Alla conquista del cervello: intervista a Piergiorgio Strata e Piergiorgio Donatelli
Mappare il
cervello: è questo l’obiettivo che accomuna Stati Uniti ed Europa. Ma con due
progetti distinti: il “Brain Activity Map Project” e lo “Human Brain Project”. Dovrebbero durare
entrambi dieci anni, con investimenti altissimi: 300 milioni di dollari l’anno
per il primo, 1.2 miliardi di euro complessivi per il secondo. La sfida che
divide le due sponde dell’Atlantico? Trovare una cura a malattie come
l’Alzheimer e il Parkinson, ma anche
ambire a sviluppare una “intelligenza artificiale”. Dunque conoscere ciò che
accade nel nostro cervello, capire come funziona e cercare anche di riprodurlo
in un super computer entro il 2020. Entrare così profondamente nei meccanismi
della nostra mente comporta solo vantaggi a livello di ricerca scientifica o
sussiste il rischio di manipolazione delle nostre decisioni? C’è un legame tra la
conoscenza del cervello e l’agire individuale e sociale? Lo abbiamo chiesto al
professor Piergiorgio Strata,
presidente dell’Istituto Nazionale di Neuroscienze, e al professor Piergiorgio Donatelli, ordinario di
Filosofia morale presso la Facoltà di Lettere e filosofia della Sapienza
Università di Roma.
********************************************************************
Non più corsa al nucleare, non più
corsa agli armamenti ma obiettivo cervello. Professore Strata può spiegarci la
differenza tra i due progetti dal punto di vista degli obiettivi specifici e
delle modalità di ricerca?
Sono necessarie
due precisazioni. Dire “non più corsa al nucleare” richiede di aggiungere “a
fini bellici, ma non per fini energetici”. In un mondo a così rapida crescita
di esseri umani non credo che il nucleare non continui il suo cammino verso
forme più compatibili. Ho molta fiducia nella scienza. Se vogliamo usare un po’
di razionalità il nucleare finora ha fatto pochi danni se paragonato a tutte le
innovazioni moderne. Ma è ben noto che la possibilità che ci sia un nemico nel
buio, un nemico invisibile, per molte persone è terrificante. Meditiamo sul
fatto che al mondo per incidenti stradali muore una persona ogni 28 secondi.
Nessuno propone di abolire l’uso delle automobili. In secondo luogo, per quanto
riguarda la differenza fra i due progetti possiamo dire che il progetto europeo
è stato finanziato con una cifra ingente per i prossimi 10 anni mentre quello
americano per ora è stato annunciato, ma una decisione non è stata ancora
presa. Il taglio per ora previsto del 5,2% nel bilancio del National Institute
of Health crea dei dubbi. Perplessità emergono anche dal mondo scientifico
sull’opportunità di drenare una cifra così alta a scapito di altre ricerche sul
cervello che possono essere altrettanto utili, come discusso anche sulla
rivista Science del 1° marzo. Il progetto europeo invece è già partito e si
propone di inserire in un unico supercalcolatore tutto ciò che si sa e viene
scoperto soprattutto in termini di connessioni fra le varie parti del cervello.
Questo può servire come punto di riferimento e come sorgente di dati per
chiunque voglia elaborare nuove teorie, modelli o fare confronti con dati
patologici. Il progetto americano si orienta verso l’aspetto più funzionale. E
vorrebbe arrivare a fare una mappa dei processi mentali studiando ad uno ad uno
tutti i neuroni del nostro cervello. Questo è impossibile in dieci anni
soprattutto se applicato all’uomo. Vedremo soltanto l’inizio. Aggiungo che
parte di quanto previsto nel progetto americano è già iniziato nel 2009 con il
progetto connettoma descritto nella rivista Neuron da un gruppo di scienziati.
Secondo Lei questi progetti, che
nascono anche con l’intento di curare diverse malattie, raggiungeranno
l’obiettivo e se si in che tempi?
Ambedue i
progetti non indicano un obiettivo preciso come spesso avviene nei progetti
orientati a compiere una missione. Da questo ingente investimento ci si aspetta
un enorme avanzamento di tecnologie per studiare le proprietà del cervello
animale da applicare successivamente all’uomo per vedere le differenze fra
normalità e patologia. Il più grande mistero è il processo mentale. Il tempo
richiesto per questa meta è assolutamente imprevedibile e probabilmente ancora
lontano. Per capire che cosa è la mente dobbiamo capire in che modo da un
aggregato per quanto complesso di atomi emerga un barlume di dolore. Nel caso
del progetto europeo è difficile che dal supercalcolatore, anche se esegue
operazioni molto complesse, nasca un processo mentale.
E’ stato impiegato molto denaro per
questi progetti, sia pubblico che privato. Che giudizio esprime su questo? E in
Italia sarebbe possibile ipotizzare uno studio del genere o esistono limiti
economici ed etici?
