Ingiuste detenzioni, l’idea Costa: «Adesso paghino anche le toghe»

 Valentina Stella Dubbio 21 agosto 2024


«A settembre presenterò un emendamento al ddl sicurezza perché ogni fascicolo di ingiusta detenzione pagata dallo Stato venga automaticamente trasmesso al titolare dell’azione disciplinare nei confronti dei magistrati ed alla Corte dei Conti. Oggi paga solo lo Stato, non chi sbaglia»: questo l’annuncio lanciato ieri mattina dal deputato e responsabile giustizia di Azione, Enrico Costa, dalla piattaforma X. Come ci racconta lo stesso parlamentare, negli anni, «emerge un quadro sconfortante: dal 2018 al 2023 sono state risarcite dallo Stato ben 4.368 persone ingiustamente arrestate, per una somma complessiva di 193.547.821. Ma paga solo lo Stato perché di fronte a questi numeri, dal 2017 al 2023 sono state avviate 87 azioni disciplinari con il seguente esito: 44 non doversi procedere, 27 assoluzioni, 8 censure, 1 ammonimento, 7 ancora in corso. Sanzioni solo nello 0,2% degli errori. I magistrati non pagano mai sul piano disciplinare. Cosa ha fatto questo Governo? Di azioni disciplinari su casi di ingiusta detenzione ne sono state avviate dal Ministero della Giustizia 1 (una) nel 2022 e 3 (tre) nel 2023 (anni in cui complessivamente si sono pagati oltre 50 milioni di euro di riparazioni per ingiusta detenzione). Praticamente nulla per un Governo sedicente garantista, se pensiamo che Bonafede ne aveva avviate 22 nel 2019 e 19 nel 2020. Anche questa – dice Costa - è una conseguenza di aver messo il Ministero della Giustizia nelle mani dei magistrati fuori ruolo. A questo si aggiunga che il 95% delle segnalazioni disciplinari al Pg della Cassazione è archiviato de plano e che il Ministero della Giustizia non si oppone mai a queste decisioni». Ma come si arriva all’azione disciplinare? «Nel momento in cui una persona viene assolta in via definitiva, dopo aver trascorso un periodo in custodia cautelare – carcere o domiciliari – si rivolge alla Corte di Appello competente per richiedere la riparazione per ingiusta detenzione. Nel 30 per cento dei casi le domande vengono accolte, nel 70 per cento no. Questo perché la legge prevede, in una forma molto strana, che non venga risarcito chi di fatto ha concorso con dolo o colpa grave all'errore. Formula che consente alla giurisprudenza di negare la maggioranza dei risarcimenti, con acrobazie argomentative. Fino a poco tempo fa non si veniva risarciti, ad esempio,  se l’indagato si avvaleva della facoltà di non rispondere. Per fortuna siamo riusciti a cambiare quest’ultima previsione». Per Costa «il punto cruciale è che la Corte d'Appello stabilisce un risarcimento che verrà pagato dal Mef. Dal 1992 ad oggi 874 milioni di euro complessivi. Lo Stato paga e finisce là. Il fascicolo del risarcito non viene trasmesso a nessuno per valutare se dietro l’ingiusta detenzione ci sia una responsabilità del magistrato». Invece per il deputato «se un amministratore comunale sbaglia e provoca un danno erariale viene aperto un procedimento e si valuta se il suo comportamento sia causale rispetto al danno erariale. Così dovrebbe essere anche per i magistrati». E come dovrebbe avvenire praticamente in materia di malagiustizia? «Nel momento in cui il Mef paga, quel fascicolo verrà trasmesso anche alla Corte dei Conti che valuterà se esiste un responsabile per danno all’erario. Ci tengo a precisare che la sanzione non sarebbe automatica per ogni fascicolo, ma scatterebbe solo in caso di responsabilità». Però lei ha esordito dicendo che delle azioni disciplinari sono state avviate, e allora in che modo? «Di solito ciò avviene perché un avvocato della persona assolta invia una segnalazione oppure quando il risarcimento avviene non perché sia arrivata una assoluzione, ma perché il magistrato ha fatto scadere i termini di custodia dimenticandosi in carcere una persona». È bene ricordare, come si legge nella Relazione al Parlamento sulle ingiuste detenzioni e gli errori giudiziari, che «la riparazione può riconnettersi ad ipotesi del tutto legittime di custodia cautelare accertata ex post come inutiliter data: di frequente, la richiesta e la conseguente adozione di misure cautelari si basa su emergenze istruttorie ancora instabili e, comunque, suscettibili di essere modificate o smentite in sede dibattimentale. Va poi sottolineato che, per costante giurisprudenza di legittimità, il diritto alla riparazione è configurabile anche nel caso in cui sia stato presentato un atto di querela, successivamente oggetto di remissione, ovvero in relazione a reati di cui venga in seguito dichiarata la prescrizione per decorso del tempo, o anche nel caso in cui l’ingiustizia della detenzione sia correlata alla riqualificazione del fatto in sede di merito, con relativa derubricazione del reato contestato nell’incidente cautelare in altro meno grave, i cui limiti edittali di pena non avrebbero consentito l’applicazione della misura custodiale. Appare evidente, dunque, come il riconoscimento del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione - così come, del resto, del diritto alla riparazione dell’errore giudiziario di cui all’art. 643 c.p.p. - non possa essere ritenuto, di per sé, indice di sussistenza di responsabilità disciplinare a carico dei magistrati che abbiano richiesto, applicato e confermato il provvedimento restrittivo risultato ingiusto».  In ultimo, annuncia Costa, «di non escludere che in futuro si possa studiare una fattispecie particolare di reato in quanto una privazione per colpa della libertà personale è un fatto grave almeno quanto una lesione colposa».

Commenti

Post popolari in questo blog

«L’avvocato non può essere identificato con l’assistito»

Accuse al pm di Bergamo, il procuratore: seguo il dossier

«Ridurre l’arretrato civile del 90%? Una chimera» Nordio ripensa l’intesa con l’Ue