Intervista ad Alessandra Maddalena

 di Valentina Stella Il Dubbio 31 maggio 2022

A due giorni dalla riunione del Comitato Direttivo Centrale dell'Anm che si è riunito anche per riflettere sull'esito dello sciopero del 16 maggio, facciamo il punto con la vice-presidente dell'Anm Alessandra Maddalena, esponente di Unicost.

Santalucia ha detto: "È fortemente ingeneroso definire lo sciopero dei magistrati un flop". Lei come lo definirebbe?

I numeri dell’adesione all’astensione meritano una riflessione seria che non può risolversi in una definizione slogan. Circa quattromila colleghi hanno condiviso la forma di protesta deliberata dall’assemblea generale dell’ANM. Le percentuali più alte si sono registrate nei piccoli tribunali di frontiera, dove evidentemente è stata più avvertita la preoccupazione per la deriva burocratica e verticistica cui rischia di condurre questa riforma, con l’effetto di minare l’indipendenza dei magistrati e la qualità delle loro decisioni. L’altra metà degli iscritti ha fatto una valutazione di tipo diverso sulle forme di protesta, anche se la maggior parte non ha ritenuto di esprimere le ragioni del dissenso in assemblea. Su questo occorre certamente interrogarsi, anche per trovare nuovi modi di coinvolgere e far riscoprire a tutti i colleghi le ragioni e le radici di un impegno forte e condiviso nell’associazionismo giudiziario. E in fondo, in parte, la via è stata già tracciata. Pensi alle assemblee che in pochissimi giorni le giunte locali sono riuscite ad organizzare in quasi tutta Italia per la giornata del 16 maggio, tra l’altro anche con la partecipazione di avvocati, giornalisti ed esponenti dell’accademia.  Certo, c’è ancora molto da fare ed è per questo che il Cdc all’ultima riunione ha deliberato di convocare alcune sedute in altri distretti, a cominciare da quelli in cui si è registrata la minore partecipazione allo sciopero, o di indire consultazioni aperte affinchè gli iscritti possano segnalare temi ritenuti prioritari.

Andrea Reale dei 101 chiede le dimissioni di tutti dopo quanto accaduto.

La richiesta mi ha sorpreso e non ne ho compreso fino in fondo le ragioni. Il collega sa bene che la decisione di proclamare l'astensione è stata assunta dall’organo sovrano dell’associazione, cioè l’assemblea, ma sostiene che la volontà di quasi tutti i votanti sia stata influenzata dalla dirigenza attraverso il sistema delle deleghe, che ha definito drogate. Sarebbe bastato assistere alle assemblee locali che hanno preceduto quella generale per comprendere che le deleghe sono state rilasciate in modo del tutto consapevole, all’esito di approfonditi dibattiti.  Mi sembra quasi offensivo sostenere il contrario e penso anche alle altre migliaia di colleghi che hanno aderito allo sciopero condividendo e rispettando la decisione dell’assemblea generale, pur non avendovi partecipato. Mi rattrista anche l’affermazione secondo cui i più giovani, che per primi avrebbero sentito l’urgenza di forme di protesta più incisive, sarebbero invece venuti ad intendimenti con la dirigenza, che ne avrebbe maliziosamente canalizzato la spinta propulsiva. Io credo molto nei giovani, sono loro il futuro, ed è soprattutto per loro che dobbiamo rimanere responsabilmente uniti, perché la magistratura possa avere ancora una rappresentanza forte e autorevole nei rapporti con le altre Istituzioni.

C'è preoccupazione per gli emendamenti depositati al Senato. Come pensate di intervenire?

Innanzitutto continuando a far sentire la nostra voce all’esterno, per evidenziare ancora una volta i pericoli di questa riforma, e ancor di più di alcuni degli emendamenti depositati al Senato, per la tenuta delle prerogative costituzionali poste a tutela della qualità della giurisdizione. Ed è per questo che dobbiamo impegnarci tutti per la salvaguardia dell’unità associativa, naturalmente nel pieno rispetto delle diversità di vedute. Indebolire sempre di più l’associazione, approfittando della crisi di credibilità che ci ha colpito per gli scandali degli anni scorsi e assecondando anche spinte provenienti dall’esterno, avrà il solo effetto di privare la magistratura di ogni capacità di essere ascoltata per rappresentare le serie ragioni di dissenso verso questa riforma.

Una mancata adesione del 50% allo sciopero non indebolisce molto l'Anm nei confronti del potere politico per una possibile trattativa o solo per far sentire la propria voce?

