Non chiudere caso di Via Poma
Valentina Stella dubbio 27 dicembre 2024
Il 7 agosto
1990 la giovane Simonetta Cesaroni veniva uccisa in un appartamento al terzo
piano del complesso di via Carlo Poma n. 2 a Roma, nella sede dell’Aiag (Associazione
italiani alberghi della gioventù). Il
caso rimane ancora irrisolto. Oltre trent’anni sono trascorsi da quel giorno:
diverse piste, nessun colpevole, un mistero italiano forse secondo solo a
quello del mostro di Firenze. Ma qualche giorno fa il giudice per le indagini
preliminari del Tribunale di Roma, Giulia Arcieri, ha respinto la richiesta di
archiviazione avanzata a novembre 2023 da Gianfederica Dito, ora procuratore
capo ad Arezzo. Ad opporsi alla chiusura del caso la sorella di Simonetta,
Paola, assistita dall’avvocato Federica Mondani. “Si ritiene congruo, stante la
complessità della vicenda, indicare allo stato, in termine di sei mesi per
la prosecuzione delle indagini”, scrive la gip al termine dell’ordinanza. Cinquantacinque
pagine in cui la magistrata chiede di approfondire delle piste, le elenca, fa i
nomi di persone su cui l’attenzione degli investigatori non si è concentrata
abbastanza, alcune addirittura decedute, critica le indagini, ipotizza
depistaggi dei servizi segreti. In quelle carte c’è l’assassino? C’è davvero
una strada da seguire? Non spetta al gip dirlo, ma alla Procura che ora dovrà
risentire ben 29 persone e fare ulteriori accertamenti. Ma davvero questo
piccolo lasso di tempo potrà servire a risolvere un delitto che è rimasto senza
colpevole da 34 anni? Da allora furono indagati il portiere dello stabile Pietrino
Vanacore, suo figlio Mario, la moglie Giuseppa, Salvatore Sibilia, ispettore
dell’Aiag e sua sorella Maria Luisa, l’ex direttore dell’Aiag Corrado Carboni
(posizioni archiviate nel 1991), nonché Federico Valle, nipote dell'architetto
Cesare Valle, che abitava nel palazzo del quartiere Prati, prosciolto da un gup
nel 1993; l’ex fidanzato della giovane, Raniero Busco, fu condannato in primo
grado nel 2011 e assolto in via definitiva nel 2014. Adesso si vorrebbe
riaprire la partita, dopo l’esposto della famiglia della vittima ed altri
pervenuti in Procura, anche in forma anonima. La premessa è che secondo la gip “appaiono
davvero tanti gli ‘errori’ investigativi”, definiti “macroscopici ed
imperdonabili”. Ne elenca 15: prima del dissequestro, gli inquirenti hanno
consentito a Francesco Caracciolo di Sarno, all’epoca Presidente dell’Aiag, e
alla responsabile amministrativa Anita Baldi, di entrare nell’appartamento e
portare via molteplici documenti; “appare sorprendente” che una “poliziotta si
sarebbe dilettata a disegnare una margherita e a scrivere la misteriosa
dicitura (CE DEAD: si è interpretato che CE starebbe per Cesaroni, mentre DEAD
in inglese significa morta/morto), poi gettando il relativo biglietto nel
cestino della stanza dove giaceva il cadavere, così inquinando la scena del
crimine; “altrettanto sorprendente” appare che un ispettore di polizia, al
momento del primo intervento, rinvenendo nella borsa della vittima la prescrizione
della pillola anticoncezionale abbia
usato quel foglio per appuntare i numeri di telefono di un collega della
vittima da interrogare; lo stesso ispettore fece una relazione in cui indicò in
maniera errata i dati di un’automobile di un giovane visto intorno all’ora dell’omicidio
nello stabile, appellato come ‘Mister X’; gli inquirenti non acquisirono i ‘fogli
firma’ dei dipendenti né i tabulati telefonici delle utenze dell’ufficio; non venne
repertato un pelo pubico trovato sulla mano di Simonetta, durante il sopralluogo
alcuni oggetti vennero spostati, altri sparirono, nessuno si accorse che l’agendina
rossa con la scritta Lavazza non appartenesse alla vittima ma a qualcuno della
famiglia Vanacore, non venne repertato il sangue sulla scena del crimine, né
sequestrato lo straccio da pavimento bagnato presente nello sgabuzzino, usato,
proprio secondo gli inquirenti, per la pulitura del sangue della vittima. Secondo
la gip questi errori non possono essere “frutto solo di scarsa diligenza o di mancata
conoscenza (come è stato sostenuto), all’epoca, di adeguata cultura
investigativa, anche in relazione all’alto profilo professionale di almeno
taluni soggetti che si occuparono delle indagini”. E allora tutto questo “rende
plausibile il sospetto che l’indagine sia stata inquinata da ‘poteri forti’”
per proteggere interessi o soggetti dei servizi segreti. Ma a quale scopo non è
dato sapersi. Comunque “non va sottovalutato il collegamento a personaggi di
potere - e contesti di potere quali i
servizi segreti – di molti protagonisti della vicenda collegati all’Aiag”. Il
giornalista e criminologo Carmelo Lavorino nel testo ‘Via Poma Inganno
Strutturale tre’ “ha indicato al riguardo come: “il direttore nazionale dell’Aiga
nel 1989 era Di Cesare Vito, cognato del prefetto Mapica Riccardo, allora
direttore del Sisde”; “la polizia chiese la collaborazione nelle indagini dello
psichiatra del Sisde, Bruno Francesco, che nella fase iniziale delle indagini
sposò la tesi della colpevolezza del portiere Vanacore”; “Voeller Roland, il ‘supertestimone’
che portò ad indagare Valle Federico aveva collegamenti con i servizi segreti”;
“tra i primi inquirenti ad intervenire sul luogo del delitto ci fu Costa Sergio,
funzionario del Sisde (dal 1982 al 1996; dal 30 11 1990 distaccato presso la
questura di Roma) e genero del Capo della polizia dell’epoca, Parisi Vincenzo”.
