Caso Italia: scienza e democrazia
Nel primo capitolo del suo nuovo libro, ‘Scienza quindi democrazia’, lo storico e filosofo della scienza
Gilberto Corbellini traccia un ritratto di una Italia democraticamente debole,
anche a causa di una scarsa e manipolata informazione scientifica. Ciò comporterebbe, secondo l’autore, l’incapacità del nostro Paese di elevarsi
moralmente e stare al passo con le ‘economie della conoscenza’. Come supporto
della sua tesi sostiene che sono state emanate leggi ‘palesemente illiberali’
sulla base di falsificazione e censura di dati scientifici, che persiste una
accondiscendenza verso scelte di politica della ricerca e della salute
sostanzialmente arbitrarie e gradite
alla Chiesa cattolica e ai suoi rappresentanti in Parlamento. Una affermazione
molto forte del bioeticista riguarda anche lo scienziato e i comunicatori che
‘si fanno prima di tutto gli affari loro’, perdendo di credibilità e
affidabilità politica. Ci siamo chiesti se le cose stanno effettivamente
così, e se sì, come è potuto accadere:
che responsabilità hanno i mezzi di informazione, se subiscono interventi
politici o rispettano ‘semplicemente’ la linea editoriale, o se esistono altri
fattori che intaccano gravemente il processo deliberativo. Abbiamo cercato delle risposte intervistando
due giornalisti scientifici, Gianna
Milano e Luca Tancredi Barone.
Partendo da un
assunto radicale, mutuato da Luigi Einaudi, “conoscere per deliberare”, ci siamo chiesti
che rapporto esiste oggi in Italia tra democrazia e scienza, come comprensione
pura e oggettiva dei fatti. È un rapporto fallato dalla manipolazione dei
fatti? E se si, ciò da cosa dipende? Da una opinione pubblica stanca di
comprendere la realtà delle cose? Da una politica disinteressata alla scienza?
Gianna Milano imputa
all’ignoranza e non alla disonestà la
manipolazione dei fatti.
“Quello della
comunicazione è un percorso inevitabilmente accidentato. Anche se il mondo
giornalistico è un mondo a sé, con le sue regole e i suoi limiti, la nascita
della “scienza imprenditrice” chiama tutti, scienziati e comunicatori, a
cimentarsi con questi nuovi grandi problemi e obbliga tutti a un esercizio di
democrazia. Esorta tutti a mantenere un
delicato equilibrio fra un’apertura
senza restrizioni a nuove idee e l’esame rigoroso di qualsiasi proposta venga
dal mondo scientifico. La manipolazione dei fatti spesso è frutto di ignoranza
più che di malafede. I media prendono per oro colato le affermazioni di opinion
leader con conflitti di interesse, magari non dichiarati, e non fanno
verifiche. Più un tema è controverso e più facile diventa giocare
sull’equivoco, e la confusione, talora creata ad arte, finisce per generare
disinteresse, se non diffidenza da parte dell’opinione pubblica verso la
scienza. Una delle vicende emblematiche di questa “manipolazione” dei dati
scientifici è quella dell’amianto. Lo racconta bene Renzo Tomatis, grande
epidemiologo, in un suo romanzo “L’ombra del dubbio”. Se i dati disponibili (fu
così per l’amianto) erano sufficienti a classificare una sostanza come
cancerogena, si cominciava a dire che occorrevano ulteriori indagini. La
tattica era elevare il rumore di fondo, ossia creare confusione, pubblicando
risultati contrastanti e contraddittori, in modo da iniettare dubbi sulla
validità di dati scomodamente positivi. Una confusione che finiva per ritardare
un accordo sulle decisioni da prendere per mettere in atto una prevenzione
efficace. Il potere, la politica non sono disinteressati alla scienza, specie
quando si tratta di strumentalizzarla. E
l’establishment scientifico visto dall’interno, nella sua quotidianità, appare
come un affresco di contraddizioni, sospetti, passioni, ambiguità, compromessi,
condizionamenti (di lobby politiche o industriali), interessi personali. Uno
spaccato che poco o nulla ha a che vedere con l’idea della scienza (pura) e
dello scienziato (disinteressato) del tempo passato”.