L’Italia di
fatto partecipa al progetto europeo che è finanziato con i fondi che ogni paese
versa nelle casse dell’Europa per la ricerca sulla base del proprio PIL. Di
fatto al progetto partecipano molti italiani, come i Politecnici di Torino e
Milano, e vari centri localizzati in sedi tra le quali Firenze e Pavia.
Lei è un profondo conoscitore e
studioso del cervello ed è sostenitore delle proprietà emergenti della ‘materia
cervello’. A che punto siamo nella conoscenza del cervello? Sarebbe riduttivo
chiederLe una percentuale di conoscenza all’oggi, ma quanto ancora ci resta da
sapere su di esso?
È come se
Lei mi chiedesse in termini percentuali quanto conosciamo dell’Universo. In
questo settore a mano a mano che si acquisiscono nuove conoscenze si scopre che
il grande diventa sempre più grande ed il piccolo sempre più piccolo. Non si
riesce mai a intravedere una meta da raggiungere. Nel campo del cervello non
possiamo quantificare processi che coinvolgono la nostra mente fino a che non
conosceremo meglio la sua vera natura.
Che rapporto c’è tra coscienza e
cervello? Coscienza è una qualità immateriale o una funzione del cervello? Può
esistere un limite per una spiegazione scientifica della coscienza, delle sue
proprietà?
Gli studi
scientifici di questi ultimi anni suggeriscono una correlazione sempre più
stretta fra attività del cervello e processi mentali da non lasciare spazio per
entità metafisiche indipendenti dalle molecole. Si ritiene che dalla
complessità della materia emergano proprietà che non sono materia. Come faceva
notare il Premio Nobel Roger Sperry, sostenitore dell’emergentismo, la
geometria di una ruota è una proprietà della materia che a sua volta determina
il comportamento delle molecole che la compongono. John Searle fa notare che la
temperatura di una molecola non esiste, ma è una proprietà che emerge
dall’insieme di molte molecole. Così potrebbe essere l’emergentismo del
fenomeno mente.
Che definizione e commento darebbe
della neuroetica?
Si tratta di
quell’aspetto dell’etica che prende in esame come validi strumenti di
riflessione le conoscenze nell’ambito del cervello. Di particolare interesse
sono gli studi sulle strutture nervose coinvolte nelle emozioni e nella
razionalità che svolgono un ruolo chiave nelle nostre decisioni. Oggi sappiamo
molto sulle zone del cervello che controllano queste facoltà mentali e di come
razionalità ed emozioni si intreccino fra loro. Sappiamo anche che con
determinate molecole che fanno parte del nostro corredo fisiologico possiamo
condizionare le nostre decisioni. Per esempio l’ossitocina, che è sempre stata
considerato un ormone che controlla l’allattamento e il parto, in realtà opera
anche creando dei legami di solidarietà tra individui, tra cui l’amore e la
protezione della prole. Interessante il fatto che da sempre non si era capito a
che cosa servisse l’ossitocina nell’uomo ed ora sappiamo che questi dati
comportamentali valgono per ambedue i sessi.
********************************************************************************
Professore Donatelli negli Stati Uniti e in Europa è partita la
corsa alla mappatura del cervello. Al di là dei vantaggi per la neuroscienza e
per la medicina, crede che riusciremo a capire qualcosa di più sui nostri
comportamenti?
Non ho dubbi
che ci saranno risultati importanti. Inoltre grandi programmi di ricerca
conducono a linee di indagine e a scoperte che esulano dalle linee principali
lungo le quali erano stati concepiti. Quindi ci troviamo di fronte a ricerche
promettenti e a decisioni politiche lungimiranti. Ma i risultati a cui
arriveranno saranno risultati locali che andranno integrati nella comprensione
più ampia del comportamento umano. Le nostre azioni e le nostre vite sono
governate da un numero davvero grande di fattori, alcuni dei quali sono quelli
di cui si occupano le neuroscienze, ma anche da fattori sociali e storici,
economici, biografici e così via. Inoltre, del comportamento umano possiamo
dare una descrizione che si situa a diversi livelli, ai diversi livelli in cui
si pongono le differenti branche della scienza, con i loro specifici modelli
esplicativi, ai livelli di descrizione dati dalle scienze sociali, la
sociologia, la scienza politica, la storia (se le vogliamo includere sotto il
titolo di scienze), ai livelli di descrizione offerti dalla letteratura
immaginativa, dai romanzi, dai film, dalle serie televisive, e quindi al
livello della descrizione ordinaria che possediamo tutti noi (un noi che di volta in volta potremmo
restringere a coloro che hanno un minimo uso riflessivo del propri concetti, che
dispongono di immaginazione e di scrupolosità morale).
