Meloni: prudenza su legge bavaglio

 Valentina Stella dubbio 6 dicembre 2024

Il condizionale è d’obbligo perché la questione è delicata ma, salvo cambiamenti dell’ultima ora, la norma che vieta la pubblicazione dell’ordinanza di custodia cautelare sarà sul tavolo del Consiglio dei Ministri il prossimo lunedì 9 dicembre. Stiamo parlando dello “Schema di decreto legislativo riguardante la presunzione di innocenza e il diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali”. Fortemente voluto dal deputato di Forza Italia, Enrico Costa, è volto a garantire una più precisa e completa conformità del nostro ordinamento alla direttiva europea appunto relativa alla presunzione di innocenza. Definita “legge bavaglio”, in realtà, come sottolineato anche dall’Anm, non può dirsi tale in quanto non si vieta di pubblicare per riassunto ma di pubblicare testualmente l'ordinanza. La norma è stata approvata in via preliminare il 4 settembre scorso, per essere trasmessa poi alle Commissioni giustizia di Camera e Senato per i pareri non vincolanti. Si tratta di un provvedimento condiviso e a cui stanno lavorando in queste ultime ore sia gli uffici di Via Arenula che quelli di Palazzo Chigi. Essendo invisa particolarmente alla stampa, prima ancora che alla magistratura, la premier Giorgia Meloni sta seguendo in prima persona il dossier, insieme al Guardasigilli, al vice ministro alla giustizia Francesco Paolo Sisto e al sottosegretario Delmastro Delle Vedove.  Nella mattinata di ieri era circolata l’ipotesi di un incontro tra il Ministro della Giustizia e la presidente del Consiglio proprio per discutere ancora di più nel dettaglio del possibile inserimento del provvedimento nel Consiglio dei ministri di lunedì, considerato che all’ordine del giorno del pre-consiglio che si è svolto ieri pomeriggio non era presente.  I due poi non si sono incontrati: agende piene e Nordio è partito dopo il question time al Senato. Comunque l’obiettivo è quello di scongiurare, dopo una tregua con le toghe, una battaglia con le associazioni di categoria della stampa, unita nello stigmatizzare le previsioni legislative. Il termine di esercizio della delega è fissato al 10 dicembre 2024 ma anche se si andasse oltre non ci sarebbe problema. E questa opportunità quindi, in teoria, lascerebbe margini di manovra più ampi al Governo per scegliere eventualmente anche di posticipare l’approvazione in un momento politico più favorevole. Adesso in cui l’indice di gradimento del Governo secondo i sondaggi è in calo non sarebbe affatto utile avere tutti i giornalisti contro. Sta di fatto che il Governo è pronto ad accogliere i suggerimenti dati dalle Commissioni parlamentari che, dopo una serie di audizioni di esperti, hanno invitato l’Esecutivo a due integrazioni. La prima: estendere tale divieto «a tutte le misure cautelari personali, ovvero ad altri analoghi provvedimenti che, eventualmente, possono essere emessi nel procedimento cautelare, ovvero comunque a quei provvedimenti che, nella loro funzione, comportino una valutazione circa la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e la cui pubblicazione, dunque, produca analoghi effetti sovrapponibili a quelli della sola ordinanza di custodia cautelare». La seconda: escludendo il carcere per chi viola la norma, e «ferma restando altresì l'esclusione di sanzioni detentive a carico del contravventore», il complessivo sistema sanzionatorio «andrebbe comunque ripensato di modo da conferire effettività al divieto, e costituire un ragionevole argine alla sistematica violazione del medesimo: tanto alla luce della sperimentata ineffettività della attuale sanzione che presidia la violazione del divieto di pubblicazione, dettata dalla fattispecie contravvenzionale delineata dall'articolo 684 del codice penale (che si risolve nella possibilità di estinguere il reato attraverso l'oblazione con il versamento di una somma irrisoria) o dell'illecito disciplinare, raramente perseguito, previsto dall'articolo 115 del codice di procedura penale a carico degli impiegati dello Stato o di persone esercenti una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato». La direzione sarebbe quella di colpire gli editori e non i giornalisti. Queste erano in pratica anche le richieste di modifica presentate dall’Unione Camere Penali durante le audizioni a Palazzo Madama e Montecitorio. Come aveva sottolineato pure il professore Oliviero Mazza «la pubblicazione arbitraria dell’atto processuale fa guadagnare gli editori e la sanzione deve proprio incidere su questo profilo, secondo l’ormai consolidato principio per cui il “crimine non paga”. Bisogna togliere l’interesse economico alle pubblicazioni scandalistiche che ledono la presunzione d’innocenza». La questione sanzionatoria resta il principale nodo da sciogliere per il Governo. Due sono gli elementi su cui ancora ragionare: prevedere un sistema sanzionatorio in questo provvedimento correttivo in tal senso andrebbe oltre i limiti della delega e quindi andrebbe inserito in altro provvedimento riguardante la giustizia? Qualora così non fosse, che somma prevedere? Non una da mezzo milione, che potrebbe mettere seriamente a rischio le finanze di un giornale, come richiesto dal sottosegretario Delmastro delle vedove.

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