Qual è, dunque, il ruolo delle lobby e del denaro nel
dibattito e nelle scelte sui temi di bioetica?
“Hanno indubbiamente una loro rilevanza”, sostiene
Tancredi Barone “ma è sempre stato così. Le
lobby ci sono e saranno sempre più forti. Gli interessi economici nella ricerca
scientifica ci saranno sempre, soprattutto in un momento in cui lo Stato riduce
i finanziamenti alla ricerca pubblica. Quel che conta è che si possa giocare
pulito e che tutto sia il più trasparente possibile. Il conflitto di interessi
è un tema molto dibattuto in campo biomedico, ma vale anche per altri, come i
giornalisti per esempio. Se sei un giornalista e una casa farmaceutica ti
invita ad un convegno e ti paga il viaggio, quando scrivi l'articolo, lo devi
dire che ti hanno pagato il viaggio. Non è che accetti il viaggio perché sei
cattivo: se i giornali non ti pagano e ci sono un sacco di precari a cottimo,
qualcuno dovrà pur pagarti la possibilità di assistere a un convegno che
ritieni interessante. Prima lo facevano i giornali. Se non lo pagano più i
giornali, chi ti paga automaticamente potrebbe condizionarti: è per questo che
è importante che tu giornalista sia trasparente”.
E per quanto concerne
il doppio filo che lega democrazia e scienza, Tancredi Barone invece depotenzia
il ruolo della conoscenza al fine della deliberazione
“Non penso che la
mancanza di capacità da parte di un governo, di una società, di prendere
decisioni corrette sia dovuto solo al fatto di non disporre di una conoscenza
scientifica profonda. È certamente vero
che in Italia, e in generale nei Paesi mediterranei, c’è un livello di
disinformazione scientifica abbastanza diffuso. Però non è vero che nei Paesi
con una consapevolezza scientifica più diffusa le decisioni siano tutte fondate
esclusivamente sulle conoscenze scientifiche. Ci sono numerosi studi che
dimostrano come una maggiore consapevolezza di natura scientifica spinga spesso
l’opinione pubblica ad essere addirittura più critica sul tema di
biotecnologie, nucleare, ecc, al contrario di quanto pensino alcuni scienziati.
Inoltre una società prende delle decisioni
sulla base di input molto diversi. La scienza sicuramente gioca un
ruolo, ma intervengono anche altri fattori: gli equilibri di potere, il denaro,
il particolare momento storico, gli interessi contrapposti. Tra l’altro anche
la scienza è fallibile e non è sempre in grado di dare risposte univoche. Il
caso emblematico è quello della mucca pazza in Inghilterra. Si presero,
infatti, in quella circostanza, alcune decisioni errate che si fondavano anche
su incertezze scientifiche che non vennero prese in considerazione. La verità è
che sulla maggior parte delle questioni, quelle che ci toccano più da vicino,
la vita, la morte, il nucleare e le biotecnologie, la scienza può dare una
serie di indicazioni, ma non può esprimere una valutazione vincolante per
tutti. Pensare che la scienza ti possa dire se l’aborto sia una scelta giusta o
sbagliata è assolutamente fuorviante, pensare che la scienza possa dire se la
vita di Eluana Englaro si possa definire vita o non vita, è assolutamente
fuorviante. È illusorio pensare che si prenderanno decisioni necessariamente
giuste nel momento in cui acquisiremo tutta la conoscenza scientifica
disponibile”.
Però appare evidente
che nel caso di Eluana Englaro l’informazione è stata strumentalizzata a fini
ideologici, cercando di far prevalere il punto di vista della Chiesa, che è
intervenuta magistralmente anche in occasione del referendum sulla procreazione
medicalmente assistita, facendo boicottare la consultazione agli italiani. Dunque
una falsificazione della conoscenza genera un forte movimento di opinione in
alcuni casi che poi va a incidere sulla scelta della forse di potere. E’ un
fenomeno tutto italiano?
“La strumentalizzazione della scienza a scopo ideologico? La definirei
un vizio consolidato che non riguarda solo l’Italia”
sottolinea Gianna
Milano che prosegue evidenziando l’internazionalità del fenomeno.
