Brusca è cosa loro

 di Angela Stella Il Riformista 27 marzo 2021


«Non è accettabile che le dichiarazioni dei pentiti siano utilizzate solo quando sono funzionali alle tesi accusatorie, mentre siano ostacolate quando potrebbero servire per esigenze difensive»: a parlare è l'avvocato Michele Capano, membro del Consiglio Generale del Partito Radicale, e difensore di Stefano Genco, condannato in via definitiva nel 2000 per concorso esterno in associazione mafiosa a 4 anni di reclusione. L'avvocato Capano, nell'ambito dell’ attività propedeutica al deposito di un’istanza di revisione della condanna, il 17 settembre 2020 ha chiesto di escutere il collaboratore di giustizia Giovanni Brusca, detenuto al momento nel carcere romano di Rebibbia. Il 28 settembre il magistrato di sorveglianza di Roma autorizzava il legale a sentire Brusca, per poi precisare che la modalità per lo svolgimento del colloquio con Brusca sarebbe dovuta avvenire in video collegamento, secondo le indicazioni dettate dal Servizio Centrale di Protezione, che fa capo al Ministero dell'Interno. «Da quel momento, nonostante il sollecito dello stesso Magistrato di sorveglianza al Servizio Centrale di Protezione ed al carcere di Rebibbia, non ci è stato consentito di effettuare l’investigazione difensiva. A sei mesi di distanza dall’ autorizzazione - prosegue Capano -  dobbiamo prendere atto della condotta eversiva di importanti articolazioni dello Stato, che si ostinano ad ignorare il disposto di un provvedimento giurisdizionale, come un qualunque latitante. Ben due Ministeri  - Giustizia per il carcere  e Interni per il Servizio Centrale – si fanno beffe della  decisione di un Magistrato di Sorveglianza, alla faccia della divisione dei poteri. Mi chiedo, sempre alla faccia della divisione dei poteri, da chi queste articolazioni del potere esecutivo prendano effettivamente ordini. Mentre la Direzione Nazionale Antimafia interviene “a monte” della procedura, rilasciando un parere che viene richiesto dal magistrato prima di autorizzare, tali articolazioni del potere esecutivo, “a valle”, aspettano il definitivo benestare della stessa Direzione Nazionale Antimafia, al di fuori di ogni norma. Mi chiedo, ed ho chiesto nei giorni scorsi al Ministro della Giustizia Marta Cartabia ed al Ministro dell’ Interno Luciana Lamorgese inviando loro una nota, se viviamo in un Paese nel quale le Istituzioni siano libere di non rispettare provvedimenti giudiziari o se sia possibile pretendere la concreta vita dello Stato di Diritto». Tale condotta, secondo Capano, lede il diritto di difesa del suo assistito: l'istanza di revisione serve infatti a sottoporre al vaglio di alcuni magistrati acquisizioni utili ad evidenziare un possibile errore commesso ai danni del Genco dai giudici dell'epoca, avvalendosi anche del contributo di verità che potrebbe fornire Giovanni Brusca. «Brusca, a quanto pare, invece  è “Cosa Loro”: neanche a venticinque anni di distanza dall’ inizio della sua collaborazione, quando hanno avuto ogni agio nel chiedere ed ottenere dal collaboratore tutte le informazioni di cui avevano bisogno, si consente ad un difensore di valersi di quella fonte di prova per un contributo di verità. È un’esperienza, l’ ennesima, che induce a riflettere sul reale “stato” della possibilità del difensore di fiducia di svolgere attività investigativa a beneficio del proprio cliente, secondo la disciplina che la legge 397 del 2000 inserì nel corpo del nuovo codice del 1988». Alla prova dei fatti, una volta di più, «si rivela l’ ipocrisia di apparenti “poteri difensivi” che necessiterebbero – per rendersi concreti – della collaborazione di quelle stesse Procure che hanno interesse contrario alle investigazioni stesse: è un sistema che non funziona. Ci vuole un’Autority per queste investigazioni: un soggetto terzo che garantisca la difesa in evenienza di questo genere: lo dico e propongo all’Unione delle Camere Penali. Proprio nel corso del lavoro per quest’istanza di revisione, mi sono imbattuto in una chiusura assoluta (priva di tutela giurisdizionale rispetto ai dinieghi) a richieste documentali da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, cioè di quella Procura i cui errori secondo la prospettazione difensiva -  noi vorremmo sottolineare attraverso la revisione». In conclusione, ci dice Capano: «voglio pensare che contributi utili all'accertamento della verità abbiano un valore anche quando propiziati da esigenze difensive tese a pronunce assolutorie, oltre che quando necessitati da ragioni accusatorie tese all'individuazione di reati. Questo vorrebbero il codice di procedura penale ed il Magistrato di Sorveglianza di Roma che ci coraggiosamente autorizzato, questo non vogliono “altrove”. Mi auguro che l’alto intervento delle Ministre cui mi sono rivolto possa risolvere questa situazione incancrenita».  


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