Intervista a Mauro Palma

 Angela Stella Riformista 9 settembre 2022

Il carcere è il grande assente della campagna elettorale di questi giorni. Per questo il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale ha lanciato qualche giorno fa un appello alle forze politiche: “basta slogan di bandiera, si discuta di problemi concreti”. Il suo mandato scade a febbraio 2023: è quasi tempo di bilanci.

Professore Mauro Palma, perché i partiti politici non stanno parlando di esecuzione penale?

Non lo fanno per diversi motivi. Primo: quella a cui siamo assistendo è una campagna elettorale assorbita da un bipolarismo bellico, come tipo di atteggiamento. In parte perché si discute molto del conflitto in Ucraina. In parte perché questo tema ha dei riflessi enormi sulle fonti energetiche che si riverberano sull’economia. Mi pare che di problemi sociali, come di istruzione o di sanità, non si stia parlando molto. Il secondo motivo: un conto è dibattere di sicurezza - e questo lo si fa – altra cosa è discutere di carcere con cui le forze politiche non si misurano con facilità. Terzo: il dibattito sulla pena sempre più si polarizza su posizioni rappresentate in maniera quasi estrema. Da un lato chi è rappresentato come tendente a volere tutti fuori, ma non è poi effettivamente così, dall’altro quelli che sono rappresentati come sostenitori del ‘marcire in galera’ e ‘buttare la chiave’.  Questo tipo di narrazione non fa vedere che c’è invece un terreno su cui ragionare.

Per fare cosa?

In questo momento e in questa situazione di disfunzione del carcere - per chi è ristretto e per chi vi lavora - mi premerebbe di più riuscire intanto ad avere un carcere che in qualche modo assolvesse il suo compito secondo i principi costituzionali. Poi è chiaro: io da una vita sono schierato su una posizione riduzionista del ricorso alla detenzione.

Il suo appello non fa differenza tra partiti? La responsabilità del silenzio sul carcere va divisa tra destra e sinistra, compreso il Pd?

La responsabilità è generalizzata. Il Partito democratico ha sempre avuto una certa posizione. Per esempio, nelle Agorà che hanno organizzato hanno sempre parlato di pena da rendere modulabile nel corso dell’esecuzione. Però mi sembra che questa sua tradizione culturale che gli riconosco scarsamente sia presente nel dibattito elettorale.

Dramma dei suicidi: 59 dall’inizio dell’anno. Possibile che abbiamo bisogno delle parole del Papa per un titolo sui giornaloni?

Per fortuna che c’è qualche parola autorevole che fa riferimento al problema. Questi suicidi non interrogano solo l’amministrazione penitenziaria ma la società intera. Un grande numero delle persone che si suicida in carcere è lì da pochi giorni o è prossima ad uscire. È molto difficile interpretare questi gesti. Possiamo comunque dire che chi si suicida ha la sensazione di essere capitato in un mondo di cui non importa nulla a nessuno, che è inessenziale per la società, di essere in un vuoto da cui uscirà ancora più vuoto. E il problema non si risolve soltanto con quelle doverose maggiori attenzioni, di cui parla il capo del Dap nella sua circolare. Per colmare quel vuoto bisogna ricostruire il fatto che anche sei hai commesso un reato tu sei ancora parte della società che non ti rigetterà.

Dei 59 suicidi, ha detto Renoldi, "25 riguardavano detenuti definitivi, gli altri erano in misura cautelare”. Dunque non solo per questo, anche l’abuso della custodia cautelare continua ad essere una criticità?

Io appartengo alla generazione in cui si parlava di “carcerazione preventiva”. Poi l’abbiamo chiamata “custodia cautelare” per sottolineare che non era una carcerazione predisposta per dare un assaggio al recluso, ma voleva essere un modo per non inquinare l’inchiesta, per evitare la fuga, per non ripetere il reato. In realtà nel nostro sistema è finita per tornare ad essere una carcerazione preventiva. È quella la vera gogna e la vera pena – parlo in particolare di reati minori -, perché poi a conclusione del processo, data anche la lunghezza dei procedimenti, si scopre che hai già espiato una grande parte della pena comminata. Sulla custodia cautelare dobbiamo tornare a riflettere, ritornare alla sua effettiva essenzialità, chiederci quando è data semplicemente perché il magistrato non ha una dimora a cui assegnare la persona. Purtroppo molto spesso la custodia cautelare è il prodotto di questa minorità sociale.

Di chi è la responsabilità di questi morti di persone sotto la custodia dello Stato? Ricordiamo anche che un giovane migrante pakistano si è suicidato due giorni fa al CPR di Gradisca di Isonzo.

La responsabilità è dello Stato e non dei singoli operatori. Quel vuoto di cui parlavamo prima è ancora più determinante nei CPR perché lì è sistemico.