Tuttavia, ricorda la gip, “lo stesso Costa rilasciò interviste al riguardo
riferendo che sarebbe stata del tutto normale la sua presenza sul posto,
accompagnando l’ispettore Pitzalis Gianni (suo collega al Cot, centro operativo
territoriale), in quanto era di turno quando arrivò la richiesta di intervento
per il ritrovamento del cadavere di Simonetta”. Poi il gip cita un’altra
circostanza anomala, ma emersa già negli anni, che riguarda Pietrino Vanacore,
come raccontata in un articolo del giornalista Emilio Radice, che ha riferito
di essere stato avvicinato da un magistrato dell’epoca, Giuseppe Pizzuti, che
gli avrebbe confidato che la custodia cautelare di Vanacore era stata “protratta
il più a lungo possibile su espressa richiesta del capo dell’ufficio istruzione
dell’epoca, Cudillo Ernesto”, il quale avrebbe a sua volta subìto pressioni
dall’alto. E poi si legge ancora: “Nei lunghi 30 anni la polizia non ha mai
messo in dubbio la figura del Caracciolo di Sarno, con i conseguenti effetti
tranquillizzanti su chi poteva nutrire dubbi”. Ma chi è Francesco Caracciolo di
Sarno? Avvocato, presidente dell’Aiag, ormai deceduto. Tuttavia su di lui si
posa l’ombra di parecchi sospetti: diverse testimonianze, poi alcune
ritrattate, sostenevano che l’uomo il giorno del delitto rientrò a casa “trafelato”,
“abbastanza scosso”, con “un pacco mal avvolto”, come riportato in un appunto
del 1992 della Questura di Roma fornito in fase di escussione dal giornalista
Igor Patruno, tra i massimi esperti del caso. Nell’appunto si riporta che “sarebbe
noto tra gli amici per la dubbia moralità e le reiterate molestie arrecate a
giovani ragazze”. Lui all’epoca dichiarò che all’ora del delitto stava
accompagnando la figlia e due amiche all’aeroporto di Fiumicino. I carabinieri
che hanno indagato recentemente hanno evidenziato però che “i quattro
dichiaranti non resero dichiarazioni altrettanto concordi”. “Tali discrasie”
porterebbero all’ipotesi “di un alibi falso”. In più “quale soggetto quantomeno
sicuro di sé e volitivo, se non prepotente e arrogante, e che si avvaleva di
amicizie importanti, quindi potente” rende il suo profilo “compatibile con
quello di chi abbia potuto manipolare, influenzare, esercitare pressioni sulla
ricostruzione della verità”, come descritto da più fonti. Dato questo complesso puzzle, la gip appunto
ha invitato la procura a risentire 29 persone, tra cui Sergio Costa (che non è
il vice presidente della Camera) e anche Mario Vanacore; per alcune ha
specificato che “eventuali condotte di falsa testimonianza e/o di favoreggiamento
commesse in passato sono prescritte e non attualmente punibili”. Dunque “un
invito a dire la verità, richiamando il loro senso civico e la necessità di
rendere giustizia alla vittima e ai familiari ancora in vita”. Tra queste la
figlia di Caracciolo di Sarno, la vedova Vanacore, Anita Baldi. Oltre a questa
attività, non essendo più possibile effettuare analisi sul sangue, bisognerà
consultare un esperto per riesaminare tutte le perizie e un altro per ulteriori
accertamenti di tipo genetico sugli indumenti di Simonetta. Per l’avvocato Claudio
Strata, che assiste Mario Vanacore, “sicuramente c’è molta amarezza
e molto stupore nella famiglia Vanacore nel leggere che si deve ancora indagare
nell’ambito della stessa famiglia Vanacore dopo tutti questi anni, dopo tutto
quello che è già stato investigato su di loro”. Precisa poi che “non esiste la
lettera di cui si legge nell’ordinanza che sarebbe stata scritta da Pietrino
Vanacore in cui direbbe di essere stato costretto a mentire perché ricattato da
funzionari della polizia di Stato. Se la giornalista Raffaella Fanelli l’avessa
avuta l’avrebbe consegnata alle autorità e ne avrebbe scritto”. Per l’onorevole
del Partito Democratico, Roberto Morassut, “l’ordinanza del gip conferma
la fondatezza di alcuni elementi già presenti nelle indagini (e che erano stati
ignorati) e di nuovi elementi nel frattempo emersi per individuare i
responsabili del delitto e dei retroscena che allargano il quadro a vicende più
complesse. Del resto avevo avanzato la proposta di istituire una commissione parlamentare
di indagine sul caso nella convinzione che non siano mai stati davanti solo ad
un delitto, ma ad un delitto che si incastona in uno scenario che ha caratteri
storico-politici più generali. La commissione è ferma in Commissione giustizia.
Ed è stata fermata proprio nella errata valutazione che non si tratti di un
delitto di Stato. Valutazione superficiale”. Insomma la matassa da sbrogliare è
davvero complessa: la speranza è si giunga ad individuare un colpevole ma l’impresa
appare davvero ardua dopo tanti anni. Una bella sfida per la Procura di Roma e
per i suoi investigatori che dopo anni di buchi nell’acqua potrebbero
riscattarsi.
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