“Negli Stati Uniti,
dove la comunità scientifica è più forte e ha maggiore peso sull’opinione
pubblica, sul caso Terry Schiavo, le cose a livello mediatico non sono andate
molto diversamente. La donna aveva subito danni cerebrali ed era in stato
vegetativo persistente, e il marito, nonché tutore legale, chiedeva la
sospensione di alimentazione e idratazione artificiali. Contro il suo volere c’erano i genitori di
Terry le cui foto comparvero ripetutamente sui giornali: lo sguardo di persona
“presente”, che addirittura sembra sorridere. La lunga battaglia legale sul suo
caso durò sette anni (dal 1998 al 2005) e coinvolse politici, gruppi di
interesse e i famosi movimenti a favore della vita, i “pro life”, gli stessi che oltreoceano si
battono contro l’aborto. Prima di attuare la decisione della corte locale, il
marzo 2005, il governo dello stato della Florida e quello degli Usa
promulgarono una legge che tentò di impedire la rimozione del tubo di
alimentazione di Terry Schiavo. La storia di Terry ebbe una grande copertura mediatica
a livello internazionale. Le manifestazioni in America contro la decisione di
sospendere le terapie che tenevano in vita
la donna (quelle che secondo il disegno di legge in discussione in
Italia sul testamento biologico si intendono escludere dalle terapie che un
paziente può rifiutare: alimentazione e idratazione artificiali le si vuol far
passare per cure di ordinario accudimento) non sono state dissimili da quelle
che hanno animato certi cattolici e politici che hanno portato fuori dall’ospedale
di Lecco dove era ricoverata Eluana Englaro, bottiglie di acqua e pane.
Certamente la strumentalizzazione mediatica converte, e questo ovunque, su casi clamorosi, perché richiamano
l’attenzione del pubblico. È un vizio endemico. E non ha confini”.
Infatti negli Stati
Uniti nel 2003 la rivista Science accusò l'amministrazione Bush di manipolare i
dati scientifici. Perché, secondo Lei, la comunità scientifica non si è ribellata, ad
esempio nelle vicende Welby ed Englaro?
“La comunità
scientifica e i bioeticisti laici si sono espressi a più riprese in maniera
chiara, ma in certi quotidiani a tiratura nazionale è prevalsa l’opinione di
esponenti della Chiesa rispetto ad altre. Il Vaticano, che ha negato a Welby la
cerimonia funebre in Chiesa, ha avuto un peso maggiore nell’esprimere condanna
e dissenso. E nel confondere
concetti. Dopo che Welby si rivolse con
una lettera al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in cui chiedeva
di essere lasciato morire, una morte tanto dignitosa quanto “opportuna”, i temi del dibattito sui
diritti dei malati in fine vita sono stati stravolti e gli scienziati, salvo
rare eccezioni (da Umberto Veronesi a Edoardo Boncinelli, da CarloAlberto Redi,
a Carlo Alberto Defanti, Margherita Hack), hanno fatto poco pesare la loro
opinione. Al Governo c’era la coalizione
di centro-sinistra e il Primo Ministro era Romano Prodi. La figura che rimane
centrale sulla questione, però, è il Ministro della salute Livia Turco,
chiamata direttamente in causa prende le distanze dalla questione, affermando
che si debba risolvere nel rapporto tra medico e paziente e piuttosto
preferisce concentrare l’attenzione sull’importanza dell’assistenza ai malati
terminali e alla terapia del dolore. E il Governo non interverrà”.
Perché ciò è accaduto?
I media non sono riusciti e non lo fanno ancora oggi a mantenere uno stato di autonomia?
