Per voi italiani che cos'è l'eutanasia? Intervista al dottor Verhagen
“Avere il diritto di vivere non
significa avere il dovere di vivere, non significa essere costretti a vivere
indipendentemente dalla conseguenze, soprattutto quando si soffre in modo
insopportabile”.
Questa convinzione ispira l’impegno e
l’azione che da anni porta avanti Eduard Verhagen, direttore del dipartimento
di Pediatria all’University Medical Center di Groningen. Nel 2005, insieme al
suo collega Pieter Sauer, ha pubblicato il Protocollo di Groningen che regola
la terminazione attiva neonatale, in altre parole l’eutanasia somministrata ai
bambini. Tema delicato che divide l’opinione pubblica e la classe dirigente nel
mondo. In Olanda in dibattito si conserva su toni razionali, meno accesi. E con
Verhagen abbiamo cercato di capire il perché, in particolare nel complesso confronto
con la situazione italiana.
In Italia non esiste una
legge sull'eutanasia, che è severamente vietata. Al momento è in discussione in
Parlamento una legge sul testamento biologico che nega qualsiasi forma di auto determinazione.
Nessuno vuole affrontare il problema dell'eutanasia clandestina.
Ho parlato con molti colleghi italiani
e sono stato in Italia diverse volte. E’ indubbio che le differenze tra il
sistema sanitario olandese e quello sanitario italiano, ma più in generale tra la
società italiana e quella olandese, siano molte. C’è però un aspetto in
particolare che rende la discussione con i colleghi e la stampa italiana in
genere molto difficile, ed è che le persone hanno una definizione diversa di
eutanasia.
In molti, anche tra i giornalisti e nella professione medica, non fanno una distinzione tra rinuncia alle cure e terminazione attiva della vita. Al contrario, nella maggior parte degli altri Paesi si ritiene che ci sia una differenza enorme. In Italia avete innanzitutto bisogno di definire che cosa sia l’eutanasia. I medici compiono diverse scelte che provocano la morte, ma queste continuano ad essere considerate come semplici scelte mediche. Solo l'eutanasia, invece, è considerata una scelta di fine vita molto difficile e complessa, con svariati significati giuridici, etici e pratici. Faccio un esempio: c'è un bambino nel reparto di terapia intensiva attaccato ad un ventilatore artificiale; viene trattato utilizzando tutte le tecniche e tutti i farmaci disponibili, ma non si è in grado di salvargli la vita. Ad un certo punto, consci che qualunque cosa si stia facendo non si traduce in un effetto positivo, si pensa di interrompere la cura intensiva e consentire che il bambino possa morire in pace tra le braccia della mamma, nel reparto di terapia intensiva. Ciò accade molto spesso in tutto il mondo. E’ il modo più comune in cui i bambini muoiono. Il punto è questo: alcune delle persone con cui ho parlato in Italia mi hanno detto che se si stacca il ventilatore a quel bambino, ci troviamo dinanzi ad un atto eutanasico. Per me è totalmente errato. Se si interrompe la ventilazione artificiale in un bambino che sta morendo non si sta eseguendo l'eutanasia, si sta semplicemente interrompendo la terapia intensiva di un bambino morente al fine di lasciarlo pacificamente morire fra le braccia della mamma.
In molti, anche tra i giornalisti e nella professione medica, non fanno una distinzione tra rinuncia alle cure e terminazione attiva della vita. Al contrario, nella maggior parte degli altri Paesi si ritiene che ci sia una differenza enorme. In Italia avete innanzitutto bisogno di definire che cosa sia l’eutanasia. I medici compiono diverse scelte che provocano la morte, ma queste continuano ad essere considerate come semplici scelte mediche. Solo l'eutanasia, invece, è considerata una scelta di fine vita molto difficile e complessa, con svariati significati giuridici, etici e pratici. Faccio un esempio: c'è un bambino nel reparto di terapia intensiva attaccato ad un ventilatore artificiale; viene trattato utilizzando tutte le tecniche e tutti i farmaci disponibili, ma non si è in grado di salvargli la vita. Ad un certo punto, consci che qualunque cosa si stia facendo non si traduce in un effetto positivo, si pensa di interrompere la cura intensiva e consentire che il bambino possa morire in pace tra le braccia della mamma, nel reparto di terapia intensiva. Ciò accade molto spesso in tutto il mondo. E’ il modo più comune in cui i bambini muoiono. Il punto è questo: alcune delle persone con cui ho parlato in Italia mi hanno detto che se si stacca il ventilatore a quel bambino, ci troviamo dinanzi ad un atto eutanasico. Per me è totalmente errato. Se si interrompe la ventilazione artificiale in un bambino che sta morendo non si sta eseguendo l'eutanasia, si sta semplicemente interrompendo la terapia intensiva di un bambino morente al fine di lasciarlo pacificamente morire fra le braccia della mamma.
