Dossier, Cantone: atti in antimafia E insiste sugli arresti

 Valentina Stella dubbio 3 settembre 2024

In base alla legge sulla presunzione di innocenza «si ritiene doveroso fornire alcune limitate notizie ufficiali per garantire in modo trasparente l’esercizio del diritto di informazione corretto ed imparziale»: così, con queste parole ieri il procuratore di Perugia Raffaele Cantone ha giustificato un suo comunicato stampa dopo che per due giorni diverse testate giornalistiche hanno dato notizia della sua richiesta respinta dal gip di arresti domiciliari per l'ex magistrato della Direzione Nazionale Antimafia Antonio Laudati e del tenente della Guardia di Finanza Pasquale Striano. L’indagine è relativa ai presunti accessi abusivi agli archivi informatici della DNAA riguardanti esponenti politici e del mondo economico, dello sport e dello spettacolo, messi in atto dai due a favore di tre giornalisti del Domani, Nello Trocchia, Giovanni Tizian, Stefano Vergine, anche loro indagati ma per i quali non è stata fatta alcuna richiesta di misura cautelare. Quella di Cantone potrebbe apparire quasi una autodifesa del lavoro fatto fino ad oggi dai suoi uffici, in quanto ad emergere mediaticamente è stato solo l’aspetto del rifiuto del gip della sua richiesta di domiciliari. Si legge infatti nella nota che innanzitutto le indagini non sono ancora concluse e che non lo saranno «in tempi brevi», che al gip sono stati prospettati «gravi indizi di colpevolezza» integrati da «gravi fatti di inquinamento probatorio in grado di danneggiare la genuinità» delle indagini e in più per Striano, essendo ancora in servizio anche se non in un reparto operativo, anche la possibile reiterazione del reato.  Il Gip il 16 luglio deposita una ordinanza in cui si legge che è «indiscutibile la sussistenza di plurimi, gravi e precisi indizi di reità in ordine a tutte le fattispecie contestate» tuttavia non condivide la richiesta di misure cautelari. In sintesi, secondo il Gip, nel momento in cui Laudati e Striano hanno ricevuto l’invito a comparire avrebbero avuto accesso al dato informativo e alle fonti di prova e non erano tenuti a non divulgarli. Quindi non sussisterebbe il pericolo di inquinamento probatorio, non essendoci più segreto investigativo. Mentre per Cantone, secondo quanto riportato da altre fonti giornalistiche, i due avrebbero preso contatti con altri indagati e con qualcuno alla Procura di Roma per sapere cosa avessero in mano a Perugia.  Per la possibile reiterazione del reato da parte di Striano, secondo il Gip sono mutate le condizioni lavorative, «non potendo più contare sulla presenza di un diretto superiore compiacente». Il 25 luglio Cantone ha presentato appello contro la decisione del Gip, contestando, tra l’altro «l’affermazione del Gip secondo cui gli indagati avrebbero avuto “in tutto o in parte” accesso agli atti processuali». Inoltre per Cantone non vi era stata alcuna discovery degli atti e non si era potuto comunicare agli indagati gli esiti delle indagini in quanto non si erano presentati in quello che viene definito nei corridoi di giustizia l’interrogatorio alla cieca. Infatti secondo l’art 375 cpp l’avviso a comparire contiene solo «la sommaria enunciazione del fatto quale risulta dalle indagini fino al quel momento compiute». Ora però tutti gli atti sono conoscibili in quanto i legali dei due indagati li hanno ricevuti per potersi difendere innanzi al Tribunale del Riesame. Per questo Cantone, a termine del comunicato, ha dichiarato che trasmetterà l’intera documentazione alla Commissione Antimafia che già a marzo aveva iniziato delle audizioni che ora proseguiranno come annunciato ieri pomeriggio dalla presidente della stessa, Chiara Colosimo, «allo scopo di pervenire a una ricostruzione d’insieme di quanto accaduto e di valutare quali proposte formulare per evitare il ripetersi di analoghi gravi casi». Questi i fatti. Tuttavia ci si chiede: perché insistere con l’arresto soprattutto di Laudati, ormai in pensione, fuori dai giochi e a diversi mesi dallo scoppio della vicenda? Per ridare forza ad una inchiesta che all’inizio era stata presentata con caratteristiche di una tale gravità da far richiedere congiuntamente a Cantone e al Pna, Giovanni Melillo, di essere auditi a marzo con urgenza dal Csm, dal Copasir e dalla bicamerale parlamentare, ma che al momento sembra essere sgonfiata pesantemente? «La richiesta di misura cautelare appare sorprendente, intervenendo a distanza di molto tempo dalle contestazioni, priva dei parametri codicistici, ma soprattutto confondendo l'inquinamento probatorio con il legittimo esercizio del diritto di difesa» ha detto ieri pomeriggio in una nota, il prof avv Andrea Castaldo, difensore di Laudati. Ricordiamo anche che quella richiesta di Cantone e Melillo era stata definita «inusuale» dal Procuratore generale di Perugia, Sergio Sottani, preoccupato del mancato bilanciamento tra il diritto di cronaca e quello alla presunzione di innocenza. Ci si chiese in quei giorni, infatti, se era necessario in quel momento, in cui le indagini erano ancora in corso, svelare dettagli in circa dieci ore di dichiarazioni innanzi ai commissari, determinando su molta stampa un preventivo giudizio di colpevolezza nei confronti dei cinque indagati. Adesso invece ci si chiede se sia opportuno che la Commissione antimafia riceva tutti gli atti mentre proprio i tre giornalisti del Domani, che non hanno ricevuto l’invito a comparire, ancora non abbiano potuto leggere nulla che riguardi la loro posizione. 

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