Negata al fratello del Garante la visita della salma

 Valentina Stella dubbio 30 agosto 2024

È davvero paradossale che il presidente del Collegio del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, Felice Maurizio D’Ettore, non abbia potuto ricevere l’ultimo saluto da suo fratello Pasquale, detenuto a Catanzaro. Solo ieri è emersa questa assurda storia, per come confermato dall’avvocato Eugenio Minniti. D’Ettore è scomparso prematuramente a 64 anni per un aneurisma aortico il 22 agosto a Locri, dove si era recato in visita all’anziana madre. Il 23 sera l’avvocato di suo fratello ha presentato l’istanza per fargli visitare la madre sconvolta dal dolore e per vedere la salma del fratello in ospedale. Rispetto a quanto trapelato su alcuni organi di stampa la richiesta non era quella di farlo partecipare ai funerali che si sarebbero tenuti poi il 26 agosto mattina, alla presenza del ministro Nordio, dei sottosegretari Ferro e Andrea Delmastro, del responsabile dell’organizzazione di Fratelli d’Italia Donzelli, più assessori regionali e sindaci della zona. «Nell’interesse di Pasquale d’Ettore – abbiamo potuto leggere nell’istanza -  detenuto presso la Casa Circondariale di Catanzaro, con fine pena il prossimo 5 ottobre 2024 (previa concessione dell’ultimo periodo di liberazione anticipata) si chiede che venga autorizzato, anche con scorta, a recarsi a Locri (Rc) per dare necessario e familiare conforto alla propria madre, in precarie condizioni di salute, assolutamente affrante per la perdita del proprio figlio». Inoltre si chiedeva «di essere parimenti autorizzato, nella medesima occasione, a rendere omaggio alla salma del proprio fratello, esposta presso la sala mortuaria dell’ospedale civile di Locri, in attesa delle esequie funebri. Si confida nell’accoglimento delle istanze trattandosi di atto conforme al senso di umanità e giustizia, in difetto di particolari ragioni ostative alla concessione delle richieste autorizzazioni». Ma il magistrato di sorveglianza non ha mai risposto e così Pasquale non ha potuto dare l’ultimo saluto al fratello. « Siamo in presenza- ci dice l'avv. Minniti – di una condotta assolutamente negligente da parte del tribunale di sorveglianza, trattandosi della richiesta di un permesso di necessità per decesso di uno stretto familiare avanzata da un detenuto comune». Pasquale D’Ettore sta scontando una pena per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, a seguito di una inchiesta della procura antimafia di Reggio Calabria. «Il mio assistito è stato arrestato illegittimamente lo scorso 23 dicembre per un reato commesso nel 2003, che ancora non rientrava nel catalogo del 4 bis, e quindi non era reato ostativo, essendolo diventato dopo il 2015,tant'e' che il residuo di pena da espiare andava sospeso. Difatti il 24 dicembre siamo stati tutti il giorno nel mio studio per predisporre un'istanza di scarcerazione rigettata dalla procura generale di Reggio Calabria ma accolta dalla Corte di Appello in aprile rilevando che il reato per cui era stato arrestato non fosse ostativo. È stato condannato a cinque anni di carcere. Ma avendo già scontato circa quattro anni in misura cautelare per altre accuse poi rivelatesi infondate, uscirà ad ottobre». Qualche giorno prima di morire, Minniti aveva cenato con il Garante D’Ettore, di cui era amico e consulente: « quella sera stavamo discutendo della sua intenzione di predisporre un progetto di legge per la concessione dell'indulto triennale, che avrebbe risolto in parte la drammaticità che stanno vivendo le nostre carceri. Questo a dimostrazione della sua grande sensibilità per la questione in quanto riteneva che lo stato di estrema criticità carceraria poteva risolversi esclusivamente con un concreto provvedimento clemenziale». Invece, conclude l’avvocato, «in questo momento di grande emergenza appare assolutamente paradossale che non soltanto non venga concesso il permesso di necessità per motivi naturalmente familiari ad un detenuto comune incensurato prima di questa condanna, ma addirittura venga ancora mantenuto in carcere un soggetto recluso per un reato comune ad un mese dalla scarcerazione. Abbiamo presentato un'istanza di detenzione domiciliare a giugno ed ancora siamo in attesa della fissazione dell’udienza. Purtroppo ci sono gravi disfunzioni nei tribunali di sorveglianza e una politica inadeguata a risolvere in modo strutturato e costruttivo i problemi del sistema e dell’esecuzione penale». I precedenti Non è la prima volta che accade una cosa del genere. A giugno 2022 ad un giovane detenuto nel carcere di Cosenza, e che dopo sei mesi avrebbe terminato di scontare la pena, non ricevette alcuna risposta da parte del giudice di sorveglianza alla sua richiesta di permesso per partecipare al funerale della madre. Allo stesso giovane, inoltre, era stata negata in precedenza la possibilità di fare visita alla donna, affetta da un tumore. A febbraio dello stesso anno un recluso nel carcere romano di Rebibbia chiese di poter partecipare ai funerali della nonna morta, l’unico affetto che gli è rimasto, ovviamente scortato come prevede la legge, ma la magistrata di sorveglianza gli negò l’autorizzazione poiché «il ricordo della nonna – scrisse – può essere coltivato con la preghiera e il raccoglimento intimo».  Nel 2012 un tredicenne morì dopo essere stato investito da un’auto pirata. Al funerale fu negata la presenza al padre e al fratello della vittima, per motivi di ordine pubblico. Nel 2019 ad 40enne siciliano che scontava ai domiciliari una pena a due anni 70 grammi di marijuana fu impedito di partecipare al funerale della compagna. Poté solamente sfiorare la foto della sua donna sulla lapide perché l'autorizzazione dell'ufficio del Tribunale di Sorveglianza arrivò solo dopo il funerale. Siamo nel 2015: un uomo è detenuto in attesa di giudizio nella sezione di Alta Sicurezza di Rebibbia Nuovo Complesso; aveva chiesto un permesso di necessità con scorta per visitare il padre gravemente malato, ma per la Corte di Appello di Napoli non sussisteva il requisito dell’imminente pericolo di vita. Qualche giorno dopo, però, l’uomo morì. A ciò si aggiunse che l’uomo non aveva potuto presenziare alle esequie o vedere la salma prima della cremazione perché un’altra richiesta alla Corte di Appello era rimasta senza risposta.


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