Sono
state fatte delle ricerche in proposito?
Sì, abbiamo eseguito ricerche, per esempio, sulle decisioni sul fine vita nelle unità di terapia intensiva negli Stati Uniti, in Canada e in Olanda: abbiamo notato che oltre il 50% delle morti sono derivate da casi dove non ci sono opzioni terapeutiche, dove i trattamenti non possono più curare il bambino, che sta morendo. Ma se voi in Italia chiamate questa opzione eutanasia, allora è molto difficile discutere il vero problema. Ribadisco, è molto importante capire quale decisione sul fine vita chiamare eutanasia e quale non chiamare eutanasia.
Sì, abbiamo eseguito ricerche, per esempio, sulle decisioni sul fine vita nelle unità di terapia intensiva negli Stati Uniti, in Canada e in Olanda: abbiamo notato che oltre il 50% delle morti sono derivate da casi dove non ci sono opzioni terapeutiche, dove i trattamenti non possono più curare il bambino, che sta morendo. Ma se voi in Italia chiamate questa opzione eutanasia, allora è molto difficile discutere il vero problema. Ribadisco, è molto importante capire quale decisione sul fine vita chiamare eutanasia e quale non chiamare eutanasia.
In Italia l'incomprensione è
determinata anche dalla posizione della Chiesa che vorrebbe imporre la propria
definizione di vita e morte anche a chi
non è credente.
Se fossi un adulto sul punto di
morire, vorrei avere la possibilità di chiedere ai medici di staccare le
macchine. Vorrei poter dire: “accetto la malattia, accetto la mia morte, e per
favore lasciatemi morire in pace”. Se a quel punto i medici staccassero le
macchine, io non chiamerei mai quell’azione eutanasia, direi solo che è una
decisione autonoma presa da un paziente. Io chiedo che nessuno interferisca con
la mia scelta: né la Chiesa ,
né il medico. La questione si complica, ovviamente, se è coinvolto un bambino. Il
bambino non può dire “vi prego staccate il ventilatore”, altri devono dirlo. Ma
il senso è lo stesso: morire in modo dignitoso, morire tra le braccia della
propria madre e non tra le braccia della macchina.
Parliamo del suo lavoro. Puoi
dirci quanti casi di eutanasia sui bambini ci sono stati l'anno scorso?
Per redigere il Protocollo abbiamo studiato i casi tra il 1997 e il 2004 e si è scoperto che circa 22 casi di fine vita hanno avuto luogo nel nostro Paese. Quando il Protocollo è stato promulgato nel 2004 abbiamo poi avuto diverse discussioni con medici e pediatri; ci aspettavamo la segnalazione di 3-4 casi ogni anno ma, con nostra sorpresa, penso che dal 2005 solo 3 casi siano stati segnalati.
Dunque, cosa succede se legalizziamo l'eutanasia neonatale? Molte persone sostengono che se l’eutanasia neonatale fosse legalizzata, i casi aumenterebbero in modo esponenziale. Ma, qui in Olanda, è accaduto il contrario, abbiamo visto un minor numero di casi.
Considerando che ci sono stati pochissimi casi negli ultimi anni e considerando, inoltre, che sono passati dieci anni dall'approvazione del protocollo, pensa che l'opinione pubblica abbia cambiato opinione? In Italia ci sono state diverse critiche e dure reazioni al Protocollo. Dopo 10 anni, qualcosa è cambiato o continuate a ricevere critiche?
Se guardo alla situazione nei Paesi Bassi, la terminazione della vita era accettata prima ed è stata accettata con ancora più convinzione negli ultimi dieci anni. Nel nostro Paese la discussione è finita.
Tutti sanno che se c'è un bambino che soffre in modo insopportabile, l’eutanasia può essere una opzione, anche se estremamente difficile e dolorosa. Non c’è stato dibattito nel 2001 e continua a non esserci nel 2012. Fuori dall'Olanda è oggetto di ampio dibattito. Abbiamo pubblicato parecchio sul protocollo e abbiamo pubblicato molto riguardo le decisioni relative alla fine della vita nei neonati, anche in riviste mediche internazionali. Abbiamo partecipato a diversi congressi e simposi, e abbiamo avuto discussioni davvero interessanti con i nostri colleghi. Abbiamo fatto anche diverse ricerche in altri Paesi, soprattutto negli Stati Uniti e Canada. Penso che sia corretto affermare che chi pratica le professioni mediche è consapevole che il protocollo di Groningen rispetta la concezione che si ha in Olanda di come una persona abbia diritto di decidere come morire. La formulazione e introduzione del protocollo di Groningen non ha portato all'aumento dei casi di eutanasia, non c’è stato un abuso della pratica. Al contrario, sono risultati meno casi di eutanasia, sia negli adulti che nei neonati.