In che senso?

Nei Cpr le persone sono tenute lì senza far nulla. Del carcere possiamo dire ‘ci sono poche attività o poco personale’, invece nei Cpr non c’è nulla istituzionalmente. Alcune di quelle persone vivono quella esperienza come un proprio fallimento: hanno lasciato la loro casa per andare in un nuovo continente ma poi si trovano in quei centri per essere rimpatriate. Se a questo fallimento si aggiunge quella sensazione del nulla, in soggetti fragili può determinarsi la volontà del suicidio.

La Ministra Cartabia aveva istituito la Commissione presieduta dal professor Marco Ruotolo: tutto il lavoro fatto non vedrà la luce. Non ritiene che il carcere non avesse bisogno dell’ennesima commissione ma di atti concreti ed urgenti?

Sì, sono d’accordo con lei sulla necessità di questi atti. La Commissione aveva lavorato su tre livelli di elaborazione. Primo: alcune cose da fare subito con circolari. Qualcosa è stato fatto e spero che qualcosa ancora verrà portato avanti. Con gli altri si è proceduto lentamente. Secondo: altre cose richiedevano un cambio di regolamento, strumento normativo meno problematico di una legge ma comunque necessitante di un Dpr, quindi occorreva passaggio parlamentare. Si fa presto a dire ‘date più telefonate’: può andar bene in una situazione di emergenza ma senza una modifica del regolamento non può divenire strutturale.  Terzo livello: cambiare alcune norme. Qui si è visto l’ostacolo politico persino alla norma di buon senso, proposta da Giachetti, per l’aumento dei giorni di liberazione anticipata per il periodo di sofferenza maggiore che si era avuta in carcere a causa del Covid.

Ma non si poteva prendere il pacchetto pronto degli Stati Generali e della Commissione Giostra?

Allora criticai la mancanza di coraggio politico per portare a termine quel percorso. Però il tono dell’eterno rimpianto non mi appartiene. Credo che questi problemi vadano affrontati  con un altro impulso. . Forse ha ragione lei nel dire che non era necessario creare ulteriori commissioni, seppur la Commissione Ruotolo abbia fatto un buon lavoro in tempi abbastanza stretti. Occorre però la capacità di togliere il mantra dello schieramento intorno al tema del carcere.

Il sovraffollamento è ancora un problema?

Sicuramente è un problema. È endemico, i numeri stanno ricrescendo. Devo dire che accanto a questo, l’altro problema estremamente grave è l’inutilità del tempo detentivo. Ci sono in carcere circa 1300 persone che devono scontare pene inferiori ad un anno e circa 2500 con una pena tra uno e due anni.  Per queste persone il tempo è totalmente vuoto. Spesso stanno lì perché non hanno il domicilio o l’assistenza legale, appartengono ad una povertà complessiva. Se riuscissimo a portarle in altre strutture territoriali di controllo e supporto si abbasserebbero anche i numeri del sovraffollamento.

Questo potrebbe essere il primo atto del nuovo Governo e Parlamento sul carcere?

Certo, aprendo un dialogo con gli enti locali, regionali.

Lega e Fratelli d’Italia continuano a dire: certezza della pena è certezza del carcere. Come si rompe questa equazione?

Ha poco senso questa espressione. “Certezza della pena” nei manuali di diritto viene assegnata al fatto che la pena non deve essere arbitraria, ma definita dalla legge. Interpretare poi ‘certezza’ da talune forze politiche come fissità, sempre uguale, senza alternative è una visione miope.

Lei come Garante ha avuto a che fare con i Ministri Cancellieri, Orlando, Bonafede e Cartabia. Che bilancio può fare?

Ho avuto rapporti buoni con tutti e quattro. È chiaro che Cancellieri ha messo la funzione del Garante nella norma, Orlando gli ha messo le gambe e lo ha fatto vivere, Bonafede lo ha sempre rispettato, Cartabia lo ha riconosciuto come interlocutore diretto.

Teme un Ministro della giustizia di centrodestra?

Temo che nella società possa passare una cultura di contrapposizione e di rifiuto verso le parti che hanno sbagliato. Non temo i partiti o le singole persone, temo questo tipo di culture. Per il resto credo che questo Paese abbia una struttura democratica tale da riuscire a dialogare con tutte le forze politiche.

Quindi non sente la preoccupazione di un ritorno al fascismo?

La preoccupazione del fascismo per chi come me è cresciuto in ambienti antifascisti c’è sempre ma non attribuita ad un partito politico. Ormai siamo in contesti diversi. Il contesto che potrei definire di cultura fascista è quello della cultura del rifiuto dell’altro, ho paura, ad esempio, quando vedo in un video una persona che auspica che una rom sparisca se vince un partito. 

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