Non lo credo. Le valutazioni sui numeri dell’adesione lo ho espresse prima.  Non mi piace pensare ad una trattativa. Mi piace credere che le nostre argomentazioni saranno ascoltate e attentamente valutate perché si tratta della tenuta di uno dei pilastri dello Stato di diritto.

Ai tempi di Berlusconi l'adesione alle astensioni era del 90%. Eravate un corpo solido, unito. In questi anni l'Anm è cambiata.

Sono cambiati il contesto storico e la società, c’è una generale spinta verso la disintermediazione. Assistiamo ad un processo di individualizzazione sempre più spinto. Questo ha interessato anche la magistratura, ancor più dopo i noti scandali che hanno accresciuto in molti il senso di stanchezza e di disillusione. Per non parlare della tendenza di alcuni a trasferire il dibattito dalle sedi proprie - quelle fisiche ed istituzionali - ai luoghi di confronto esclusivamente virtuale, dalle mailing list, alle chat, che sembrano ampliare la partecipazione, ma rischiano invece, se mal gestite, di aumentare l’isolamento e l’autoreferenzialità, annullando lo spessore e la profondità del confronto, contribuendo in definitiva alla divisione.

Come si ritrova l'unità?

Oggi la sfida dell’associazionismo è proprio saper fare di nuovo unità: non significa omogeneità o identità di opinioni ma confronto e dibattito, anche avviando seri percorsi culturali. Fare associazione deve tornare a significare creare luoghi ed occasioni di aggregazione dove è possibile insieme costruire percorsi risolutivi ad interrogativi collettivi, ad esigenze di riscoperta delle ragioni dell’impegno quotidiano. Bisogna far sentire che siamo parte di un corpo unico la cui salute sta a cuore di tutti. Questa ANM si sta già impegnando tanto, ad esempio attraverso il lavoro della commissione dedicata alla educazione alla legalità. Educare ai valori della giustizia è pure compito di noi magistrati, per formare soprattutto i giovani alla cultura dello Stato e delle Istituzioni e al rispetto delle regole di convivenza.

Una campagna contro i referendum può rappresentare un momento di coesione e successivamente una vittoria da rivendicare, visto che sarà difficilissimo raggiungere il quorum?

Noi non facciamo campagna contro i referendum. Spieghiamo le ragioni per le quali riteniamo che gli interventi che si intendono realizzare siano rischiosi per la tenuta del modello costituzionale di magistrato e per la sicurezza dei cittadini.

Tra i quesiti, qual è a suo parere quello più criticabile?

Innanzitutto, la separazione delle “carriere”. Non abbiamo bisogno di “superpoliziotti” in cerca di brillanti operazioni ma di pubblici ministeri organi di giustizia, che continuino a svolgere un ruolo di controllo sulla legalità dell’operato della polizia giudiziaria con la consapevolezza dell’esigenza di raccolta delle prove in funzione del giudizio. Mi preoccupa molto anche il referendum sulle misure cautelari. Escludere il pericolo di reiterazione del reato dai presupposti generali di applicazione delle misure cautelari – tutte, anche quelle non detentive – significa nient’altro che abbassare il livello di sicurezza sociale, impedendo di prevenire in via cautelare condotte allarmanti come lo spaccio di droga, il furto in abitazione, lo stalking senza atti di violenza fisica e altri gravi reati.

Il CDC «ritiene indispensabile avviare una interlocuzione con i colleghi ed i dirigenti degli uffici, affinché segnalino le criticità emerse e indichino le proposte per la migliore operatività del nuovo modulo organizzativo». Un altro modo per rinsaldare i legami all'interno dell'Anm?

È un tema molto serio. Il gruppo al quale appartengo aveva presentato un documento già alla fine dello scorso anno, chiedendo che se ne discutesse in CDC. La prospettiva è stata condivisa da tutti, con il documento al quale ha fatto lei riferimento. Infatti, solo chi opera nei singoli territori è in grado di segnalare le problematiche di concreto impiego di questo modulo organizzativo. L’ufficio per il processo è certamente una grande opportunità e non va sprecata, ma non è accettabile collegare alla disponibilità di questo strumento la promessa all’Europa e ai nostri cittadini, di abbattimento delle pendenze e della durata dei procedimenti nei termini indicati dal Governo, a meno di non voler spingere sempre di più verso una visione efficientista ed impiegatizia della giustizia, a scapito della qualità delle decisioni.

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