Per redigere il Protocollo abbiamo studiato i casi tra il 1997 e il 2004 e si è scoperto che circa 22 casi di fine vita hanno avuto luogo nel nostro Paese. Quando il Protocollo è stato promulgato nel 2004 abbiamo poi avuto diverse discussioni con medici e pediatri; ci aspettavamo la segnalazione di 3-4 casi ogni anno ma, con nostra sorpresa, penso che dal 2005 solo 3 casi siano stati segnalati.
Dunque, cosa succede se legalizziamo l'eutanasia neonatale? Molte persone sostengono che se l’eutanasia neonatale fosse legalizzata, i casi aumenterebbero in modo esponenziale. Ma, qui in Olanda, è accaduto il contrario, abbiamo visto un minor numero di casi.
Considerando che ci sono stati pochissimi casi negli ultimi anni e considerando, inoltre, che sono passati dieci anni dall'approvazione del protocollo, pensa che l'opinione pubblica abbia cambiato opinione? In Italia ci sono state diverse critiche e dure reazioni al Protocollo. Dopo 10 anni, qualcosa è cambiato o continuate a ricevere critiche?
Se guardo alla situazione nei Paesi Bassi, la terminazione della vita era accettata prima ed è stata accettata con ancora più convinzione negli ultimi dieci anni. Nel nostro Paese la discussione è finita.
Tutti sanno che se c'è un bambino che soffre in modo insopportabile, l’eutanasia può essere una opzione, anche se estremamente difficile e dolorosa. Non c’è stato dibattito nel 2001 e continua a non esserci nel 2012. Fuori dall'Olanda è oggetto di ampio dibattito. Abbiamo pubblicato parecchio sul protocollo e abbiamo pubblicato molto riguardo le decisioni relative alla fine della vita nei neonati, anche in riviste mediche internazionali. Abbiamo partecipato a diversi congressi e simposi, e abbiamo avuto discussioni davvero interessanti con i nostri colleghi. Abbiamo fatto anche diverse ricerche in altri Paesi, soprattutto negli Stati Uniti e Canada. Penso che sia corretto affermare che chi pratica le professioni mediche è consapevole che il protocollo di Groningen rispetta la concezione che si ha in Olanda di come una persona abbia diritto di decidere come morire. La formulazione e introduzione del protocollo di Groningen non ha portato all'aumento dei casi di eutanasia, non c’è stato un abuso della pratica. Al contrario, sono risultati meno casi di eutanasia, sia negli adulti che nei neonati.
Il Consiglio d'Europa ha espresso un
giudizio favorevole sul testamento biologico e l'autodeterminazione. Nonostante
questo, ha sancito un fermo divieto sull'eutanasia e il suicidio assistito.
Cosa ne pensa? Pensa che l'Unione Europea riuscirà ad adottare una politica
comune su questi temi?
Perché non possiamo avere un approccio comune sul tema della decisione sul fine vita? Negli ultimi venti anni non siamo mai stati in grado di trovare una posizione comune e non saremo mai in grado di raggiungere sulla questione un punto di convergenza. E' un'illusione pensare che i politici riescano dove i medici hanno fallito, non credo sia possibile, credo vada fatto in un altro modo.
Se i medici e i pazienti europei riuscissero ad avere un'opinione condivisa, un'opinione comune sul fine vita, allora i politici la seguirebbero. Io non sono così ottimista.
Perché non possiamo avere un approccio comune sul tema della decisione sul fine vita? Negli ultimi venti anni non siamo mai stati in grado di trovare una posizione comune e non saremo mai in grado di raggiungere sulla questione un punto di convergenza. E' un'illusione pensare che i politici riescano dove i medici hanno fallito, non credo sia possibile, credo vada fatto in un altro modo.
Se i medici e i pazienti europei riuscissero ad avere un'opinione condivisa, un'opinione comune sul fine vita, allora i politici la seguirebbero. Io non sono così ottimista.
Capisco
le sue perplessità ma almeno, a livello europeo, c'è attenzione sull'argomento.
Di recente, il candidato
presidenziale francese, Hollande, ha espresso una posizione favorevole
sull'eutanasia e l'Unione Europea continua a parlarne. Qual pensa possa essere
il contributo migliore alla discussione?
Noi cerchiamo di contribuire al
dibattito, portando all’attenzione dell’opinione pubblica dei singoli casi, spiegando
la pratica, facendo ricerche comparative. La mia grande paura è che il cittadino
discuta di cose che non conosce, perché tenute segrete da chi vuole evitare il
dibattito.
Commenti
Posta un commento