Intervista a Sergio Rastrelli

 Valentina Stella Dubbio 13 agosto 2024

 

Ultime riforme sulla giustizia: ne parliamo con Sergio Rastrelli, esponente di spicco di Fratelli d’Italia e Segretario della Commissione giustizia del Senato.

Qual è la vostra posizione sulla riforma della custodia cautelare di cui si sta parlando in questi giorni?

Una posizione convinta ed obbligata, che si pone nello spirito della Costituzione: considerare la custodia cautelare una extrema ratio in fase procedimentale. Ricordo la splendida definizione che ne diede Carrara nel suo scritto ‘Immoralità del carcere preventivo’: “La custodia cautelare è una necessaria ingiustizia”. Questo è il principio cui ispirare ogni azione riformatrice, contemperandola sempre con le esigenze di protezione dello Stato e di sicurezza sociale che vanno assolutamente preservate: va quindi senz’altro operato un ripensamento complessivo della custodia cautelare, agendo però con prudenza ed equilibrio. Appare evidente che abbiamo tutti l'obbligo di operare una valutazione anche e soprattutto considerando i dati oggettivi.

Quali?

All'interno degli istituti penitenziari vi è una quota abnorme del 25% di detenuti in misura cautelare. È chiaro che non si tratta di un rapporto percentuale fisiologico. Da sempre sosteniamo che si debbano offrire tutte le garanzie in fase processuale, ed essere poi estremamente rigorosi quando invece la condanna diviene definitiva, garantendo la certezza della pena. Su questo punto di equilibrio il centrodestra si sta confrontando e sicuramente sarà uno dei temi che affronteremo alla ripresa delle attività parlamentari.

Però Fi, Lega, Azione, sulla scia del caso Toti avevano presentato odg, poi rimodulati dal Governo, che puntavano a prevedere il ricorso alla custodia cautelare per pericolo di reiterazione nei confronti di incensurati solo per reati di grave allarme sociale, tra i quali non sarebbero rientrati quelli contro la PA.

È chiarissimo che all'interno della maggioranza di centrodestra coesistono sensibilità diverse sul punto. Noi consideriamo i delitti contro la PA delitti gravi, e talvolta ad alto allarme sociale,  perché incrinano la sicurezza dei cittadini nei confronti dello Stato e dei pubblici amministratori e logorano quel rapporto di fiducia che deve sempre esistere tra rappresentati e rappresentanti: in questo vi è sicuramente una presa di posizione strettamente identitaria.

C’è un ma…?

Certo. Dobbiamo evitare di inquadrare tutto quanto riguardi la Pa sotto la luce deformante di sospetti, suggestioni o condizionamenti ambientali, reiterando un errore che ha caratterizzato tutti gli ultimi 30 anni. Non dobbiamo considerare la PA come luogo della corruttela, al contrario, l'Italia ha bisogno di una Pa responsabile, efficiente e dinamica: anche sotto questo profilo è necessario individuare il corretto punto di equilibrio.

Molti hanno detto che nel caso Toti la carcerazione preventiva è stato uno strumento per forzare la scelta dell'indagato.

Questa non è una valutazione, bensì una mera presa d'atto. Sulla vicenda, senza entrare in questioni di merito, si è consumato una violazione dei precetti e degli equilibri costituzionali, ritenendo che un organo giudiziario possa sostituirsi al popolo sovrano e condizionare le scelte di una Pa. Il sol fatto di ricoprire una carica pubblica non può essere indice sintomatico di una capacità di delinquere. La vicenda Toti è una di quelle che impongono una riflessione anche sugli esiti scomposti che talvolta determinano alcune decisioni dell'autorità giudiziaria.

Per quanto riguarda lo scudo penale che ha proposto Salvini per gli amministratori regionali?

La Costituzione prima, ed una legge costituzionale poi, hanno puntualmente individuato gli ambiti e le garanzie del mandato popolare limitandoli all’esercizio del mandato parlamentare. Estendere ipso facto questa forma di tutela ad altre figure diventa, o meglio rischia di divenire, poi una estensione ingiustificata, anche perché questo determinerebbe poi una sorta di allargamento a macchia d'olio. Ritengo invece più opportuno che si vada ad agire su alcuni fronti.

Quali?

