Niente indennizzo per ingiusta detenzione: lavorava per Carminati
Valentina Stella Dubbio 13 dicembre 2024
Due anni e otto mesi in carcere da innocente ma per i giudici non deve essere risarcito dallo Stato italiano. È quanto successo ad Agostino Gaglianone, detto Maurizio, finito nell’inchiesta di (fu) Mafia Capitale. L’accusa principale era quella di associazione mafiosa: condannato in primo e secondo grado, la Cassazione poi lo aveva assolto pure dall’accusa di associazione semplice in via definitiva, annullando senza rinvio la sentenza di secondo grado. Nelle motivazioni di Piazza Cavour si legge che "nulla, difatti, dimostra che il ricorrente avesse consapevolezza reale delle metodiche corruttive per partecipare a quelle gare per cui tale metodo è stato accertato o per le turbative e che in qualche modo abbia contribuito al programma associativo per tali reati poiché, per quanto accertato dai giudici di merito, si è limitato a rapporti leciti con il dato soggetto economico". L’uomo, un piccolo imprenditore di Sacrofano, è stato anche assolto dalla Corte di Appello dall’accusa di intestazione fittizia e frode fiscale. In pratica secondo la Procura di Roma Gaglianone era colluso con Massimo Carminati e tra l’altro avrebbe gestito i soldi in nero della compravendita della villa della convivente dell’ex Nar. Ma non era vero nulla. Come ci racconta il suo legale, l’avvocato Valerio Spigarelli, "il mio assistito è stato assolto da tutte le accuse non emergendo non dico una prova ma neppure un minimo indizio di partecipazione o di qualche contributo al programma associativo. È stato poi assolto per quelli che erano sati ritenuti reati satellite, addirittura con la formula piena del 'fatto non sussiste'". Non solo, continua ancora l’avvocato: "gli erano state applicate le misure di prevenzione ma poi, come non succede quasi mai, gli sono state revocate perché contro di lui non c’era nulla, neppure l’ombra di un sospetto che non conducesse una vita onesta". Eppure niente indennizzo per l’ingiusta detenzione: "Gaglianone ha ricevuto un vero e proprio schiaffo in faccia dallo Stato italiano. Questo è uno scandalo" prosegue Spigarelli "perché i giudici della riparazione l’hanno negata in maniera contraddittoria. Quelli della Corte di Appello addirittura sostenendo che fosse un associato, il che, come visto, non era vero. Nel 2019 lo aveva stabilito la Cassazione, che aveva bollato le sentenze di merito sostenendo, per l’appunto, che non sussistevano indizi a suo carico. La sentenza era tranciante, tanto da ritenere superflui eventuali giudizi di rinvio. Chiamata a valutare il rigetto della richiesta di riparazione, la Cassazione, nel 2024, ha contradetto se stessa. Ed infatti ha respinto la richiesta, pur riconoscendo l’errore della Corte di Appello sulla associazione ma sostenendo che, comunque, Gaglianone non deve prendere un euro perché 'frequentava' certi ambienti malavitosi e quindi è come se un po’ se la fosse andata a cercare l’implicazione nell’inchiesta e la carcerazione. Eppure quando Gaglianone ha iniziato ad avere rapporti di lavoro con Buzzi e Carminati i due avevano già pagato il proprio debito verso la società: Carminati era un cittadino libero che aveva finito di scontare la pena e il periodo di affidamento ai servizi sociali; mentre Buzzi era indicato pubblicamente come esempio di emenda e reinserimento, visto che era un imprenditore stimato e riverito". In questa vicenda, per l’avvocato Spigarelli, si dimostra ancora una volta la necessità della separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e requirenti: "se fosse in vigore noi avremo dei giudici che, in situazioni di questo genere, non fanno gli interessi dello Stato ma quelli del cittadino incarcerato ingiustamente". Spiega Spigarelli: " finché noi avremo una giurisdizione che si sente investita del compito di tutelare, anche dal punto di vista economico, lo Stato, pure quando ha torto marcio, come in questo caso, e quindi interpreta le norme in maniera tale da giustificare una bruttura di questo genere non avremo giudici realmente terzi. Un povero disgraziato come Gaglianone che ha visto la sua vita personale e professionale distrutta, ha visto minata la sua salute - è stato anche colpito da un infarto - è stato rovinato economicamente con le sue società liquidate dopo il sequestro, aveva diritto alle scuse dello Stato; ma per lui, come per tanti altri, la giurisprudenza vigente dilata il concetto di colpa dell’accusato per negare l’indennizzo. Ma questo è l’ennesimo dei paradossi della giurisprudenza in questo campo.” “C'era un periodo, oggi superato – racconta ancora Spigarelli - in cui, quando poveri Cristi, poi dichiarati innocenti, come Gaglianone, si avvalevano della facoltà di non rispondere all’interrogatorio di garanzia, veniva loro sempre negata la riparazione. La giurisprudenza, infatti, sosteneva che avvalendosi di quella facoltà riconosciuta dal codice gli arrestati contribuissero colposamente all’errore di chi li aveva sbattuti in prigione erroneamente. Era un giurisprudenza surreale perché riguardava casi in cui magari ti notificavano un'ordinanza di custodia cautelare di migliaia di pagine, contestualmente depositando decine di faldoni relativi ad intercettazioni andate avanti svariati anni, e ovviamente il tuo avvocato ti consigliava di fare così per poter leggere le carte e quindi difenderti per bene; cosa che non poteva certo avvenire nell'interrogatorio di garanzia che si svolgeva il giorno dopo l’arresto. Poi venivi assolto ma per la giurisprudenza non dovevi essere risarcito perché ti eri avvalso della facoltà di non rispondere, ti eri avvalso di un diritto. Pazzesco. Ora questo è stato superato ma si trovano mille altri modi per negare il risarcimento. È ora che la normativa cambi impedendo il dilagare di una giurisprudenza di questo tipo.” Spigarelli conclude con una riflessione più ampia: "in questi giorni si celebra il decennale di Mafia Capitale, ho letto interviste di Procuratori come Tescaroli che parlano del successo dell’inchiesta. Tuttavia, Mafia Capitale è stata una sconfitta clamorosa della procura della Repubblica di Roma e della legalità processuale per alcune posizioni, come quella di Gaglianone. Prima hanno suonato le trombe dicendo che era un'indagine epocale perché si scopriva la “mafia romana”. Dopodiché hanno detto “vabbè, la Mafia non c’era ma comunque abbiamo avuto ragione perché abbiamo scoperto una banda di corruttori. Hanno scoperto che c’era la corruzione a Roma, complimenti: ma che scoperta epocale sarebbe?”
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