Omicidio Vannini, la difesa dei Ciontoli: dimenticato il concetto di giusto processo

 di Valentina Stella Il Dubbio 1 dicembre 2020

Sono state rese note le motivazioni con cui la Corte di Appello di Roma il 30 settembre scorso ha condannato Antonio Ciontoli a 14 anni di reclusione per omicidio volontario con dolo eventuale e a 9 anni e 4 mesi sua moglie Maria Pezzillo e i figli Federico e Martina, per concorso anomalo nell'omicidio omicidio volontario di Marco Vannini. Il deposito è del 29 ottobre: dunque i giudici hanno impiegato meno di un mese per scrivere 86 pagine relativamente ad una vicenda -  sia in fatto che in diritto  - molto complessa. Non è che, come aveva detto la difesa, «questa sentenza è già stata scritta»? Comunque vediamo i punti salienti della motivazione dell'appello bis. Innanzitutto, secondo il giudici, i Ciontoli sarebbero stati avvantaggiati «dalla lacunosità delle prime indagini, [...] dal mancato sequestro del luogo ove era stato commesso il delitto». Tuttavia, la posizione del pm D'Amore che ha coordinato le indagini, su cui il Ministro Bonafede aveva richiesto accertamenti proprio per questo, è stata archiviata dal Csm. Ma andiamo avanti: Martina, la fidanzata della vittima, viene collocata all'interno del bagno mentre il padre spara accidentalmente al fidanzato, a causa dell'intercettazione ambientale in cui dice «Io ho visto lui quando papà gli ha puntato la pistola». Lei aveva sempre negato di essere presente e di aver raccontato cosa le aveva descritto il padre. Inoltre i giudici descrivono come «inverosimili» le spiegazioni fornite dalla famiglia Ciontoli in più occasioni; i loro atteggiamenti «in taluni momenti rasentano una vera e propria crudeltà nei confronti di un ragazzo ferito»; hanno messo altresì in atto «depistamenti (pulizia della pistola e del bossolo, pulitura delle tracce di sangue)», e poi «ripetute menzogne rivolte per circa 110 minuti ai soccorritori»In sintesi «la scelta di un comportamento di un certo tipo fu del capo famiglia al quale tutti aderirono consapevolmente pur non potendosi non rendere conto delle conseguenze che avrebbe avuto lo stesso, accettandone il rischio e le conseguenze». Gli avvocati della famiglia Ciontoli, Andrea Miroli e Pietro Messina, commentano così: «le motivazioni risultano affette da conclamate illogicità ed erroneità, che giungono ad adattare i dati probatori a convinzioni preconcette estranee al patrimonio istruttorio offerto dal processo. Il sostenere che gli imputati avrebbero pulito l’abitazione, il bossolo e la pistola, costituiscono, tra le molte altre incongruenze presenti in sentenza, congetture prive di concreti appigli istruttori, che saranno senz’altro oggetto di ferma censura nel prossimo ricorso per Cassazione. Leggiamo anche le dichiarazioni del difensore di Parte Civile, Avv. Celestino Gnazi, il quale, nel fungere da “cassa di risonanza” delle motivazioni d’appello, e strizzando l’occhio al popolo dei social, è giunto perfino a riferire, tra l’altro, la propria legittima convinzione sul fatto che il prossimo processo di Cassazione saprà rendere la migliore “giustizia umanamente possibile”. Quasi ad intendere che un eventuale giudizio favorevole agli imputati possa ritenersi cosa impensabile e ben lontana dalla “giustizia” attesa. Ebbene, non sappiamo quale sia l’effettiva concezione che il Collega possiede del termine “giustizia”, ma memori degli studi passati, siamo abbastanza certi che quella che conosciamo noi e che ritroviamo peraltro accolta nel sistema costituzionale del giusto processo, non è la stessa a cui il medesimo sembra alludere, più confacente, piuttosto, al “senso” di giustizia, di chiara matrice morale ed etica». Sicuramente si tratta di una vicenda che continuerà a far discutere, come dovrebbe far discutere l'utilità di una giuria popolare in casi così complessi. Proprio il giorno dopo la sentenza dell'appello bis, una giurata popolare su Facebook mette la foto di Marco Vannini scrivendo che la giustizia ha fatto il suo corso e che ora il ragazzo può riposare in pace. L'aspetto grave non è forse questo ma un altro: rispondendo ad una persona che obiettava «c'è ancora la Cassazione» la giurata ha detto «no, era questo il processo in Cassazione». Visto il tenore della risposta c'è da chiedersi se e in che misura i giurati popolari siano in grado di esprimere un parere autonomo e consapevole su processi di questo tipo.


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