Il motore
delle neuroscienze è chiaramente una delle linee più promettenti della ricerca
scientifica sulla natura umana ma, considerato che il suo campo di indagine è
in senso lato il mondo umano, i suoi risultati andranno poi con gradualità e
con attenzione integrati dentro uno spazio di cui fanno parte imprese
descrittive molto diverse da quelle strettamente scientifiche. La scienza
quando ha ottenuto risultati lo ha fatto a partire da premesse precise
arrivando a risultati circoscritti. Nessuno dei grandi “problemi della vita”
(ad esempio la domanda socratica su come si deve vivere) può essere trattato in
questo modo dalle scienze, ma la nostra comprensione di questi problemi sarà
alla lunga modificata dai risultati puntuali e circoscritti a cui arriveranno
le scienze che si cimentano in questa area.
E se si, reputa che ciò possa
costituire un pericolo per noi? Conoscere i meccanismi della nostra mente
potrebbe condurre ad un controllo delle nostre risposte a determinate azioni da
parte dei Governi o dei mezzi di informazione? Sinteticamente, conoscere più in
profondità la nostra mente rafforza la nostra autonomia, aiuta a governare
meglio la società o ci rende manipolabili dall’esterno?
Il progresso
della conoscenza nei vari campi non è mai in sé un pericolo: chiaramente non
possiamo considerare l’ignoranza un valore. Può però trasformare il nostro modo
di pensarci, di metterci in relazione con le altre persone e con il mondo, vale
a dire può cambiare le basi del mondo umano nel quale affondano le radici della
nostra sensibilità morale fino ai doveri e ai divieti che avvertiamo come più
pressanti e irrinunciabili.
Abbiamo già
una storia significativa alle spalle alla luce della quale esprimere un’opinione
in proposito. I nuovi modi di nascere e di morire, resi possibili dalle
tecnologie mediche si sono alleati a nuove idee morali di autonomia e di
libertà personale e hanno mutato radicalmente cosa significa per noi nascere e
morire. Già ora i nuovi modi di nascere e morire ci hanno dato una base diversa
e più ampia di possibilità di scelta che, se non sono governate alla luce della
libertà degli individui (intesa come protezioni giuridiche e buone pratiche
mediche ma anche come diffusione di una cultura della responsabilità
individuale nei confronti di queste scelte), rischiano di farci rimanere
impigliati nella complessa rete di tecnologia, competenza e scelte del
personale sanitario. Nel nostro paese noi ora vediamo l’altra faccia, che è
quella della negazione di tutto questo campo, che come sappiamo dobbiamo
all’arretratezza etica, scientifica e civile del paese (a cui danno un
contributo determinante le gerarchie della Chiesa cattolica). Ma c’è anche il
lato che ho indicato, che è quello della medicalizzazione di fasi lunghe e
significative della nostra vita che hanno bisogno di regole, di etica, e di
libertà diffusa in tutti gli ambiti: nei regolamenti, nelle pratiche mediche,
nella formazione e nell’educazione morale del personale medico e dei pazienti.
I risultati
delle ricerche nel campo delle neuroscienze andranno considerati in questa
stessa luce, nell’ambivalenza di processi di conoscenza e di trasformazione
della vita umana che sono sia occasioni di libertà e di progresso sia nuove
possibilità di oppressione.
La libertà è solo una illusione e
secondo Lei la riflessione sul libero arbitrio spetta agli umanisti o agli
scienziati?
Nessuna
disciplina può concedere a se stessa il privilegio di avere la prospettiva più
adeguata. Il problema della libertà è sia un problema filosofico-metafisico e
quindi anche scientifico (che cosa è la libertà come fenomeno della natura
umana) sia un problema pratico (il ruolo della libertà in relazione al fatto
che siamo esseri pratici, che scelgono e che hanno una vita in cui vanno
incontro all’esperienza rispondendo in modi diversi di cui possono offrire
ragioni). I risultati metafisici e scientifici sulla natura della libertà non
si trasferiscono direttamente nelle nostre vite pratiche. Ma supponiamo (come
ipotesi fantascientifica difficile da articolare e quindi confusa) che i
risultati scientifici ci consentano di arrivare un giorno a prevedere con
sufficiente precisione il comportamento delle persone, assunta tutta una serie
di condizioni. Se questa attività di previsione sufficientemente precisa
trovasse spazio nelle nostre società, allora certamente le nostre vite pratiche
cambierebbero. Il rapporto con il nostro futuro, con i nostri progetti, con la
deliberazione e la scelta cambierebbero. Muterebbe o sarebbe messo in un angolo
il nostro attuale concetto di libertà (per quanto ampio e vago esso sia) e
muterebbe l’etica. Ma questo succederebbe non come conseguenza di una scoperta
scientifica ma come l’esito di un cambiamento delle nostre società. I rapporti
tra scienza e vita pratica sono complessi e indiretti.
