La Giustizia è donna

 di Valentina Stella Il Dubbio 8 marzo 2021

Sebbene la giustizia sia simbolicamente donna  - Temi, moglie di Zeus, simboleggiava l’ordine e il diritto, sua figlia Dike, la Iustitia romana, simboleggiava la giustizia - le donne hanno dovuto attendere molto prima di poter diventare avvocate o magistrate. Retaggi culturali profondi ne hanno impedito l'affermazione nei settori dominati dagli uomini. A titolo di esempio, ecco alcune motivazioni con cui la Corte d’Appello di Torino l'11 novembre 1883 annullò l’iscrizione all’Albo degli Avvocati e Procuratori di  Lidia Poët, laureata in Giurisprudenza nel 1881: «risulta evidente esser stato sempre nel concetto del legislatore che l’avvocheria fosse un ufficio esercibile soltanto da maschi e nel quale non dovevano punto immischiarsi le femmine […]. Vale oggi ugualmente come allora valeva, imperocché oggi del pari sarebbe disdicevole e brutto veder le donne discendere nella forense palestra, agitarsi in mezzo allo strepito dei pubblici giudizi, […]non occorre neppure far cenno del pericolo gravissimo a cui rimarrebbe esposta la magistratura di essere fatta più che mai segno agli strali del sospetto e della calunnia ogni qual volta la bilancia della giustizia piegasse in favore della parte per la quale ha perorato un’avvocatessa leggiadra». Sono passati  138 anni da allora e oggi, come mostrano anche recenti statistiche, le donne costituiscono il 50% di tutta la categoria degli avvocati in Italia. Non solo: al momento al vertice del Cnf, massima istituzione forense, c'è una donna, la prima a ricoprire questo ruolo: l'avvocato Maria Masi. Così come nel 2019 al vertice dell'Avvocatura generale dello Stato è stata nominata sempre per la prima volta una donna, Gabriella Sandulli Palmieri. Un accorato appello contro l’ammissione della donna alle funzioni giudiziarie apparve in un libro del 1957, edito da Giuffrè, dell'alto magistrato Eutimio Ranelletti, dal titolo «La donna-giudice, ovverosia la Grazia contro la Giustizia», come ricordò, proprio in concomitanza della Festa della Donna, il professor Giuseppe Di Federico in un suo articolo sul Messaggero del 2010: l'inferiorità della donna rispetto all’uomo era a dire di Ranelletti «ben conosciuta dai professori universitari in quanto “la donna studentessa della Facoltà di Giurisprudenza ripete quasi sempre a memoria, incapace di penetrare l’essenza della norma, o dell’istituto giuridico su cui è interrogata”». Donatella Stasio, attuale Responsabile della Comunicazione della Corte Costituzionale, nella sua postfazione al libro «Diario di una giudice - I miei cinquant'anni in magistratura» scritto da Gabriella Luccioli, ricorda come «per decenni gli uomini hanno rivendicato a sé la razionalità, come dote tipicamente maschile estranea all'universo femminile. Basta rileggere alcuni interventi all'Assemblea costituente proprio nel dibattito sulla possibilità di aprire alle donne l'accesso in magistratura. "La ragione della diffidenza diffusa di fronte ad una donna giudicante sta nella prevalenza che nelle donne ha il sentimento sul raziocinio, mentre nella risoluzione delle controversie deve prevalere il raziocinio sul sentimento", spiegò il democristiano Giuseppe Cappi. "La donna è la regina della casa e se si allontana dal focolare domestico la famiglia si sgretola", sentenziò tra gli applausi Antonio Romano, magistrato eletto nelle file della DC. [...] Stereotipi ai quali non si sottrasse neppure l'opposizione, nonostante la diversa posizione. "La magistratura disdegna che un gentile sorriso venga a rompere l'austerità e la grinta di certi magistrati. L'uomo si umanizza vicino alla donna" fu l'argomento 'forte' del socialista Giacomo Mancini».  Proprio Gabriella Luccioli è stata una delle prime donne in Italia ad avere accesso all'attività giurisdizionale: entrò in magistratura nel 1965 fino a dirigere la prima sezione civile della Corte di Cassazione. Questo fu possibile perché il 9 febbraio 1963 il Parlamento approvò la legge n. 66 che sancì l’ammissione della donna ai pubblici uffici ed alle libere professioni. Tre anni prima la Corte costituzionale aveva dichiarato parzialmente illegittimo l'articolo 7 della legge 1176 del 1919 nella parte in cui escludeva le donne da tutti gli uffici pubblici che implicavano l'esercizio di diritti e di potestà politiche. Dopo quasi sessant'anni da questi accadimenti, oggi le donne sono in maggioranza in magistratura -  5.308 su un organico di 9.787 toghe -  e ricoprono ruoli importantissimi. Nel 2020 una donna, per la prima volta nella storia della Cassazione, è arrivata a conquistare il ruolo di presidente aggiunto: si tratta di Margherita Cassano,  attualmente il secondo magistrato d’Italia, dopo Pietro Curzio. Un ruolo importante lo riveste anche Maria Antonia Vertaldi, presidente del Tribunale di Sorveglianza di Roma, l'unico in Italia a decidere in materia di reclami sulle applicazioni e proroghe del 41 bis. Non è un magistrato, ma è stata la prima donna a divenire Presidente della Corte Costituzionale: è la professoressa Marta Cartabia, attuale ministro della Giustizia.

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