Santi Consolo: Il grido inascoltato della carceri

di Angela Stella Il Riformista 10 aprile 2020


Prima di Francesco Basentini, a presiedere il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, c'era  il magistrato Santi Consolo che non ha mai smesso di occuparsi e preoccuparsi del mondo penitenziario, "dei detenenti e dei detenuti", come piaceva dire a Marco Pannella.
“Il carcere, essendo chiuso ed isolato, è il luogo più riparato dal contagio della pandemia” ha tuonato il Procuratore Gratteri nei giorni scorsi. Lei che il carcere lo conosce bene, che  ne pensa invece?
I migliori esperti sono gli operatori penitenziari che quotidianamente sovraintendono alla custodia come cura, anche sanitaria, dei reclusi. Proprio la Polizia Penitenziaria due giorni fa, con un drammatico appello al Presidente Conte, non al Capo del Dap o al Ministro Bonafede, ha chiesto l'adozione di 'misure deflattive immediate' affermando che 'l'emergenza sanitaria ha trasformato gli istituti penitenziari in una bomba ad orologeria'. La certezza della pena non significa che l'unico modo di espiarla sia il carcere; ciò sarebbe contrario all'ordinamento penitenziario vigente e alla Costituzione. Le misure alternative di esecuzione penale oggi più che mai rispondono all'esigenza primaria di tutela della salute. Come denunciai un mese fa in una intervista, provvedimenti immediati ed efficaci dovevano essere adottati da tempo per prevenire il rischio di pandemia di ritorno nel consorzio sociale esterno del carcere. I dati sui contagi tra i detenuti e il personale penitenziario, da quanto è dato conoscere, sono in controtendenza preoccupante rispetto ai dati complessivi nazionali. Sovraffollamento, coabitazione continuativa forzosa senza distanziamento, assenza di qualsivoglia presidio precauzionale e carenze di verifiche sanitarie a tappeto sono di grande attrattiva per il virus. Gli oltre 190 istituti sono ubicati, in gran parte, nei centri urbani più grandi d'Italia. I circa trentamila operatori penitenziari che quotidianamente si recano nella carceri per lavoro costituiscono un formidabile veicolo di diffusione all'esterno. Scommettere sull'assenza di rischio è un azzardo suicida.
Secondo Lei le misure adottate dal Ministro Bonafede sono adeguate a fronteggiare l'emergenza?
Il Ministro ha bloccato la riforma penitenziaria così aggravando oggi, certo inconsapevolmente, l'attuale drammatica emergenza. La deflazione delle presenze detentive, ancora del tutto insufficiente, la si deve soprattutto al riscoperto ruolo di supplenza di molti magistrati che hanno assunto indirizzi di assoluto buon senso. Penso al rinvio di ordini di carcerazione che arrivano molto tempo dopo la data del commesso reato. Limitare al massimo i nuovi accessi limita notevolmente i pericoli.
 Se fosse adesso il capo del Dap cosa farebbe che non è stato ancora fatto?
Innanzitutto recupererei il costante assiduo dialogo con le componenti dell'amministrazione penitenziaria per trarne preziosissimi suggerimenti. Dirigenti Generali, polizia penitenziaria, dirigenti civili e amministrativi nei momenti di difficoltà vogliono avvertire la presenza, la vicinanza, la comprensione, la guida e, non ultima, l'assunzione della responsabilità del Capo che non li faccia sentire soli. Attiverei il potere di proposta al Ministro sostenendo le misure urgenti chieste da tanti magistrati. Penso per esempio alla magistratura di sorveglianza della Lombardia che, fra l'altro, ha suggerito automatismi immediati nella concessione di misure cautelari. Darei da subito immediate risposte ai dieci quesiti posti dall'Unione delle Camere Penali tendenti a conoscere qual è il piano per fronteggiare l'emergenza. Al Dipartimento da tempo risalente sono stati affinati applicativi quanto mai efficaci per monitorare in tempo reale tutte le situazioni di emergenza e gli eventi critici. Oggi bisogna collaborare con tutte le autorità sanitarie territoriali perché sono improcrastinabili i tamponi a tappeto a tutti gli operatori che lavorano negli Istituti  penitenziari e poi anche ai detenuti. I problemi non si risolvono nascondendo la polvere sotto il tappeto. Chiederei inoltre che le ingenti risorse di 'Cassa e Ammende', alcune decine di milioni, da subito venissero destinate alla tutela del benessere, soprattutto sanitario, dei detenuti e al sostegno di quei familiari che risultano bisognosi di aiuto economico; ciò con elaborazioni di progetti e con riunioni a ritmo serrato. Un piano d'emergenza, se c'è, va subito reso pubblico, con bollettini frequenti, completi e affidabili che diano conto dell'evoluzione dei dati salienti. Un esempio per tutti: le rivolte di marzo, se non vado errato, ho letto che avrebbero provocato danni per circa 20 milioni di euro. Forse, per ragioni di trasparenza che da sempre erano vanto dell'amministrazione, sarebbe opportuno conoscere il numero di posti detentivi diventati inagibili.  
Il premier Conte in una intervista ha detto: "Il governo di certo non si gira dall’altra parte rispetto alla condizione delle carceri e alla tutela della salute dei detenuti e di tutti coloro che in esse lavorano". Lei che ne pensa?
Il premier è bravissimo nella capacità di comunicare e rassicurare ma su quello che è stato fatto per la questione penitenziaria sarei molto  più cauto. Nei comunicati è bene non annunciare trionfalmente ciò che si farà, ma quello che è stato effettivamente fatto. Il virus, abbiamo tragicamente sperimentato, è velocissimo. Avvocati, magistrati e persino il pg della Cassazione oggi prendono posizioni condivisibili per ridurre il sovraffollamento. Ma non sono i soli. Basta scorrere le rassegne stampa per comprendere che il grido di allarme è pressoché unanime  ed enormi i rischi. I ritardi della produzione di mascherine nelle carceri per esempio sono notevolissimi. Gli obiettivi si devono raggiungere con estrema rapidità. L'applicativo spazi detentivi serve per individuare soprattutto stanze adeguate per la quarantena di detenuti contagiati che non possono conseguire misure alternative. Il Dipartimento dovrebbe chiarire subito quali e quante stanze disponibili ha. Il monito del Sommo Pontefice è drammatico: il sovraffollamento si potrebbe risolvere in una calamità grave. È evidente che una pandemia di ritorno per l'intera collettività significherebbe regressione alla triste Fase 1 e danni economici irreparabili.


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