Angiolo Bandinelli sul Foglio scrive:
‘Esplorare il cervello nelle sue più segrete (e misteriose?) funzionalità
non può essere la porta per violare una intimità gelosa, inaccessibile,
sacrale? E’ evidente il rischio che si crei il mito del cervello-mente,
condizionante e socialmente assai pervasivo, come successe con lo sbarco sulla
luna. Andare troppo oltre, in questa direzione, non può essere una tentazione
faustiana di appropriarsi , in definitiva, dell’uomo stesso?”. Cosa ne
pensa?
Credo che ci
sia in effetti questo rischio. La scienza vive a contatto della società. Sono
gli stessi scienziati che, nel loro lavoro creativo di costruzione di teorie
che spieghino nel modo più elegante una serie di dati, filtrano immagini che
arrivano dalla cultura in cui sono immersi. Ma è soprattutto la società e la
cultura dei non scienziati che si impossessano delle immagini che derivano da
quanto fanno gli scienziati e le incorporano nelle immagini più complessive dell’essere
umano e del mondo. La filosofia moderna ha continuamente fatto i conti con la
scienza, non solo confrontandosi con le spiegazioni scientifiche, ma anche
ereditando una certa immagine del mondo che derivava dalla scienza: pensiamo
all’immagine meccanicistica di Newton. Ma un conto è il lavoro della scienza e
un altro sono le immagini di cui si impossessa la società: queste immagini
possono lavorare dentro una trasformazione autonoma delle credenze e delle idee
(morali, politiche e così via) o funzionare come un tribunale esterno, come una
forma di ideologia: vale a dire come una concezione che ci appare valida su
basi che però non controlliamo. Diventa così una sorta di dogma indiscusso.
L’antidoto consiste nella crescita della cultura scientifica tra le persone e
nella capacità di non derivare immagini generali da conoscenze che ci sono
divulgate ma di cui non padroneggiamo i limiti e il significato preciso.
In questo
senso, non c’è dubbio che le ricerche sul cervello possono portarci
(ideologicamente) a immaginare che la mente sia solo il cervello, un organo
dentro la testa, mentre io credo che sia meglio considerare la mente come un
insieme interconnesso di attività: conoscere, incuriosirci delle cose,
rispondere emotivamente e moralmente a ciò che ci capita, e tante altre cose
ancora che possiamo spiegare solo se consideriamo la mente come l’attività di
un soggetto situato in un ambiente naturale, sociale, riempito di significati e
di evocazioni. L’immagine che la mente sia il cervello potrebbe portarci a
trascurare questo ampio orizzonte fuori dalle nostre teste che costituisce
invece la vita della mente.
Mi sembra
che qualsiasi concetto di comportamento umano sufficientemente interessante
debba essere compreso nella sua genesi e nel suo carattere storico e sociale, e
lo si debba padroneggiare come concetto non scientifico, prima di trattarlo
scientificamente. Ma un’ideologia che sposta tutto il peso della spiegazione
dentro la testa e trascura la società potrebbe limitare il nostro interesse
verso questo tipo di spiegazioni. Quindi, per fare un esempio concreto, invece
di munirci di un solido sapere su cosa siano i criminali (ad esempio, su come
sia accaduto che gli Stati Uniti siano passati da una popolazione carceraria di
200.000 detenuti nei primi anni Settanta a 1,5 milioni nel 2008, o contando
l’intero sistema penitenziario 2,4 milioni), ci aspettiamo risposte da
spiegazioni che eliminano questo tipo di considerazioni dall’orizzonte. Invece,
le spiegazioni in termini neuroscientifici saranno tanto più importanti quanto
più potranno essere integrate in una comprensione di cosa significa per noi (in
questo momento storico) essere un criminale: una comprensione che non può
escludere il contributo dei vari livelli di descrizione che ho citato prima.
Ma vorrei concludere
sottolineando che il problema qui non è della scienza ma dell’immagine che
traiamo da essa: il problema è dell’ideologia costruita attorno al lavoro degli
scienziati. Il lavoro scientifico è una fonte di progresso interno delle scienze,
mina e trasforma concezioni che si situano in luoghi diversi da quelli dove
opera la scienza, come le nostre idee etiche, in modi che troviamo importanti,
ma è anche una fonte potente di ideologie. Come sappiamo, non è l’unica. Le
credenze religiose lo sono state per molti secoli e nella storia del Novecento
credenze sociali e politiche sono state fonti cruciali di ideologie terribili,
ma dobbiamo riconoscere come la scienza sia anch’essa una fonte di ideologie,
cioè di immagini del mondo che sottraiamo all’esame critico e lasciamo operare
nell’ombra – non sempre a nostro vantaggio.
Commenti
Posta un commento