Ha il cancro, qui cure impossibili Se Zagaria resta in cella morirà

di Angela Stella Il Riformista 28 aprile 2020

Continua a far discutere la scarcerazione di Pasquale Zagaria, decisa dal Tribunale di Sorveglianza di Sassari per motivi di salute. In tanti la definiscono ingiusta, scandalosa, immorale, vergognosa.  Una lettura troppo semplicistica della vicenda che merita l'analisi delle carte. Prima di entrare nel dettaglio del provvedimento vediamo cosa è successo: Pasquale Zagaria, 60 anni, fratello di Michele, boss del clan dei Casalesi,  trascorrerà i prossimi cinque mesi ai domiciliari in un paesino in provincia di Brescia, insieme alla moglie e ai due figli. Potrà uscire solo per esigenze sanitarie. Era detenuto al regime di 41 bis a Sassari per finire di scontare una pena di 20 anni. L'imprenditore edile era stato condannato per estorsione, sequestro di persona, detenzione illegale di armi ma non si è mai macchiato di reati di sangue. È considerato dagli inquirenti la mente economica del clan del Casalesi, dopo aver trasferito il settore di maggior interesse del clan, il cemento, a Parma, città nella quale, grazie a lui, la cosca ha pilotato l'aggiudicazione di appalti a ditte 'amiche'. Ma ora cerchiamo di capire bene i motivi alla base della decisione del Tribunale di Sorveglianza riportando alcuni stralci dell'ordinanza, il cui estensore è il dottor Riccardo De Vito. Sono state necessarie, per acquisire tutti gli approfondimenti istruttori, quattro udienze, una a marzo e tre ad aprile al fine di esaminare le carte prodotte dalla difesa, la documentazione sanitaria del carcere, le informazioni delle forze dell'ordine. In merito al quadro clinico "Non vi è dubbio - si legge nell'ordinanza - che il detenuto soffra di una patologia grave e qualificata –  carcinoma papillifero della vescica, per la quale ha subito un importante intervento chirurgico di resezione transuretrale della vescica e un successivo ciclo di immunoterapia per instillazione endovescicale". Il problema, scrive De Vito, è che "il paziente non può effettuare il follow-up post-chirurgico e post-terapia in quanto il Centro clinico di riferimento è stato individuato come Centro Covid-19". Quindi, il magistrato ritiene che "sarebbe opportuno il trasferimento del paziente presso altro Istituto che possa garantire il prosieguo dell’iter diagnostico-terapeutico".  A seguito di tali informazioni, il Tribunale di Sorveglianza di Sassari il 9 aprile chiede ulteriori approfondimenti al responsabile sanitario del carcere per  "verificare se vi fossero ulteriori strutture ospedaliere in Sardegna ove poter effettuare il follow-up previsto – e al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, per verificare l’eventuale possibilità di trasferimento in altro Istituto penitenziario attrezzato per quel trattamento o prossimo a struttura di cura nella quale poter svolgere i richiesti esami diagnostici e le successive cure".  Mentre il 23 aprile dalla casa circondariale di Sassari fanno sapere che il paziente non può effettuare i controlli previsti "né presso l’AOU di Sassari né all’interno della CC di Sassari", "dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria non è giunta risposta alcuna". Questi i motivi oggetti della decisione: esistenza di una malattia grave e necessitante cure che non possono essere effettuate nel circuito penitenziario, con concreta esposizione a un pericolo di esito letale;  sussistenza di rischio di gravi complicanza in caso di contrazione del virus Sars-Cov-19. Pertanto, "all’esito di un confronto tra storia clinica del paziente e testo normativo, questo Tribunale reputa che [...] Pasquale Zagaria debba avere accesso al differimento della pena per grave infermità fisica"." Lasciare il detenuto - conclude De Vito -  in tali condizioni, pertanto, equivarrebbe esporlo al rischio di progressione di una malattia potenzialmente letale, in totale spregio del diritto alla salute e del diritto a non subire un trattamento contrario al senso di umanità". Inoltre i magistrati di sorveglianza hanno valutato anche la pericolosità sociale del detenuto, escludendola per vari motivi.  Su questa scarcerazione il Ministero della Giustizia vuole vederci chiaro ed ha incaricato gli ispettori di Via Arenula di svolgere accertamenti, anche all'interno del Dap per fare luce sulle presunte mancate risposte alle richieste giunte da Sassari. Bonafede sta valutando di coinvolgere la Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo nelle decisioni relative ad istanze di scarcerazione di condannati per reati di mafia: domani su questo si riunisce la Commissione Antimafia, presieduta dal pentastellato Nicola Morra. D'accordo su questa proposta anche Franco Mirabelli, capogruppo dem in commissione Antimafia e Walter Verini, responsabile Giustizia nella segreteria nazionale del Pd. Fratelli d'Italia chiede una audizione urgente del Guardasigilli e del capo del Dap Basentini nella stessa commissione.  Critico anche Matteo Renzi (IV): "La scarcerazione dei superboss di Camorra e Ndrangheta è inaccettabile. Il Ministro Bonafede cacci subito il responsabile di questa vergogna. Oppure venga lui in Parlamento ad assumersi le sue responsabilità". In sostegno invece si esprime l'Associazione Antigone, con il Presidente Patrizio Gonnella: " La magistratura di sorveglianza deve poter svolgere il proprio lavoro in modo indipendente applicando la legge. La legge, a partire dalla nostra Costituzione, prevede che il diritto alla salute sia garantito ad ogni individuo". 

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