Intervista a Mauro Palma
Angela Stella Unità 15 febbraio 2025
Mauro Palma, già Presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura ed ex Garante nazionale dei detenuti, lei è intervenuto due giorni da all’evento dell’Associazione Antigone sui 50 anni dall'approvazione dell'ordinamento penitenziario. Che bilancio fare?
Non amo le celebrazioni e soprattutto è particolarmente difficile celebrare una norma che tutti si affannano a dire che è bella, ma non applicata: cinquant’anni dopo. Non solo, ma laddove si dà, faticosamente, piena attuazione ai principi e alle norme che questa riforma detta, si parla ancora di Istituti ‘particolari’, addirittura ‘sperimentali’. Quindi, non è possibile fare un bilancio positivo. E, infatti, questi due giorni organizzati da Antigone hanno avuto la caratteristica positiva di non celebrare, ma di indagare gli aspetti anche ambigui che il testo approvato faticosamente nel 1975 presentava già. E su queste crepe si è inserita l’ondata contro riformatrice in cui siamo ancora immersi.
Le nostre carceri sono illegali?
Sono più rispondenti alle circolari, alle indicazioni dell’amministrazione penitenziaria che non al dettato delle norme iscritte nella riforma e ancor meno al solco delineato dalla Costituzione per le pene.
Nelle ultime settimane a due detenuti di due diverse carceri italiane è stato accordato il permesso di fare colloqui intimi con le proprie compagne senza la sorveglianza della polizia penitenziaria, con l’obiettivo di avere rapporti sessuali: sono i primi due casi da quando, l’anno scorso, una sentenza della Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo il divieto all’affettività in carcere. Significa che ora il Dap dovrà darsi seriamente da fare per rispettare la sentenza della consulta e trovare spazi idonei?
Sono due ordinanze molto importanti. Il Dap avrebbe dovuto attrezzarsi il giorno dopo del deposito della sentenza 10 del gennaio 2024 della Corte costituzionale. E non lo ha fatto: ha nominato una commissione – tipico modo per ritardare il tutto – e ha imposto ai singoli provveditori regionali di non prendere iniziative autonome, neppure laddove le prime esperienza stavano per essere attuate. La sentenza afferma: «l’azione combinata del legislatore, della magistratura di sorveglianza e dell’amministrazione penitenziaria, ciascuno per le rispettive competenze [ad] accompagnare una tappa importante del percorso di inveramento del volto costituzionale della pena]. La sentenza, dunque, doveva trovare applicazione a partire dal giorno successivo. Ora queste importanti ordinanze, che certamente non troveranno applicazioni domani, perché si aprirà un percorso di ricorsi e controricorsi, richiamano l’amministrazione alle sue responsabilità e mi auguro che siano seguite da altre, molte, della stessa chiarezza che diano uno scossone.
Nordio continua a dire che i suicidi sono "un fardello insopportabile". Non le sembra un po' stucchevole e anche inopportuno ripetere sempre la stessa frase ma poi non cambiare la situazione?
I suicidi hanno sempre un elemento di insondabilità e di intima decisione che va rispettato senza forzare interpretazioni con tono certo. Tuttavia richiamano la responsabilità di interrogarsi e agire; soprattutto chi ha la responsabilità di un settore dove il tasso di suicidi è circa venti volte maggiore di quello al di fuori di esso. Il fardello si comprende, ma richiede anche intervento perché altrimenti l’insopportabilità diviene la cifra descrittiva del mondo recluso, per chi vi è ristretto, per chi opera all’interno di esso e ora anche di chi ne ha la responsabilità politica e amministrativa.
Lei è fiducioso che il nuovo commissario all'edilizia penitenziaria possa davvero elaborare un progetto che in tempi adeguati dia respiro alle carceri?
Assolutamente scettico. Per i tempi assegnati e per la carenza di un’idea della carcerazione – che vada un po’ oltre il mero contenimento delle persone – da parte di chi ne ha attualmente la gestione politica e amministrativa. Progettare e costruire richiede la premessa di una chiara visione della funzione che entro quegli spazi si dovrà assolvere. Che, appunto, non può limitarsi a creare posti. Questa chiarezza manca e il tutto si riduce a ordine e sicurezza.
Dopo l'inchiesta di Palermo di qualche giorno fa il Governo vorrebbe rimettere mano ed irrigidire ancora di più il 41 bis. Eppure l'indagine riguarda l'alta sicurezza. Non abbiamo ben compreso il collegamento.
Non vedo cosa si possa accentuare nel regime speciale del 41bis, già molto molto restrittivo. E non penso che si abbia realmente intenzione di intervenire su tale regime. Resta però il fatto che il numero delle persone mediamente ristrette in tale regime resta costante (attorno a un po’ più di 700) e credo che questo sia anche dovuto alla tendenza delle procure a richiedere tale regime anche per casi che potrebbero essere nel circuito dell’alta sicurezza: forse perché ritengono quest’ultimo, come emerge da dichiarazioni recenti, poco affidabile. Allora va compreso questo nodo, ricordando che l’alta sicurezza è un ‘circuito’ e non un ‘regime’ e i due termini non sono e non devono essere sinonimi.
Già sul 41 bis è spesso intervenuta la Consulta e anche il Cpt si è espresso negativamente. Come si potrebbe peggiorare ancora di più la situazione?
Non è possibile. Al contrario, andrebbe redatta una nuova circolare che tenga conto di tutti gli aspetti che la Corte costituzionale ha già censurato in quella – piuttosto parossistica – emanata nel 2017. Deve restare il principio che l’obiettivo è la non comunicazione con le organizzazioni criminali e non la maggiore afflizione.
Tra le ipotesi a cui sta lavorando la Commissione antimafia c'è anche quella del ripristino del divieto - eliminato nel 2022 - di concedere benefici penitenziari ai condannati previsti dalla norma salvo che nei casi di collaborazione con la giustizia. Ma come sarebbe possibile se la Corte Costituzionale ha bocciato l'ergastolo ostativo, benché con il primo decreto del Governo il detenuto dovrebbe comunque superare una "prova diabolica" per accedere alla liberazione condizionale?
Non ho idea su come si voglia intervenire, ma resta fermo un principio. Se la Corte costituzionale censura una norma e chiama il Parlamento a legiferare in proposito e se, dopo un gran dibattere, il Parlamento interviene rivedendo quel principio, anche se piega fino all’estremo limite il confine posto dalla Corte, non è pensabile né corretto sul piano ordinamentale ritornare indietro. Non è il gioco dell’oca: è tema che riguarda la civiltà giuridica e democratica e non credo che il governo abbia intenzione di aggredirlo.
Commenti
Posta un commento