Presunti pestaggi a Viterbo: Perugia indaga

 di Angela Stella Il Riformista 31 maggio 2022

 

La Procura di Perugia dovrà  «procedere ad approfondimenti di indagine» nei confronti dei colleghi di Viterbo per capire chi e perché non ha dato seguito a un esposto presentato l'8 giugno 2018 dal Garante dei detenuti del Lazio, Stefano Anastasia, sui pestaggi che alcuni detenuti avrebbero subìto nel carcere Mammagialla. A deciderlo il gip di Perugia Valerio D'Andria. L'ipotesi di reato è quella di rifiuto d'atti d'ufficio. Nella sua ordinanza si fa  riferimento a plurimi pestaggi che sarebbero avvenuti nel penitenziario viterbese e, in particolare, quello che avrebbe visto coinvolto Hassan Sharaf.  Il giovane egiziano morì il 30 luglio 2018, a seguito di un tentativo di suicidio per impiccagione nella cella di isolamento, dopo avere ricevuto alcuni schiaffi dal personale di polizia penitenziaria. Eppure il Garante Anastasia aveva chiesto per lui il trasferimento perché il ragazzo aveva detto di essere stato maltrattato da alcuni agenti. Su quanto accaduto ad Hassan pendono due procedimenti a Roma e Viterbo.  Comunque è stato proprio il legale della famiglia di Hassan, l'avvocato Michele Andreano, a presentare una denuncia ai magistrati di Perugia. Pochi mesi prima dell'estremo gesto, Hassan aveva raccontato al Garante «di essere stato picchiato  da  alcuni agenti di polizia penitenziaria che gli avrebbero  provocato lesioni per tutto il corpo e con molta probabilità  gli avrebbero lesionato il timpano dell'orecchio sinistro in quanto non riusciva più a sentire bene e sentiva il rumore  "come di un fischio". Mentre raccontava quanto aveva subìto Sharaf velocemente si spogliava così da  mostrare i segni sul corpo». Nell'esposto depositato alla magistratura viterbese dal Garante dei detenuti si farebbe riferimento ad almeno otto episodi di violenza. Un detenuto ha raccontato di  essere stato picchiato con calci e pugni da dieci agenti nelle scale del carcere. «Dagli atti - scrive il gip perugino - emerge che in relazione a quanto rappresentato nell'esposto del Garante è stato aperto nel luglio 2018 un procedimento per fatti non costituenti reato e tale procedimento è stato definito con trasmissione degli atti in archivio. Deve però rilevarsi che  l'esposto presentato dal Garante faceva riferimento ad una pluralità di episodi violenti che avevano interessato numerosi detenuti e per i quali era quantomeno ipotizzabile il delitto di cui all'articolo 571 c.p.», ossia abuso dei mezzi di correzione o di disciplina.  In pratica, secondo il gip di Perugia la Procura di Viterbo non avrebbe fatto il suo dovere, ossia non avrebbe iscritto nel registro le notizie di reato  apprese dal Garante. «Si tratta in ipotesi del rifiuto di un  atto che si sarebbe dovuto compiere senza ritardo e per il quale non è riconoscibile in capo al magistrato alcun margine di discrezionalità tenuto conto della chiara rappresentanza nell'esposto di una pluralità di notizie di reati perseguibili d'ufficio». Ma c'è altro: il gip ha ordinato indagini anche su un altro episodio, ossia la fissazione al 2024 dell'udienza di opposizione all'archiviazione del fascicolo sulla morte di Hassan. «Qualsiasi iniziativa possa andare nella direzione dell'accertamento dei fatti  - ci ha riferito Anastasia -  è benvenuta, sia nell'interesse delle persone che hanno denunciato i maltrattamenti che della stessa amministrazione penitenziaria, che ha interesse a essere trasparente e ad accertare eventuali  responsabilità. Come ho detto al Procuratore generale di Perugia, ho fatto degli esposti di cui non ho saputo nulla fino a quando non mi ha convocato la stessa Procura generale di Perugia. Nonostante l'enormità dei casi, ho avuto qualche traccia dei miei esposti quando mi è stato detto che erano citati nel fascicolo processuale aperto per la morte di Hassan Sharaf. Tuttavia dalla Procura di Viterbo nessuno ha ritenuto di volermi sentire o anche solo di informarmi per dirmi che fine avessero fatto questi esposti». Mentre ci riferisce l'avvocato Andreano: «noi come parti offese non abbiamo mai fatto un can-can mediatico. Riteniamo che le nostre azioni siano fondate, pian piano ci sono dei magistrati che concordano sulla necessità di fare chiarezza nell'interesse di tutti». 

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