“Fare del buon
giornalismo scientifico non significa riportare, possibilmente senza errori,
ciò che le fonti (ricercatori, istituzioni, riviste specializzate) riferiscono”
evidenzia Gianna Milano “sarebbe come riportare senza strafalcioni
ciò che i politici e i finanzieri dicono, ma costituire un controllo
indipendente sugli altri centri di potere, come quello dell’industria
farmaceutica, per mantenere un equilibrio delle parti. Anche il giornalismo
scientifico non può, e non deve, essere solo una fedele cinghia di trasmissione
delle conoscenze elaborate nel mondo scientifico, ma dovrebbe soprattutto
fornire un’informazione critica, cioè capace di dare al lettore anche gli
elementi di contesto che lo aiutino a comprendere e a farsi un’idea propria su
questa o su quella scoperta, su questo o su quel nuovo farmaco. Un concetto che
ha ben formulato il Premio Pulitzer americano Jack Fuller: “Dal giornalismo ci
si aspetta che illumini su argomenti di interesse pubblico, e ciò comprende
l’impegno a scoprire informazioni rilevanti che altrimenti resterebbero
nascoste. Così il giornalismo deve affrontare il mondo della scienza con lo
stesso scetticismo consapevole che si riserva a un consiglio comunale o a un
uomo politico”. Purtroppo non è sempre così, specialmente quando le scoperte e
le notizie riguardano la medicina e in senso lato il benessere psicofisico di
ogni individuo, secondo la definizione che l’Organizzazione mondiale della
Sanità ha dato della salute. Un diritto, quello alla salute, di cui i cittadini
hanno acquisito consapevolezza e responsabilità. L’informazione elargita dai
mezzi di comunicazione su medicina, salute e nuove terapie continua ad avere (e
questo sembra un vizio inguaribile) toni apodittici: le cure sono miracolose, i
farmaci rivoluzionari e le scoperte sensazionali. L’idea è di essere sempre a
un fatidico punto di svolta”.
In questa situazione, dovrebbe essere il cittadino a
procurarsi strumenti di analisi in grado di leggere ciò che ci viene proposto
dai mezzi di informazione o dovrebbero essere i mezzi di informazione a fornire
sempre notizie scientificamente corrette?
“ I media in una società matura
devono giocare un ruolo molto importante e spesso non lo giocano”.
Ovviamente è opportuno fare un distinguo,
precisa Tancredi Barone:
“Naturalmente ci sono i media che
valgono di più e quelli che valgono di meno, e lo stesso discorso vale per i
giornalisti. Penso che i cittadini devono essere maggiormente responsabilizzati
e pretendere un’informazione più corretta, così come lo Stato è tenuto ad
assicurarla attraverso le scuole pubbliche, la ricerca pubblica, e dando il
massimo della libertà ai mezzi di informazione. In altre parole le due istanze devo
convivere.
Per me l’anomalia principale della situazione italiana
è che spesso le decisioni vengono prese in un clima di segretezza che
contraddice lo spirito del dialogo democratico. Le decisioni si prendono
comunicando; ad esempio nel caso della Val di Susa, si è deciso senza
confrontarsi e senza sentire se le controparti; lo stesso è successo a Scanzano
Jonico, una decisione che giustamente scatenò le ire di molti. In Spagna lo
stesso procedimento di individuazione di un sito di smaltimento dei rifiuti
nucleari si è svolto in maniera diversa. Il Governo ha chiesto chi era
disponibile, evidentemente offrendo incentivi economici. Certo, diversamente
dall'Italia, la Spagna è un Paese molto meno densamente popolato. I comuni
interessati si sono offerti, ci sono stati incontri, un po' di litigi e
alla fine il governo ha scelto. Però il paradosso è che qui addirittura alcuni
comuni hanno protestato perché esclusi. Cioè è successo l'opposto che in
Italia. Il problema in Italia è che le cose si fanno di nascosto, si comunicano
male, si impongono,e poi ci si lamenta se qualcuno dice che non è
d'accordo”.
Che tipo, quindi, di comunicazione scientifica si fa oggi in
Italia? Che rapporto esiste tra i media e gli scienziati?
Per Gianna
Milano, “La comunicazione scientifica
dovrebbe produrre partecipazione nelle decisioni del pubblico, e fornire gli
strumenti per una maggiore padronanza della materia. Chi informa dovrebbe
essere chiamato a informare nel migliore modo possibile intorno a tutto ciò che
è degno di diventare “notizia”. Purtroppo in Italia la qualità della
informazione scientifica viene spesso sacrificata alla voglia di audience.