Quello per esempio della legge Severino che, pur muovendosi in una logica corretta, ha determinato degli effetti impropri, andando di fatto a impedire che pubblici amministratori forti di un mandato popolare, e non condannati in via definitiva, possano essere condizionati da decisioni dell'autorità giudiziaria. Anche in questo caso bisogna rioperare il corretto bilanciamento tra le esigenze di salvaguardia della comunità, con la intangibilità del mandato pubblico e la presunzione di non colpevolezza, che è quella che pervade tutta la nostra Costituzione.

 

Ora che l’abuso d'ufficio è stato abrogato, c'è da temere una sorta di risposta sistemica negativa dei pm, e cioè una tendenza a aprire indagini per ipotesi di reato più gravi?

Questo è un tema che noi ci siamo posti, quello della riespansione applicativa di altre fattispecie di reato. Se ci dovessero essere fenomeni di questo genere che andranno monitorati, bisognerà operare i debiti correttivi anche sulle modalità di esercizio della azione penale. Quello che è pacifico è che abrogare quel reato è stata una scelta obbligata di civiltà giuridica, richiesta trasversalmente dagli amministratori di tutte le forze politiche, e rappresenta per noi un traguardo conseguito con assoluta volontà politica.

A proposito dell'abuso di ufficio, la consigliera laica del Csm Natoli al momento non si è ancora dimessa.

Le dimissioni attengono, per definizione, a valutazioni di ordine personale. Vi sono procedure di natura anche disciplinare in corso che, nelle forme del contraddittorio, avranno inevitabilmente il loro esito: non dobbiamo quindi compiere l'errore di sostituirci a organismi di garanzia sulla base di valutazioni di ordine personale.

 Però il Colle ha fatto intendere nei suoi incontri con il vice presidente del Csm che dovrebbe dimettersi e anche la Meloni non ha smentito che sarebbe d’accordo.

Che vi sia in atto una moral suasion del Colle è tutto da verificare, né si è estrinsecata con atti formali o altro. Anche in questo caso ci sono delle procedure a garanzia dell'organismo collegiale, e del singolo membro laico appartenente al Csm, che devono essere rispettate: l'errore che non dobbiamo compiere è elaborare suggestioni che portino a valutazioni affrettate sulla base di informazioni parziali. In questo momento la dottoressa Natoli ha tutta la possibilità di porre argomenti a difesa sua e dell'integrità del suo ruolo, se poi personalmente ritenesse di accedere alla scelta delle dimissioni, sarebbe una valutazione di ordine individuale. Non mi sembra corretto che sulla base di un esposto, che è chiaramente un esposto di parte, si debba giungere alla conclusione più semplice e più immediata, che non sempre è la più corretta.

Sul decreto carceri, secondo alcuni calcoli non si andrà minimamente ad incidere sul sovraffollamento.

Vi è un errore di impostazione nel ritenere che il decreto carceri fosse finalizzato a combattere il drammatico tema del sovraffollamento: è nato invece come un provvedimento strutturale che vuole in primo luogo ristabilire condizioni di piena sicurezza all'interno delle carceri, che è il prerequisito anche di ogni percorso trattamentale all'interno degli istituti penitenziari: di qui, un piano straordinario di assunzioni di personale di polizia penitenziaria, imponenti stanziamenti per l’edilizia penitenziaria,  e la saturazione delle piante organiche delle figure complementari come psicologi, educatori e mediatori culturali. Il sovraffollamento delle carceri, che è oggetto della nostra attenzione, potrà essere progressivamente risolto attraverso tre linee di intervento, che sono quelle che hanno portato le nostre carceri, nel tempo,  ad essere discariche sociali. Evitare ogni abuso della custodia cautelare, estendere il ricorso alle comunità esterne per i tossicodipendenti, far espiare la pena ai detenuti extracomunitari nei paesi di origine. Solo incidendo su questi tre ambiti, potremo risolvere il problema in via strutturale e definitiva.

Ma i dati ci dicono che oggi che in alcuni istituti il sovraffollamento è al 150% e i suicidi aumento. Alcuni fondi stanziati 8 anni ancora non sono stati utilizzati.

La soluzione non è, e non può essere, rimettere in libertà soggetti che siano stati condannati con pena definitiva. La nostra storia recente insegna che liberazione anticipata speciale, amnistie ed indulti non sono in grado di risolvere il problema a lungo termine, ed al contrario erodono la certezza della pena, sviliscono l’autorità dello Stato ed incrinano la sicurezza sociale. Il compito della politica è invece quello di affrontare i problemi individuando soluzioni strutturali, ed è esattamente quanto stiamo facendo.

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