credo che sia questo: è una norma che nasce in un certo momento storico, è una norma che qualcuno ha ritenuto ipocrita.

Perché ipocrita?

Perché sostiene una cosa che poi sostanzialmente non trova attuazione. Il ruolo della difesa è un ruolo sempre più forte che deve estrinsecarsi nelle indagini preliminari dialetticamente rispetto al pm che è il suo avversario e occorre trovare nel giudice lo strumento di garanzia. La difesa non lo può trovare nel pubblico ministero, lo deve trovare nel giudice, il quale, nella dialettica fra accusa e difesa, vede quali sono le regole da applicare al caso concreto, anche nella fase delle indagini. Pensate al controllo sull’esercizio dell’azione penale, le norme introdotte dalla Cartabia, il tempo delle indagini, le proroghe, il controllo sull’iscrizione. Questo è il grande cambiamento nel processo a trazione anteriore. Non è il pm il riferimento dell’imputato, della difesa. Il vero punto di riferimento che va rafforzato è quello del giudice. Naturalmente sotto sotto c’è la separazione delle carriere, inutile nascondersi.

Si parla tanto di cultura della giurisdizione, a chi appartiene questa cultura della giurisdizione? In teoria deve appartenere a tutti: la giurisdizione non è patrimonio né del giudice né della difesa né dell’accusa, tutti devono contribuire alla cultura della giurisdizione che vuol dire realizzare il giusto processo. Giurisdizione vuol dire giusto processo, vuol dire efficienza del sistema, vuol dire garanzie, vuol dire rispetto dei diritti di riservatezza. Naturalmente ognuno ha della visione della giurisdizione una sua prospettiva. Il vero garante della giurisdizione è il giudice. Il problema è che con la presenza molto forte del pm il rischio è che il giudice sia risucchiato dentro la cultura dell’accertamento e quindi dell’inquisizione.

Secondo lei il pm può diventare vittima di una visione a tunnel?

Io facevo questo esempio... Dicevo a Piero Vigna, che indagava sul mostro di Firenze: «Non ti vedo la mattina cercare prove contro Pacciani e il pomeriggio a suo favore. Quindi, è chiaro, tu sei radicalmente convinto che Pacciani sia responsabile e continuerai a raccogliere le prove finché non riuscirai a dimostrare la tua impostazione». Il pm non si innamora di una tesi, ne è radicalmente convinto e cerca di supportarla attraverso gli elementi che la assecondano e negando gli elementi che la confutano. Sarebbe schizofrenico se non facesse così.

Tutti i pm operano così?

No, certo. Poi bisogna vedere anche le situazioni di fatto. Oggi abbiamo una difesa che rifluisce fortemente nelle indagini e quindi il pubblico ministero dovrà tenere conto degli apporti difensivi, negli interrogatori di garanzia, nelle istanze, negli incidenti probatori. È cambiato tutto e quindi il pubblico ministero oggi deve stare più attento. E c’è un’altra cosa.

Mi dica.

Delle volte capita che i giudici tutelino il pm applicando il 530 comma 2 cpp (“Il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l’imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile”). Pm e avvocato escono dall’aula: il primo dice che non è stato smentito – ma di fatto ha perso – il secondo che il suo assistito è stato assolto.

Commenti

Post popolari in questo blog

«L’avvocato non può essere identificato con l’assistito»

Accuse al pm di Bergamo, il procuratore: seguo il dossier

Respinto appello Pg: Natale resta ai domiciliari