Qualcuno ha visto nel sensazionalismo che ruota attorno alle notizie della
scienza un coprodotto del compiacente rapporto tra giornalisti e scienziati. Se
i giornalisti riescono così a catturare l’attenzione del pubblico, gli
scienziati vedono nell’attenzione dei media un trampolino per una carriera di
successo. E gli interessi delle due
professioni sembrano influenzarsi l’uno con l’altro sovente in maniera poco
salutare. L’ansia di comunicare è diventata per i ricercatori pressante. Cosa
che prima non accedeva. Se uno
scienziato poteva un tempo affermare che avere a che fare con la stampa non
faceva parte dei suoi compiti. E questo non nuoceva al suo lavoro o alla sua
carriera. Oggi, che il legame tra mondo della ricerca e mondo economico è più
stretto, non è più così. Il rendere pubblico ciò che la ricerca va scoprendo è
parte integrante della «responsabilità» di uno scienziato. I ricercatori sono
spinti nell’anticipare e nel divulgare da interessi, pressioni, carriere. I “casi scientifici” possono venire promossi
da scienziati e media per motivazioni differenti: “clamore” per i media e
“visibilità”per i ricercatori (articoli pubblicati e citazioni), ma anche da
altro. Il sistema di comunicazione conferisce una forte dinamica al processo
scientifico, contribuendo all’evoluzione stessa della scienza, ma i tranelli
sono molti”.
Secondo Lei da cosa
dipende questo? Da una politica che usa la ricerca come merce di scambio
elettorale con il Vaticano o elargisce piacere a potenti lobby? Basti pensare
all'esclusione da un bando di ricerca ministeriale di un progetto sulle cellule
staminali embrionali.
L’interpenetrazione
tra scienza e società è un dato di fatto ineliminabile. E il controllo delle
informazioni, delle immagini, dei valori elargiti al pubblico è un tema
estremamente importante nella società di oggi. I giornalisti che scrivono di
scienza hanno una particolare responsabilità verso l’audience, dovrebbero
svolgere un ruolo critico di “watchdog”, ossia di cani da guardia. Ed essere in
prima fila nel cogliere una rappresentazione sbagliata della scienza: di chi ha
una posizione anti-scientifica, delle corporation multinazionali, dei politici
e anche degli scienziati e delle loro
istituzioni che esagerano magari i risultati in cerca di fama e di
finanziamenti. Ci sono poi filoni di ricerca più “graditi” di altri solo per
ragioni ideologiche, e così si assiste a dibattiti, che nulla hanno a che
vedere con la scienza, in cui il potere politico “si adegua” al volere della
Chiesa, confondendo valori etici con principi religiosi. È stato così per le
cellule staminali. I giornali, a seconda dell’orientamento politico, durante la
campagna referendaria per la legge 40 sulla procreazione assistita si sono
schierati: c’era il partito delle staminali adulte e quello delle embrionali.
Come se la ricerca scientifica avesse ormai esaurito le sue conoscenze sulle
une o sulle altre. Sul caso di Eluana
Englaro e di Piergiorgio Welby l’informazione è stata strumentalizzata a fini
ideologici, e si è fatta una gran confusione tra sospensione delle cure,
eutanasia, testamento biologico… Per chi ascoltava la radio, leggeva i giornali
o guardava la Tv i confini erano poco chiari. Eppure il padre di Eluana,
Beppino, faceva una richiesta precisa, che rispettava la volontà della figlia,
e non meno trasparente era la richiesta di Welby. Certezze che venivano meno quando si leggevano diversi
quotidiani lo stesso giorno, cercando di capire quale fosse il punto. Eppure
Mario Riccio, il medico che ha esaudito la volontà di Welby, è stato scagionato da ogni accusa
sia dai giudici sia dall’ordine dei medici. E allora?”
Quindi accanto ad un generale disinteresse
dell’opinione pubblica nei confronti di temi
‘eticamente sensibili’ ci troviamo a dover fronteggiare potenti lobby?
Purtroppo la risposta che fornisce Tancredi Barone è affermativa:
“Sì, c’è scarso interesse, però è
anche vero che nel caso del referendum sulla procreazione
medicalmente assistita non c’è stata sufficiente informazione e si è evitato di
discutere sul merito. Forse perché si stavano scontrando delle lobbies molto
potenti, e in particolare una delle lobbies più potenti che c’è in Italia,
ossia quella religiosa. Però resto dell’idea che non sia assolutamente scontato
che, anche in presenza di un’informazione corretta, avremmo avuto a un esito
diverso”.
Valentina Stella
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