«Sono le risorse la vera lacuna» «Nessuno si occupa del dibattimento» L’analisi dei giuristi


Valentina Stella 10 febbraio 2025

 In questi ultimi mesi al centro del dibattito sulla giustizia c’è sicuramente e prepotentemente la riforma della separazione delle carriere. Ma davvero è la panacea di tutti i mali che affliggono il processo? Secondo il professor Gian Luigi Gatta, presidente dell’Associazione dei professori di Diritto penale, «la giustizia penale è ormai da tempo un tema politico, più che mai divisivo, specie quando diventa vessillo di posizioni politiche identitarie: garantismo vs giustizialismo, valorizzazione vs marginalizzazione della vittima, separazione vs unità delle carriere e dell’organo di autogoverno della magistratura. Su questo terreno, il processo e la giustizia vengono in rilievo nel contesto di riforme, proposte o attuate, che di norma sono a costo zero e, pertanto, hanno una limitata capacità di incidere su ciò che davvero interessa ai cittadini e alla società: il miglioramento di un servizio pubblico. Penso in primo luogo alla riduzione dei tempi del processo e alla transizione digitale». Cosa manca dunque? «Manca un finanziamento pubblico adeguato alle esigenze, che incida sulla qualità del servizio reso ai cittadini e anche sulla qualità del lavoro di avvocati, magistrati e personale amministrativo», dice Gatta, già consigliere giuridico dell’ex guardasigilli Marta Cartabia. «Si pensi allo stallo del processo penale telematico, alle gravi carenze di organico del personale di cancelleria, alle scarse risorse destinate al pagamento di giudici onorari, interpreti e difensori incaricati del patrocinio a spese dello Stato. Il bilancio pubblico, alla voce Giustizia, prevede fondi insufficienti e in riduzione, il che è ancor più preoccupante pensando che tra poco non si potrà più contare sulle risorse del Pnrr. Di questi temi, meno identitari e politicamente sensibili, l’opinione pubblica sa poco o nulla. Eppure, vale per la giustizia, come servizio pubblico, quel che vale per la sanità e per le infrastrutture: senza un finanziamento pubblico adeguato alle esigenze i servizi non funzionano. E i cittadini ne fanno le spese», conclude Gatta. Diversa chiave di lettura quella dell’emerito di procedura penale Giorgio Spangher: «La riforma della giustizia penale sulla base della separazione delle carriere certamente affronterà uno dei nodi del processo, quello dei rapporti fra pubblico ministero e giudice, e soprattutto quel concetto di autorità giudiziaria che fortemente inquina l’intera struttura processuale in termini inquisitori. E questo naturalmente tocca gli aspetti delle indagini preliminari, quindi l’aumento delle finestre di giurisdizione, l’aumento dei poteri del giudice, che non diventa un giudice istruttore ma uno strumento di controllo del pm separato. Detto questo, i tempi per le misure cautelari disposti dall’articolo 274 cpp, il tempo delle intercettazioni telefoniche, tutta una serie di modifiche ulteriori che si vogliano fare, restano un nodo irrisolto, a mio parere».


Secondo Spangher, inoltre, «nel momento in cui noi abbiamo deciso di fare un processo a trazione anteriore spostando il baricentro nella fase delle indagini, affiancato da strumenti forti di premialità, abbiamo però


dimenticato di modificare la fase dibattimentale». Cioè «noi il dibattimento non l’abbiamo mai toccato se non per inquinarlo col materiale che proviene dal pubblico ministero e che viene recuperato. E ancora, non ci sono norme che sanzionino i comportamenti con i quali il giudice deborda dalle proprie prerogative. Non abbiamo delle regole vere e certe per quanto attiene il contraddittorio anticipato. e abbiamo due norme fortemente discutibili, il 238 bis cpp, quello che consente il recupero del materiale da un altro procedimento, e il 507 cpp, che consente al giudice di recuperare anche le carenze del pm qualora costui non abbia presentato adeguatamente la lista testi». E insomma per Spangher c’è «la necessità di rivedere i profili sanzionatori e quindi anche di riscrivere le modalità corrette di un contraddittorio la cui cultura manca nel nostro Paese. Chi guardasse qualsiasi film americano», aggiunge il processual penalista, noto anche per essere esperto cinefilo, «si accorgerebbe che lì ci sono le domande secche: uno apre, uno risponde, e non c’è poi materiale istruttorio, materiale delle indagini che rifluisca nella fase dibattimentale. Noi invece abbiamo un contraddittorio il più delle volte guidato dal giudice, e non si ha idea di cosa sia davvero una cross examination».


In conclusione, per Spangher, «sostanzialmente abbiamo cambiato l’indagine, abbiamo cambiato le impugnazioni, abbiamo cambiato anche in parte l’esecuzione, abbiamo introdotto nuove sanzioni sostitutive, ma non abbiamo cambiato le regole con le quali si svolge la fase del giudizio». Dunque c’è molto ancora da fare.


Sicuramente, già in questa settimana, la Camera vorrà accelerare sulla proposta, nota come legge Zanettin, che individua in 45 giorni la durata ordinaria massima delle intercettazioni, già approvata in Senato e originata, appunto, da un’iniziativa del capogruppo Giustizia di FI a Palazzo Madama. I capi delle Procure, in particolare, si sono già espressi in maniera sfavorevole durante le audizioni. Gli azzurri faranno pressioni affinché la commissione Giustizia della Camera inizi a discutere anche del testo sul sequestro degli smartphone, anche questo già votato in Senato e che ha lo scopo di introdurre nel codice di rito l’articolo 254-ter, secondo cui, qualora nel dispositivo siano presenti messaggi o mail, va applicata la stessa disciplina prevista per le intercettazioni. È in attesa di calendarizzazione a Palazzo Madama, poi, la riforma della prescrizione. Mentre per le carceri si attende il progetto del neo commissario all’edilizia penitenziaria Marco Doglio. Aspettando Godot.

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